Ancor prima che scoppiasse la polemica (che continua, sui media) intorno ai lavori sul ghiacciaio del Teodulo tra Zermatt e Cervinia in vista delle imminenti gare di Coppa del Mondo di Sci, dei quali già da tempo mi stavo occupando, scrivevo in un post che «mi augur(av)o di tutto cuore che le gare si possano svolgere su neve naturale e con temperature consone al luogo e alla quota. Già, me lo auguro proprio, piuttosto di assistere alle sevizie quotidiane inferte al ghiacciaio per cercare di allestire il tracciato di gara.»
Ecco: quest’anno, a differenza del 2022, la neve è arrivata e personalmente ne sono profondamente felice. Lascio dire ciò che vogliono a quei sostenitori dei lavori e delle gare che credono di aver “vinto” su chi come me protestava per quegli scavi inferti al ghiacciaio a colpi di ruspe (in parte rivelatisi irregolari) perché, appunto, già lo avevo scritto in tempi non sospetti – come si usa dire – che al netto di ogni considerazione e presa di posizione speravo nella neve vera, sul Teodulo. Non solo per far che il manto nevoso naturale coprisse (ovvero nascondesse) gli scavi e tutte le altre “sevizie” glaciali – circostanza che comunque rende la visione del ghiacciaio meno sconfortante e altrettanto meno irritante – ma anche perché, nel mezzo della crisi climatica che stiamo vivendo, la cui evoluzione non lascia sperare nulla di buono, vedere neve vera sui monti “come una volta” indubbiamente rincuora.
Posto ciò, nulla cambia rispetto alle problematiche ecologiche, ambientali, socioculturali e etiche delle quali i lavori sul ghiacciaio del Teodulo si sono fatti manifestazione concreta e inquietante (e parimenti rispetto a un evento montano come la Coppa del Mondo di Sci, che ormai troppo spesso si dimostra indifferente alle suddette problematiche, pur di mandare avanti il suo «circo bianco»). Di recente (cioè lo scorso 1 novembre) se n’è occupato anche l’amico glaciologo Giovanni Baccolo nel corso di un’intervista per la trasmissione Il giusto clima di Radio Popolare, che ha poi trascritto in questo post sul suo blog “Storie minerali”, spiegando chiaramente, in forza della sua competenza scientifica, quanto è accaduto lassù all’ombra del Cervino/Matterhorn. Ecco alcuni passaggi salienti delle sue considerazioni al riguardo:
Preparare una pista su ghiacciaio non è uguale a farlo sui classici terreni non glacializzati dove si sviluppa la maggior parte delle piste. Questo perché il ghiaccio di ghiacciaio, a differenza della roccia o dei sedimenti, è qualcosa di dinamico, in continuo movimento. I ghiacciai sono vivi. Per mantenere una pista su ghiacciaio è necessario compiere continui interventi di manutenzione. L’obiettivo è chiudere i crepacci, livellare la superficie ed eliminare qualsiasi imperfezione prodotta dal movimento del ghiaccio. Questi sforzi stanno diventando di anno in anno più intensi poiché le condizioni dei ghiacciai alla fine dell’estate sono sempre peggiori. A causa del cambiamento climatico che danneggia i ghiacciai, è necessario utilizzare sempre più combustibile per addomesticarli, contribuendo alla causa scatenante di tutto.
Insomma, si tratta di un cortocircuito, un cane che si morde la coda. Si tenta di risolvere un problema aggravando la causa primaria che lo sta producendo. La situazione mi ricorda un’altra vicenda che riguarda i ghiacciai: ovvero la posa dei teli per rallentarne la fusione. Anche in quel caso si interviene per diminuire il ritiro glaciale, ma al netto di tutto, quegli interventi hanno impatti ambientali tali da aggravare ulteriormente la causa primaria che sta provocando l’aumento delle temperature: le emissioni di carbonio in atmosfera.
Sia chiaro, scavare un singolo ghiacciaio con i bulldozer non ha un impatto reale sulla quantità di anidride carbonica presente in atmosfera, si tratta letteralmente di una goccia nell’oceano. La questione è simbolica. Il cambiamento climatico e il ritiro dei ghiacciai sono problemi sempre più gravi e impattanti. Allo stesso tempo però, una maggiore consapevolezza ambientale si diffonde tra la popolazione, rendendo questi interventi sempre piò difficili da digerire. Osservare bulldozer che sventrano dei ghiacciai per fare spazio a una pista da sci, è come assistere a un camion che butta a mare un carico di provviste in tempo di carestia.
Anche il progetto di creazione di questa pista ha un’ampia sezione dedicata alla sostenibilità, il che mi lascia un poco perplesso. Come è possibile parlare di sostenibilità ambientale se il cuore del progetto è portato avanti da una flottiglia di escavatori che con grandi benne distrugge ghiaccio antico di decenni o addirittura secoli?