Non sono molti i giornalisti ai quali oggi si possa accostare il concetto di “libertà di pensiero”, e Oliviero Beha era certamente uno di essi. La sua scomparsa mi rattrista tanto quanto mi piacevano le sue uscite pubbliche – anche quando dissentissi dalle sue affermazioni – nelle quali non perdeva occasione di dimostrare quella propria dote di libertà intellettuale che lo ha reso inviso a buona parte dei suoi colleghi, tanto più se in posizione di comando nelle redazioni. Irriverente con classe, antipatico per alcuni eppure sempre ironico, provocatorio senza spocchia o pretesa d’infallibilità, sapeva dare informazioni e dire cose e opinioni che ti facevano pensare. Una qualità, questa, che dovrebbe (deve) essere propria della più autentica e onesta pratica giornalistica, ma che invece oggi pare sia sempre più trascurata, quando non del tutto dimenticata: ciò a discapito del dovere d’informazione, certamente, ma pure, e forse soprattutto, del diritto alla verità.
Tag: Chiarelettere
Chi c’è al capezzale del comatoso Salone del Libro di Torino?
Siamo sinceri: pensavamo (ovvero ci hanno fatto credere) che fosse forte, atletico e aitante, invece il Salone del Libro di Torino è un malato claudicante, parecchio deperito se non già in stato comatoso. Ed è una cosa parecchio brutta, sia chiaro, dacché, piaccia o meno, si sia guastato e volgarizzato oppure no, resta almeno in linea teorica l’evento dedicato ai libri e alla lettura più importante in Italia, e potenzialmente il più prestigioso nonché fruttuoso per il comparto stesso.
Bene (male): posto ciò, come rivela l’articolo di Federica Colantoni su Cultora (cliccate sull’immagine lì sopra per leggerne l’originale), chi si sta ora organizzando per cercare di portare i soccorsi, o quanto meno qualche utile aiuto, al suddetto malato grave torinese? Gli editori, ok, ma quali? Quei grandi gruppi editoriali che hanno biecamente lottizzato il Salone con i propri megastand-supermercato relegando i piccoli e gli indipendenti a (quasi) mere comparse? No. Non sono pervenuti, lorsignori. Sono soprattutto gli editori indipendenti, piccoli e medi, a mettersi per primi in azione e cercare di salvare il Salone: Instar Libri, Chiarelettere, Minimum Fax, Sellerio… Poi c’è Longanesi, nome già più affine alla grande editoria ma dotato di propria fama prestigiosa, mentre degli altri oligopolisti dominatori del mercato editoriale nostrano, al momento in cui scrivo queste mie note, non c’è traccia. Arriveranno, probabilmente, quando capiranno come mettersi di traverso e far passare tale iniziativa di salvataggio come proprio merito esclusivo… In ogni caso, al momento, chi si sta impegnando per salvare l’evento torinese è soprattutto quella parte di editoria che dall’evento stesso è stata non di rado presa a pesci in faccia. E chissà, nell’augurabile caso che il salvataggio vada a buon fine, se il Salone si ricorderà poi di ciò, o se tornerà inesorabilmente a genuflettersi al volere e alle pretese dei grandi editori – quelli che vorrebbero tenere alto il vessillo della lettura e della produzione letteraria nazionale ma che, negli ultimi lustri, non hanno fatto che danni, oltre a un sacco di libracci di infimo livello.
Gli italiani? “Un popolo di ignoranti destinato all’imbarbarimento” (Roberto Ippolito dixit)
Stralci da un’intervista alla Gazzetta del Mezzogiorno di Roberto Ippolito sul suo nuovo libro, Ignoranti. L’Italia che non sa. L’Italia che non va, appena uscito per Chiarelettere…
“(…) Siamo in Europa ventiduesimi per la quota di spesa pubblica destinata all’istruzione in rapporto al Pil. Tra gli strafalcioni delle eminenze di governo e gli errori persino nel formulare le domande ai concorsi, tra la pervicace negligenza e il voluto abbandono del patrimonio storico-culturale, appaiono quasi un eldorado gli anni del boom, quando l’innalzamento culturale accompagnò il miracolo. (…) Vedo un paese che purtroppo si è seduto sul proprio benessere, si è assuefatto a questo, e si è ritenuto soddisfatto a tal punto da addormentarsi. Neanche una crisi come quella attuale riesce più a stimolarlo. (…) Quando si abbassa in modo pervicace e generalizzato il livello delle conoscenze e competenze dell’istruzione di grandi e piccoli, indifferentemente, si diventa il paese dell’Europa che, dal 1999, cresce di meno. Abbiamo un impoverimento e un imbarbarimento della vita collettiva. (…) E’ la sconfitta della classe dirigente del Paese. La politica nel complesso ha le sue responsabilità, ma vogliamo parlare dell’impegno della classe dirigente? Vogliamo dire che non legge libri?”
Beh, approvo in toto, mi tocca. E ci stiamo dentro tutti – siamo tutti ignoranti, sia chiaro, dacché se si è generata una situazione di tal specie è anche perché abbiamo fatto in modo che potesse (de)generarsi.
Mi viene solo da aggiungere una piccola osservazione: tutto torna. Già, tutto quanto torna, dacché nulla mai (o quasi) accade per caso. L’imbarbarimento generale – dunque culturale ma non solo – di cui parla Ippolito è il frutto di una strategia ben precisa mirata a conseguire tale condizione diffusa, ideale per fare che il potere che ci domina abbia ancor più mani libere per fare ciò che vuole. Molto semplice, molto efficace, molto difficile che accada con un popolo pensante, molto facile che accada con un popolo che ha smesso di pensare. E, appunto, mi guardo in giro (di questi tempi, con una imminente tornata elettorale farsesca come non mai!) e mi ribadisco: già, tutto torna. E’ stata veramente efficace, quella strategia…
Eppure non voglio ancora essere del tutto pessimista. So bene che ci sono ancora italiani verso i quali le opinioni di Ippolito non possono essere contestate. Ma certo che ci sono! Solo… Ecco, spero soltanto non siano quelli che se ne sono andati a lavorare all’estero, perché non riconosciuti nelle loro qualità accademiche e professionali in patria o solo perché in cerca di un luogo migliore nel quale vivere…
(Cliccate sulla copertina del libro per visitare il sito di Chiarelettere e averne ulteriori informazioni.)