Una “madeleine” canina

[Foto di Elise Carroll, opera propria, CC BY-SA 4.0, fonte: commons.wikimedia.org.]

Ogni tanto qualcuno mi chiede come si impara a scrivere. Di solito rispondo chiedendo di quale scrittura si stia parlando, se funzionale o creativa. La prima si può apprendere, la seconda no. Tra le due corre la differenza che c’è tra gli artigiani e gli artisti. Nel migliore dei casi i primi, dopo ragionevole apprendistato, scrivono per i giornali o per la pubblicità; i secondi invece inventano le Emma Bovary, le Anna Karenina, le Duchesse di Guermantes, le Molly Bloom. Come si diventa artisti della scrittura? Come lo sono diventati i signori Flaubert, Tolstoj, Proust, Joyce. Scrivendo come pazzi dal mattino alla sera, scontenti la sera di ciò che avevano scritto al mattino. Non certo andando a scuola di scrittura. Anche perché le scuole di scrittura un tempo non esistevano. Da chi imparavano? Come Montaigne dai grandi del passato, e occasionalmente da qualche altrettanto grande contemporaneo: Flaubert dialogando con Turgenev, Maupassant con Flaubert, Joyce con Svevo. Proust con tutti e quindi con nessuno. […]
La “madeleine” di oggi non è dedicata a loro, bensì a un piccolo libro poco conosciuto scritto da un autore di strepitosa abilità che più di qualunque altro ha pagato il (salato) prezzo della trasposizione cinematografica. Sto parlando di Joseph Rudyard Kipling, nato a Bombay nel 1865 e morto a Londra nel 1936, giusto in tempo per non assistere alla fine ingloriosa dell’Impero britannico.
“Parola di cane” è il racconto in prima persona di un Aberdeen Terrier. Diversamente dagli animali umanizzati del ciclo della jungla, il terrier del racconto pensa, si comporta e parla come un vero cane, virtuosismo reso possibile dal talento di Kipling e dal fatto che fosse il felice proprietario di un terrier. Il risultato è una scrittura semplice dotata di irresistibile humor: il sogno irrealizzabile di molti di noi (me compreso). Se per campare dovessi fare l’insegnante in una scuola di scrittura creativa (il corsivo è d’obbligo) penso proprio che riporrei quel disgraziato del giovane Holden nel palchetto della libreria dedicato ai grandi classici abusati, e inizierei le lezioni da questo piccolo racconto. Ma poiché “mia madre crede suoni il piano in un bordello” come diceva quel collega che ha fatto un sacco di soldi con la faccia di Mitterand, il mio mestiere è un altro e per il momento non corro il pericolo.

Da Parola di cane, un articolo – anzi, una «nuova madeleine» pubblicata da Giuseppe Ravera nel suo sempre intrigante blog Le Nuove Madeleine. Oltre che bello in sé, ho trovato l’articolo sorprendentemente correlato con questo mio post sugli animali in letteratura di solo qualche giorno fa. Leggeteli, l’articolo nella sua interezza, cliccando sull’immagine lì sopra – che ritrae un Aberdeen Terrier, ovvio – e il blog di Ravera. Riserva sempre interessanti e gustose perle di cultura letteraria – e non solo di quella. Merita parecchio, ecco.

Jan Brokken, “Bagliori a San Pietroburgo”

Vi sono città, al mondo, il cui fascino non è tanto legato alla loro appariscenza urbanistica e architettonica oppure alla storia e al retaggio che ne deriva. Sono città il cui Genius Loci, più che dalla forma e dalla geografia urbana, è veramente reso “vitale” da un inopinato addensamento di significati culturali e artistici, che si manifesta allo sguardo e allo spirito sensibili in maniera alquanto fisica e intensa pur restando un elemento formalmente immateriale.
San Pietroburgo è certamente una di quelle città. C’è l’Ermitage, il Palazzo d’Inverno, la Neva, la celeberrima Prospettiva Nevskij e tutti gli altri tesori cittadini, certamente. Ma il fascino profondo della città baltica, ciò che la rende una delle più belle e irresistibilmente intriganti d’Europa, viene da altro. Viene da un intreccio incredibile, raro da trovare altrove, dei percorsi vitali di grandissimi personaggi, di sorprendenti vicende umane, di opere d’arte immortali e da ogni altra cosa che da questa rete di connessioni oltre modo preziose deriva, vera e propria “mappa geoculturale” cittadina che ben più di quella stradale disegna la città e le dà forma.
Una mappa che esplora da par suo Jan Brokken, grande scrittore e viaggiatore olandese, e dentro la quale accompagna il lettore del proprio Bagliori a San Pietroburgo (Iperborea, 2017, traduzione di Claudia Cozzi e Claudia Di Palermo; orig. De gloed van Sint-Petersburg, 2016), vera e propria biografia artistico-letteraria della città russa raccontata attraverso numerosi quadri narrativi in cui Brokken incontra i molti grandi personaggi di ogni arte che sono nati, hanno abitato e vissuto a San Pietroburgo, incontrando i luoghi della città che sono stati scenografia e parte integrante delle loro vite []

(Leggete la recensione completa di Bagliori a San Pietroburgo cliccando sulla copertina del libro lì sopra, oppure visitate la pagina del blog dedicata alle recensioni librarie. Buona lettura!)

Cinque milioni di abitanti!

Quando avevo vent’anni, era comparso un titolone sul giornale: «Una pietra miliare! Leningrado conta cinque milioni di abitanti!» Era un’epoca orrenda, il periodo buio di Brèžnev. Dopo la svolta l’indice di natalità era calato in maniera impressionante, ma niente paura: cos’ha letto Aleksej alla fine del primo mandato di Putin? «Pietroburgo conta cinque milioni di abitanti! Una pietra miliare!» Dopodiché le fabbriche hanno chiuso, una dopo l’altra, migliaia e migliaia di operai sono andati via. E cosa ha letto Aleksej sul giornale alla fine del 2014? «Congratulazioni, Pietroburgo! Cinque milioni di abitanti!»

(Jan BrokkenBagliori a San Pietroburgo, Iperborea, 2017, traduzione di Claudia Cozzi e Claudia Di Palermo, pag.126.)