In Valvarrone un ennesimo ponte tibetano. È proprio ciò che serve ai suoi abitanti?

[Veduta della Valvarrone verso occidente, con il paese di Premana.]
In Valvarrone, solco vallivo che dalle sponde orientali del Lago di Como sale verso lo spartiacque montano tra la provincia di Lecco e quelle di Como e Bergamo, facente parte dell’Area dell’Alto Lago di Como e Valli del Lario e nel quale è posto l’omonimo comune sparso, si vorrebbe costruire l’ennesimo ponte tibetano turistico. Ovviamente l’ennesimo ponte “da record”, alto 200 metri, lungo 400, eccetera. «Un’attrazione sensazionale, che potrebbe attirare migliaia di turisti!» dicono i politici locali al riguardo, con i soliti toni enfatici ma al momento tacendo sui costi, ovviamente coperti da denaro pubblico. Del ponte della Valvarrone se ne scrive in un bell’articolo sul numero 47 “Salire”, il trimestrale del CAI Lombardia, che trovate in pdf qui (l’articolo lo trovate anche in calce al presente post).

«Migliaia di turisti», già: si noti che il comune (sparso, per giunta) di Valvarrone conta a ottobre 2023 (ultimo dato ISTAT disponibile) 495 abitanti, e il suo territorio è servito da una strada rinomata per essere tra le più disagevoli e tortuose dell’intera provincia. Inoltre, che tale infrastruttura, direttamente legata a una fruizione turistica di mera matrice ludica – come avviene ovunque ve ne siano di simili – possa giustificarsi come funzionale allo sviluppo turistico della parte non più utilizzata delle miniere di feldspato situate a uno dei capi del ponte (peraltro già parzialmente visitabili) pare cosa alquanto aleatoria e ampiamente discutibile, soprattutto considerando le «migliaia di turisti» alle quali si vorrebbe puntare.

Ma al di là di tali dati “elementari”, al leggere di questo ennesimo paventato ponte tibetano personalmente mi sono chiesto: ma è veramente questo che serve agli abitanti della Valvarrone? Un’attrazione turistica di massa peraltro uguale a tante altre? Oppure avrebbero bisogno di altro per sviluppare al meglio la propria comunità e il territorio nel quale vivono?

[Immagine tratta da “Salire” nr.47.]
[Schizzo progettuale del ponte tibetano. Immagine tratta da “Lecco Today“.]
Bene, al proposito eccovi alcuni stralci tratti da IL RITRATTO TERRITORIALE DELL’ALTO LAGO DI COMO E VALLI DEL LARIO, documento a cura del gruppo di lavoro del DAStU – Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano, in data 24 Luglio 2023:

L’Area dell’Alto Lago di Como e Valli del Lario vive una condizione di “perifericità” nei confronti dei territori confinanti, con i quali ha stabilito relazioni di dipendenza. […] Il territorio è caratterizzato da importanti fenomeni di polarizzazione e da squilibri interni, con evidenti differenze tra i comuni rivieraschi e quelli di mezza costa, e da una governance frammentata dei servizi di base. La frammentarietà del trasporto pubblico e il difficile accesso ai servizi essenziali al cittadino, nonché la stessa configurazione degli insediamenti si riflettono in complesse pratiche di mobilità quotidiana e in una tendenza consolidata allo spopolamento dei comuni più lontani dai servizi di base, nonché al progressivo abbandono del patrimonio costruito e delle attività agro-silvo-pastorali. Questi aspetti incidono negativamente sulla cura e manutenzione di un territorio fortemente esposto al dissesto idrogeologico: il cambiamento climatico aumenta non solo questi fattori di rischio, ma minaccia anche la biodiversità. […]
I divari presenti emergono trasversalmente in tutti i tavoli di lavoro e interessano un’ampia varietà di questioni: i servizi essenziali al cittadino (mobilità, sanità, istruzione e formazione), la connettività (divario digitale – zone non coperte dalla rete), le attività economiche (spostamento e concentrazione del commercio e delle attività manifatturiere a valle e in riva), l’attrattività residenziale e turistica. […]
Questi aspetti, già rilevati dal territorio nel processo che ha definito il percorso dell’Area nella prima stagione della Strategia Nazionale per le Aree Interne, richiedono una rinnovata riflessione nella prospettiva della nuova programmazione strategica. Sono tre i temi posti all’attenzione degli attori locali: la transizione demografica: accesso ai servizi, spopolamento tra relazioni transfrontaliere e processi di polarizzazione locale; la cura del territorio e la prevenzione dei rischi ambientali, in relazione alle economie radicate nell’area e ai loro possibili sviluppi; un ultimo tema è quello della governance e della capacità istituzionale.

Ecco, dopo aver letto quanto sopra (frutto di una rigorosa ricerca scientifica e accademica, è bene rimarcarlo, commissionata da Regione Lombardia per l’attuazione del progetto “La costruzione della Strategia regionale aree interne nel ciclo di programmazione europea 2021 – 2027”, non di mere opinioni di chissà chi campate per aria), mi pongo – e propongo a voi – qualche altra domanda: a fronte di questa situazione territoriale chiara e inequivocabile nonché delle criticità evidenti rilevate dai ricercatori del Politecnico di Milano, come si può pensare di spendere centinaia di migliaia di Euro – di soldi pubblici, ribadisco – in un ponte tibetano turistico? Come si può trascurare, ignorare, disinteressarsi dello stato di fatto reale del proprio territorio e dei suoi tanti problemi per parlare di un’attrazione sensazionale come quella prospettata? “Sensazionale” cosa? Sensazionale per gli abitanti di Valvarrone, per la loro vita quotidiana, per il suo territorio e per il paesaggio? E come, di grazia? Cosa deve interessare agli amministratori locali, il bene dei propri concittadini o il divertimento “sensazionale” delle migliaia di turisti evidentemente agognate? Dove sta la logica, il raziocinio, la cura per la montagna, l’attenzione e la sensibilità per il suo paesaggio e per chi lo vive?

[La grossa frana caduta sulla sponda nord della Valvarrone nell’aprile 2022 esattamente sotto l’attacco del ponte tibetano in progetto. Immagine tratta da “Lario News“.]
Infine, per citare uno dei temi principali indicati dai ricercatori del Politecnico di Milano: dove stanno la governance e la capacità istituzionale? Be’, non voglio pensare a risposte che, allo stato dei fatti, sembrerebbero scontate. Al punto che, forse, le penserete anche voi. Già.

P.S.: ecco l’articolo di “Salire” sul ponte tibetano della Valvarrone. Cliccate sulle pagine per ingrandirle:

4 pensieri su “In Valvarrone un ennesimo ponte tibetano. È proprio ciò che serve ai suoi abitanti?”

  1. Ma cari amici della montagna, in Regione Lombardia che si occupa di questi servizi è dal 1995 che ci mandiamo Forza Italia e Lega Nord, di cui 18 anni interi di Formigoni, che è letteralmente in galera perché in tutti quegli anni si è preso milioni e milioni di mazzette. Sono pienamente d’accordo, mancato tutti i servizi e non c’è nessuna volontà di darveli.

  2. Sono un consigliere del comune di Sellano, in Valnerina, Umbria, dove tra qualche settimana verrà inaugurato “l’ennesimo ponte tibetano”.

    Ho letto con interesse l’articolo, che pone delle domande più che legittime, domande che sono tra le tante che come amministrazione comunale ci siamo posti prima di decidere di procedere con la costruzione del nostro ponte.

    La situazione dei piccoli paesi delle aree interne è simile su tutto il territorio nazionale, fiumi di parole sono stati spesi per analizzare problemi e possibili soluzioni, il più delle volte da persone che hanno una conoscenza per lo più teorica del soggetto.

    La reazione a catena che incrementa lo spopolamento è ben nota e illustrata. La mancanza di lavoro porta i giovani ad emigrare, lo spopolamento porta alla diminuzione dei servizi e la chiusura di attività, la popolazione rimanente non solo è numericamente esigua ma anche anziana e poco qualificata. I servizi di base sono in gran parte privatizzati, col diminuire della popolazione questi servizi non sono remunerativi e quindi Poste, banche, ASL, trasporti pubblici vengono ridotti all’osso, nella speranza di scoraggiare i pochi determinati a restare e poter quindi chiudere del tutto. La scusa che quasi tutto oggi si può fare online non regge in quanto le popolazioni di queste aree sono in gran parte digitalmente analfabete e comunque i servizi online sono il più delle volte concepiti in modo inadeguato e scarsamente funzionante. Le amministrazioni comunali non hanno voce in capitolo per quanto riguarda questi servizi di base, e le loro richieste alle varie aziende responsabili sono generalmente ignorate. Si ha l’impressione che non vedano l’ora che queste realtà locali si estinguano.

    I piccoli comuni non hanno risorse umane ed economiche sufficienti e dipendono dalla capacità di partecipare con successo a bandi per ottenere finanziamenti. Questi finanziamenti, generalmente fondi della Comunità Europea distribuiti dalle Regioni, hanno finalità specifiche, non necessariamente rispondenti alle reali necessità delle aree interessate, in quanto concepiti ben lontano da queste realtà. Questo spesso risulta in quegli elefanti bianchi di cui la nazione abbonda.

    In questo contesto dunque, cerchiamo di vedere qual’è il senso di edificare l’ennesimo ponte tibetano.

    Il turismo è il motore più immediatamente accessibile per rimettere in moto delle comunità ormai esangui. Il rischio, ben documentato, è di tramutare i luoghi in tante Disneyland artificiali dove i pochi residenti devono convivere con un’invasione di turisti mordi-e-fuggi alcuni mesi dell’anno, snaturando i luoghi e dando da sopravvivere ad alcuni e arricchendo altri. Questo si può evitare solo pianificando un sistema territorile integrato del quale il turismo sia solo una componente e il pretesto per rimettere in moto tutto il meccanismo della comunità. Non dimentichiamo che le zone interne vivevano da secoli di economia locale fatta di elementi correlati e mutuamente necessari. Negli ultimi 50 anni questi elementi si sono completamente disgregati, e sostituirli con qualcosa di diverso e funzionante è comunque un’operazione artificiosa con una serie di rischi non indifferenti. Ma l’alternativa è di fare da spettatori alla scomparsa delle comunità e l’abbandono dei luoghi.

    La nostra decisione di procedere con l’edificazione del ponte fa parte di un progetto del quale il ponte stesso è solo la punta dell’iceberg, la parte visibile e spettacolare intesa a supportare tutto ciò che ci sta intorno. Tra le varie opzioni disponibili e finanziabili era quella che aveva il minor impatto ambientale (la struttura potrebbe essere facilmente rimossa senza danno per l’ambiente il giorno che avesse assolto la sua funzione). Era quella col maggior potenziale di creare un certo numero di posti di lavoro direttamente e indirettamente, l’apertura di attività collegate, il recupero di strutture abbandonate, l’arrivo di nuovi residenti, tutti elementi essenziali ad un nuovo inizio. Era anche l’opera con il maggior potenziale per stimolare un turismo lento a basso impatto, combinato con attività legate alla natura, che potessero partire immediatamente, cosa essenziale in un paese dove anche le cose più elementari possono richiedere anni di gestazione e procedimenti burocratici. Infine, gli introiti del ponte, a fronte dell’investimento coperto da finanziamento, rappresentano un buon potenziale di profitti che, non essendo vincolati a bandi e considerazioni politiche, l’amministrazione potrà reinvestire localmente in tempi brevi per supportare la attività e i servizi che sono di competenza locale e per interventi necessari su un territorio che, dopo anni di negletto, necessita cura e investimenti mirati a preservarne il patrimonio naturale, storico e architettonico.

    I primi segnali, ancor prima dell’apertura del ponte, sono positivi, con l’arrivo di nuovi residenti e l’apertura di attività. Si tratta ora di amministrare saggiamente le risorse e concepire i prossimi passi in modo sistemico e coordinato, con un piano a medio-lungo termine.

    Ne saremo capaci? Possiamo solo provare a fare del nostro meglio nell’interesse di chi qui vive tutto l’anno e con l’intento di attrarre nuovi residenti, per rigenerare la comunità, in un’ottica adatta all’oggi, consapevole del passato e con un occhio ad uno sviluppo che possa evolversi nel tempo.

    Roberto Battista

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