I paesaggi esistono e acquisiscono valore in quanto prodotto culturale della nostra mente, e di paesaggi i luoghi vissuti ne producono parecchi o, per meglio dire, il paesaggio di un luogo è l’elaborazione culturale articolata di diversi elementi, materiali e immateriali, che contribuiscono in modo fondamentale a determinare il senso, l’anima e l’identità del luogo, diventando – se mi permettete l’immagine particolare – il “curriculum vitae” del suo Genius Loci.
Uno dei “paesaggi” più identificativi di un luogo è senza dubbio quello legato all’espressività delle genti che lo abitano: la parlata, il lessico, il dialetto ovvero la lingua, vera e propria manifestazione culturale di esso che da immateriale si fa materiale attraverso le voci dei suoi abitanti. In tal senso l’Italia possiede un patrimonio di lingue locali notevolissimo e di immenso valore, come si più già intuire dalla semplice osservazione di questa mappa linguistica:
A fonte di tale varietà, qualcuno potrebbe pensare che essa rappresenti un elemento divisivo per una comunità che si configuri come unitaria e nazionale. Se è vero, da un lato, che la prima e più immediata comunanza socioculturale è quella che nasce dalla condivisione di un lessico e di una parlata comuni, al punto che tale condivisione linguistica definisce spesso – teoricamente o praticamente – anche il concetto di “nazione”, dall’altro lato la varietà di idiomi diventa condizione divisiva soltanto ove così venga resa forzatamente, senza poi considerare il fatto che all’interno di un’area geografica omogenea le varie parlate sono per la maggior parte ascrivibili a un’origine pressoché comune che a sua volte unisce quell’area ad altre ben più vaste (per l’Italia quella legata alle lingue romanze, ad esempio). Peraltro, a tal proposito, mi viene da mettere in relazione la questione delle varietà linguistiche con la varietà geografico-morfologica della regione alpina: un territorio relativamente vasto del quale si può dire che ci sia una parlata per ogni singola valle, o quasi (della peculiare varietà linguistica alpina ho scritto di recente qui), ma che di contro ha sempre rappresentato uno spazio di contatto tra le varie genti e le loro culture, inclusa quella linguistica. Al punto che, nonostante la diversità di idiomi, si possono frequentemente riscontrare cognizioni culturali comuni in zone anche molto lontane delle Alpi, indice di un transito notevole di tali saperi i quali, evidentemente, riuscivano a generare comprensioni lessicali condivise. Tutto ciò avveniva proprio perché mai in passato le montagne hanno rappresentato dei confini, come accade da tre secoli a questa parte in senso geopolitico (e a volte non solo), ma sono sempre state zone di attrazione, transito, condivisione, incontro tra versanti, vallate, comunità, le cui parlate pur diverse generavano comprensioni sufficienti a mettere in relazione anche le rispettive culture.
Tutto ciò può (dovrebbe) accadere anche in senso più generale con qualsiasi lingua e con la varietà pur vasta di idiomi, al di là di contesti e referenze geografiche. Ma se queste mie considerazioni originano da un punto di vista primariamente antropologico, non essendo io un linguista, simili osservazioni le ho trovate espresse da un linguista autorevole, Ugo Vignazzi, Accademico emerito della Crusca, che in occasione dell’uscita del suo volume EH? Espressioni tipiche regione per regione (Einaudi Ragazzi, 2019) ha così detto: «Dobbiamo riconoscere che nostra ricchezza e forza sono proprio le diversità, la possibilità di scambio tra le diverse culture che attraversano la penisola. […] Se vogliamo comprendere bene l’italiano dobbiamo partire dai dialetti. Tutti i grandi scrittori italiani, compreso Manzoni, hanno preso le mosse dal dialetto, lo parlavano, anzi lo usavano anche nella loro corrispondenza personale come faceva proprio l’autore dei “Promessi sposi”. Il dialetto divide se ci si chiude nel proprio piccolo recinto, se si diffida negli altri, se si vede nel vicino il nemico come è avvenuto spesso nella storia italiana. Invece, i dialetti sono costitutivi del Dna del nostro Paese. Sono sempre stato un sostenitore dell’idea di ‘Italia delle Italie’, un’Italia che è allo stesso tempo plurale e unita.»
Chiunque volesse approfondire la conoscenza del paesaggio linguistico italiano ha a disposizione il Fondo Tullio De Mauro, che ospita un patrimonio specialistico in dialettologia e linguistica di oltre 5.000 titoli, con monografie e periodici di 150 testate, comprendenti, oltre alle preziose “settecentine” in ottava rima napoletana della Gierusalemme liberata e dell’Eneide, dizionari, raccolte di poesie, saggi, opere letterarie nelle varie lingue dialettali italiane, da Nord a Sud. Tutti i titoli sono consultabili, su richiesta, presso la sede del Fondo in via dell’Arsenale 27 a Torino, ma è possibile anche la consultazione on line e il download del catalogo. Per saperne di più date un occhio qui.
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