Tutto è politica, meno la “politica”!

[Foto di Gordon Johnson da Pixabay.]
Da sempre sono convinto che qualsiasi azione pubblica che possa comportare qualsivoglia effetto, in primis la trasmissione di un messaggio, sia un atto politico. Lo è certamente il gesto artistico, quale esempio assoluto, ma lo può e lo deve (dovrebbe) essere anche ogni altra pur minima azione compiuta da chiunque. Questo perché l’interazione più o meno attiva e intensa con la sfera pubblica è un atto che influisce sulla relazione, la gestione, lo sviluppo di essa, anche quando lo faccia minimamente o in modi incompresi e inintelligibili dai più. D’altro canto questo comporta che ogni atto individuale pubblico debba essere compiuto coi crismi della logica e della razionalità, dell’intelligenza, della coscienziosità e della consapevolezza civica e culturale, dell’umanità, eccetera. Quindi, è un atto politico un’installazione artistica esposta al pubblico, il portare fuori di casa la spazzatura, il camminare in un bosco, il mettersi in coda alle poste, il chiacchierare con gli amici di come va il mondo, il leggere un libro sul treno, e così via. Tutto o quasi, insomma, ma perché siamo creature civiche e dunque inevitabilmente politiche; solo l’eremita che si isoli dal resto del mondo e dell’umanità su un’isola dispersa nell’oceano potrebbe non esserlo, ma anche in tal caso il condizionale è d’obbligo.

Certo, come ribadisco, bisogna essere consapevoli di tale condizione “politica” singolare e condivisa.

Ecco: posto ciò, io credo che sempre più col tempo si sia imposta una classe politica a dir poco indecente, e sostanzialmente antitetica alla politica nel senso originario e nobile del termine, proprio perché sempre più persone hanno trascurato, dimenticato, ignorato o rifiutato la matrice politica di ogni propria azione pubblica, richiudendosi in un crescente egoismo autoreferenziale, antisociale, dissociante e alienante in conseguenza del quale il valore politico che agisce materialmente e immaterialmente sulla realtà è stato (abbastanza sovrappensiero, o per mera ottusità) demandato ad un ambito virtualmente superiore – quello “politico” nel senso di attività esercitata dai movimenti politici – il quale, trovandosi il campo libero da qualsiasi limitazione morale, sociologica e filosofica, ha potuto degradarsi e degradare il senso stesso della “politica” fino alla situazione attuale.

Per dirla in parole povere: ove buona parte delle persone se ne freghino del valore culturale e politico del proprio essere parte della società, pensando solo ai propri interessi e dimenticando di agire in uno spazio pubblico condiviso, il politico-di-partito si ritrova con le mani libere (e pulite di default) per fare ciò che vuole. Da qui, il passo all’indecenza di governo e di potere è brevissimo, avendo a che fare con una classe dirigente istituzionale di partenza ben misera di valori, cultura, etica, visionarietà e quant’altro un politico dovrebbe possedere ovvero coltivare con il massimo impegno.

Anche per questo, in fondo, la democrazia si dimostra una forma di governo così traballante e disarmata e il principio per il quale «ogni popolo ha i governanti che si merita» si dimostra di valore ineluttabilmente assoluto. O la politica torna ad essere un’attività democratica, dunque condivisa e praticata da tutti, oppure è ben difficile sfuggire da una sorte nefasta.

E, per essere chiari, «ben difficile» è un espressione eufemistica, ecco.

Wonder Nonna (Un racconto inedito)

(P.S. (Pre Scriptum!): il seguente è un racconto al momento ancora inedito che tuttavia farà presto parte di una raccolta mooooolto particolare (a cominciare dalla brevità dei testi contenuti, come noterete), di prossima pubblicazione editoriale. Seguite il blog e/o il sito e a breve potrete saperne di più…)

Ogni mattina il compito affidato alla solerte e fredda badante era lo stesso, tempo permettendo: accompagnare sul balcone l’anziana donna, ormai quasi inferma, sistemarla sulla sedia imbottita di cuscini, metterle uno scialle sulle spalle e lasciarle un plaid lì accanto, nel caso il clima lo richiedesse. Tutti i giorni così, ed era stata proprio l’anziana donna a ordinarle ciò: di lassù, dal quarto piano del condominio nel quale abitava, aveva di fronte lo stesso panorama che mirava dalla casa in cui era nata, un tempo posta sul viale adiacente al condominio e poi abbattuta per fare posto a nuovi edifici. La cittadina si era ovviamente ingrandita con gli anni, ma il profilo delle colline a occidente, i boschi e il fiume sottostante erano in fondo sempre quelli: una veduta che la donna gradiva sempre, una delle rare cose che ancora, a quel punto della sua lunga e intensa vita, le faceva provare una dolce emozione.
Anche quella mattina, dal balcone, stava rimirando il paesaggio, la via sottostante, la piazza, anch’essa tutto sommato uguale a tanti anni fa nonostante i nuovi palazzi. Il rumore semmai era diverso, parecchio aumentato – le orecchie le aveva ancora buone, lei: un rumore fastidioso, però quei colpi secchi giù in strada li sentì nitidamente, e le urla, e il sibilo lancinante dell’allarme. Si sporse un poco di più, vide l’auto nera zigzagare tra le altre, accelerare, superare il semaforo sebbene fosse rosso e allontanarsi sempre più. Non poteva vedere la parte della via sottostante al condominio ma sentiva molte voci confuse, concitate, turbate, e altre grida, e pianti. Pensò che anche questo era diverso, oggi, rispetto a un tempo, quando abitava nella casa dall’altra parte della via. Cose così non accadevano una volta, lì.
No, non accadevano affatto.
L’auto nera in fuga stava ormai quasi scomparendo in fondo al rettilineo, ma la distinse ancora. La vecchia donna picchettò le dita per qualche istante sulla ringhiera del balcone, e una tremenda esplosione scosse il quartiere, laggiù sulla via. L’auto nera si distingueva, ora, perché avvolta da altissime fiamme. La donna sospirò.
Poco dopo giunse a trovarla la figlia: sentito il trambusto, voleva accertarsi che a lei nulla fosse accaduto. C’era anche il nipotino, con indosso una sorta di costume da Superman; in effetti erano i giorni del Carnevale, quelli. Come sempre il bambino le saltò al collo, festante.
“Guarda, nonna! Sono Superman, io! Ma anche tu, anche tu sei un’eroa… Sei… Wonder Nonna, sìììì!” disse ridanciano.
Ecco: quell’infantile, divertente ilarità era forse l’unica altra cosa che la faceva emozionare, alla sua veneranda età.