Pensare a un futuro implica l’esistenza di un tempo, quell’entità invisibile che regola le nostre esistenze e che nel corso dei secoli è drammaticamente cambiato nella nostra percezione, perché il tempo è inserito in uno spazio che è la sua unica realtà e dunque, mutati gli spazi dell’esistere, sono mutati i tempi della nostra vita. Questo è uno snodo chiave della comprensione di ciò che è accaduto: più gli spazi sono invivibili, più il tempo diventa frenetico e sfuggente. (Pag.213)
L’uso dell’immaginazione è la più potente delle armi e la più temuta delle doti di qualsiasi animale: uomo incluso. Fu la chiave della conquista dello spazio. (Pag.215)
(Davide Sapienza, I Diari di Rubha Hunish, Lubrina Editore, Bergamo, 2017.)
Leggere in sequenza questi due passaggi del celebre libro di Davide Sapienza (cliccate sull’immagine qui sopra per leggere la personale “recensione”) mette in luce una verità tanto fondamentale quanto terribile: se nel mondo contemporaneo mutano gli spazi dell’esistere, al punto che con essi muta e si distorce il tempo, è anche perché la potenza dell’immaginazione umana e il relativo uso, nonostante quello che si potrebbe credere, è in rapido e funesto degrado. Così, come fu grazie all’immaginazione se l’uomo ha conquistato lo spazio – e come, mi viene di aggiungere, l’immaginazione è testimonianza evidente di vitalità intellettuale – la mutazione dello spazio è il segno della crescente mancanza d’immaginazione, ovvero del suo costante deperimento.
Come nota bene Davide (la cui amicizia ritengo una delle mie cose più fortunate e belle), la concezione del futuro non è solo una questione di tempo ma anche, o forse soprattutto, di spazio: solo concependo lo spazio nel modo più virtuoso possibile, e la nostra vita ovvero l’esistenza in esso, possiamo pensare ad un buon futuro. Spazio e tempo sono intimamente legati, in fondo Einstein confermò scientificamente ciò che è la realtà naturale del mondo fin dalla notte dei tempi – come non casualmente si usa dire. Altrimenti, se non va così, è tutta fatica sprecata, meglio rendersene conto.
La mancanza di immaginazione da una certa generazione in poi sarà la rovina della specie umana.
Sotto un certo punto di vista pare chiaro il piano che sta dietro alla produzione di menti senza immaginazione ma mi rifiuto di accettarlo!
Be’, è quasi lapalissiano dirlo: la mente incapace di immaginazione è anche quella incapace di formulare pensieri, che è la condizione migliore per chiunque la voglia dominare. Di contro io credo che di immaginazione (e di relativi immaginari) ce ne si e se ne produca tantissima – tu stesso sei un’ottima prova di quanto sto scrivendo – solo che si sta allargando sempre più il divario tra la produzione d’immaginazione, e la capacità di percepirla e considerarla, e l’assenza di essa. E’ uno spazio vuoto o quasi preoccupante e che può diventare pericoloso, come dici tu.