E nell’ammirare un tale capolavoro, ripensando a quanto ho scritto in merito al concetto di paesaggio e alla sua genesi artistica che nel tempo si struttura in pensiero intellettuale e culturale fino all’accezione attuale, mi sorge un dubbio, forse insensato, forse fuori luogo, forse no: e se la disattenzione, se la mancanza di sensibilità e di capacità di percezione culturale che molte persone dimostrano nei confronti del paesaggio, nel senso proprio di rappresentazione intellettuale del mondo osservato, fosse dovuta – oltre a una generale e deprecabile mancanza di cultura al riguardo nei media contemporanei, tradizionali e virtuali – anche alla relativa mancanza di raffigurazioni altrettanto didattiche e illuminanti del paesaggio come quelle che l’arte ha saputo offrire fino a qualche tempo fa? Se, insomma, alla possibilità collettiva di osservare e capire bene il paesaggio mancasse il necessario “insegnamento” al riguardo da parte di un elemento così potente e suggestivo quale è l’arte? E se proprio da ciò, quale riprovevole ma inesorabile effetto collaterale, derivasse l’incapacità di capire la portata di certi danni arrecati in vario modo al paesaggio sia da parte di chi ne è fonte e sia di chi ne è osservatore?
Insomma: se ci fossero in circolazione ancora dei Corot, che essi dipingessero o impiegassero qualsiasi altro stile, tecnica, media, visuale o no, per raffigurare il mondo, sapremmo forse essere più sensibili e più attenti al paesaggio e alla sua cura? Sapremmo meglio percepire e comprendere la sua bellezza e il suo valore culturale? Sapremmo salvaguardarlo meglio di quanto facciamo?
P.S.: in verità l’arte contemporanea continua a rappresentare il mondo e i suoi paesaggi, e lo fa ovviamente utilizzando strumenti e linguaggi consoni al presente quando non già protesi al futuro. Di contro la produzione artistica contemporanea è meno immediata e più mediata rispetto a quella preavanguardistica: sicuramente abbisogna di un poco più di attenzione e riflessione – è il suo più prezioso scopo, d’altro canto – ma è inutile dire che, nella società di oggi, la riflessione, il pensiero e la pratica intellettuale sono doti quanto mai trascurate quando non vituperate, preferendo ad esse i “rimestii di pancia”. Il che in fondo si correla bene a quanto ho appena affermato, non a caso.
Bella riflessione. Corot, il primo degli impressionisti, grazie
Tra l’arte concettuale e Corot, sono sicuramente dalla parte del pittore francese, anche se mi rendo conto che l’arte ha sperimentato tutte le sue fasi della rappresentazione figurativa… E quindi dopo Cezanne non si può dipingere il paesaggio come lo dipingevano Van Gogh o gli Impressionisti. Un ritorno della fotografia artistica del paesaggio potrebbe, forse, farscene riscoprire l’estetica e il rispetto. Buon anno
Ciao Silvia! Buonissimo anno anche a te e grazie di queste tue interessanti osservazioni. Sono assolutamente d’accordo: a tal riguardo la fotografia, che da un lato ormai è stata totalmente assunta nel novero delle arti visive, dall’altro ha la grande responsabilità di non smarrirsi dietro formalismi estetici tanto belli da vedere quanto vuoti di significato espressivo e di capacità di narrare cose. A meno che ulteriori evoluzioni della pittura, magari proprio implementate da nuove tecnologie digitali in un ipotetico mix di manualità e virtualità, possano offrire nuove visioni artistiche del paesaggio, ma non so. Forse sul fondo c’è una questione culturale ovvero di cognizione culturale del concetto di “paesaggio” che oggi non permette ciò, o permette altre cose che vanno verso direzioni diverse.
Grazie ancora! Ciao! 😉
Caro Luca, a proposito di arte figurativa che prepotentemente si rifà a quella del passato, forse esasperandola, mi viene in mente, non una paesaggista, ma un pittore di corpi plastici ed esuberanti: Roberto Ferri. Questo per dire che il passato è sempre un modello e che qualcuno, addirittura, vuole tornare al disegno e alla sua tridimensionalità. Buon sabato