Una cosa è certa: noi svizzeri dobbiamo unirci più strettamente. Per farlo, dobbiamo capirci meglio, e per capirci meglio dobbiamo anzitutto imparare a conoscerci a vicenda. Cosa conosciamo noi della Svizzera francese, della sua letteratura e della sua stampa? Su questo punto, ciascuno deve rispondere a se stesso.
(Carl Spitteler, Il nostro punto di vista svizzero. Discorso sulla neutralità, in Il Gottardo, Armando Dadò Editore, Locarno, 2017, traduzione e cura di Mattia Mantovani, pag.239; orig. 1915.)
In poche e significative parole, peraltro enunciate più di un secolo fa, Carl Spitteler indica per la sua Svizzera una dote fondamentale che invece all’Italia è sempre mancata e continua (continuerà) a mancare. Anche così la Confederazione, piccolo/grande miracolo culturale, sociale e sociologico, ha costruito la sua forza e la capacità contemporanea di primeggiare in molteplici campi, materiali e immateriali; per il motivo uguale e contrario l’Italia è ferma a quelle celeberrime parole del Metternich e allo stato di mera «espressione geografica», incapace di andare oltre perché, sostanzialmente, priva di identità culturale e dunque di una “società” che possa definirsi autenticamente tale, realmente viva e vitale. Per la gioia di innumerevoli parassiti – autoctoni, soprattutto.
Ogni commento è vano, la realtà è sotto gli occhi di tutti, gli unici a non vederla sono i politici ovvero coloro che ci rappresentano, coloro alla quale deleghiamo le manovre per migliorarla.
Spiace dirlo, ma ormai ho reso certezza una convinzione maturata da tempo, ovvero che l’Italia sia politicamente morta, istituzionalmente comatosa e socialmente malatissima. Si potrebbe ancora tornare a situazioni ben più virtuose, ma non vedo venire da nessuna parte alcuna volontà in tal senso.