In effetti pochi prodotti dell’uomo come i formaggi di montagna portano “dentro” e offrono, oltre a una gran bontà, un bagaglio di cultura e saperi storico-geografici sovente considerevoli e che rappresentano un esempio emblematico di “bene comune” di natura sia materiale che immateriale. E dentro questo bene comune cultural-caseario ce n’è un altro al quale a nessuno o quasi, suppongo, verrebbe di pensare ma che a ben vedere è la base stessa dell’esistenza dei formaggi: i microbi presenti in essi, ciò che conferisce loro il sapore così gustoso.
L’antropologa culturale Roberta Raffaetà ha analizzato questo common – per usare il termine anglosassone abituale nelle discipline scientifico-umanistiche a indicare i beni comuni – tanto particolare quanto fondamentale per l’economia dei territori alpini: «La biodiversità microbica rende i formaggi di ogni malga unici e diversi da tutti gli altri», spiega l’antropologa, citata sul numero 107 di “Alpinscena”, il magazine di CIPRA International. Nel dopoguerra si è verificato un vero e proprio processo di abbandono delle malghe e molte conoscenze, pratiche e colture di batteri sono andate perdute. Queste, negli ultimi anni, sono state recuperate ma al tempo stesso reinventate da alcune organizzazioni, enti di ricerca e giovani, nel tentativo di valorizzare la loro importanza culturale ed economica. Le metodologie di produzione e le pratiche economiche messe in campo sono molteplici, quindi vanno discusse in maniera democratica in modo da conciliare diversi punti di vista e per tutelare il patrimonio collettivo microbico che si esprime nelle esperienze gustative del formaggio, capaci di collegare i microbi lattici al paesaggio naturale e culturale.
Ovvero, per farla breve, assaporando e gustando i formaggi alpini mettiamo in pratica e valorizziamo non solo il legame tra essi e i territori nei quali nascono e vengono prodotti, ma la nostra stessa relazione con quei territori e con i loro paesaggi – in senso generale e in quanto “paesaggi gustativi e emozionali” in grado di trasformare il gusto e la bontà del formaggio in esperienze di conoscenza culturale dei luoghi di origine.
Il tutto, ribadisco, facendo felice e appagata la vostra pancia. Cosa si potrebbe desiderare di meglio?
Ti racconto: il Parmigiano reggiano è una delle eccellenze italiane, e merita di essere definito tale. Fino a un po’ di anni fa il suo sapore cambiava durante l’anno, a seconda se le mucche mangiavano il fieno fresco o la paglia. Ora, per motivi di mercato (!), sono nutrite tutto l’anno con fieno essiccato per mantenere il sapore costante. Ahinoi