I cavalli magri e le mosche

Ai caai magher al ghe cor dré töte i mosche.

(“Ai cavalli magri corrono dietro tutte le mosche“, vecchio proverbio bergamasco.)

Che è poi una versione meno “colorita” e più “rurale” del diffuso modo di dire su dove si posino abitualmente le mosche, e che a me di contro pare assai attinente a certe persone (numerose, fin troppo) che inneggiano e adulano cert’altri personaggi pubblici, sovente dell’ambito politico, segnalando in tal modo la vicendevole, riflessa meschinità.

(L’immagine nel post è tratta da qui.)

Appuntamenti mancati (dal dentista)

Ma dovevo andare dal dentista io! È la seconda volta che me ne dimentico. Cribbio, mi secca. Quando ho deposto l’orologio in una scarpa accanto agli abiti ce l’avevo ancora in testa. Mi secca, cribbio. Tanto più che il dentista s’arrabbia, e non ha tutti i torti, anche se con me bisogna dire che per solito è d’una cortesia straordinaria e mi parla persino di Schiller e di politica. Domani è giovedì, non c’è, lavora in un’altra borgata, dentro a bocche più rustiche e neglette, di montanari. Quando non lo sapevo mi è naturalmente capitato di farmi vivo un pomeriggio di giovedì, ho suonato il campanello, non iroso, dléndlen, trocheo, e mi ha aperto la donna delle pulizie, bergamasca della Val Cavallina, abbiamo conversato nel suo dialetto.

(Giorgio Orelli, Pomeriggio Bellinzonese e altre prose, Edizioni Casagrande, 2017, pag.35.)

Ir-razionalismo lombardo

Condivido totalmente, qui, lo sdegno dell’amico e stimato gallerista bergamasco Cristiano Calori nel segnalare l’abbattimento, a Bergamo, del piccolo stabile in stile razionalista lombardo (costruito nel 1938) di via Baschenis, adibito a distributore di benzina fino a qualche tempo fa e poi abbandonato. Un piccolo gioiellino architettonico demolito con «un atto di ignoranza colossale al netto di ogni questione burocratica», come ben sentenzia Calori (e preventivamente non solo lui), peraltro per farci una banale rotonda (probabilmente compatibile con la presenza del piccolo edificio, come qualcuno ha fatto notare), mentre le nuove destinazioni ipotizzabili e nobili, magari in ambito pubblico culturale (biblioteca di quartiere, caffè letterario, piccolo centro culturale, sala civica per incontri ed eventi vari, spazio espositivo per giovani artisti, eccetera), sarebbero state innumerevoli e avrebbero consentito la permanenza di questo affascinante edificio storico nel paesaggio urbano bergamasco.

Il comune di Bergamo (sia chiaro: questo mio post non ha nulla a che fare con qualsivoglia strumentalizzazione politica – chi mi legge abitualmente sa bene come la penso) si giustifica sostenendo che i costi per la bonifica dell’area sarebbero stati troppo alti rispetto ai benefici legati alla permanenza dello stabile. Per ribattere a ciò riprendo di nuovo le parole di Cristiano, perfetta risposta alla quale non c’è da aggiungere nulla: «Ragionare (solo) in termini di costi/benefici penalizza la visione del futuro delle nostre città. Se vogliamo trasmettere la cultura e la bellezza alle generazioni future ci si può anche rimettere qualche soldo ogni tanto. Se ne buttano già tanti!» Già, evidenza ineluttabile: quanti soldi l’Italia spreca nel distruggere il proprio patrimonio di bellezze d’ogni sorta, e quanti altri ne spende per costruire opere spesso brutte, sovente inutili e qualche volta, ahinoi, pure malferme? E quanto, agendo così, smarrisce sempre più la visione progettuale del proprio futuro minandone da subito qualsiasi potenziale convenienza?

No, non c’è proprio verso: l’Italia contemporanea continua pervicacemente a tirarsi le più vigorose zappate sui piedi, infangando la propria bellezza in modi via via più insensati. Va bene che ne ha a disposizione parecchia, di tale bellezza, ma di questo passo inesorabilmente il Bel Paese diverrà sempre più brutto. E più irrecuperabile, disperso in abissi di bruttezza e di degrado infiniti.