Robert Weis, “Ritorno a Kyoto”

«I viaggi sono i viaggiatori» scrisse Fernando Pessoa. È una frase che trovo bellissima e assai profonda, nel suo minimalismo fatto di tre sole parole fondamentali che però raccontano moltissimo del senso del viaggiare. Mi piace anche nella versione “ribaltata”: «I viaggiatori sono il viaggio», per lo stesso principio in base al quale il paesaggio esteriore, quello dove ci si muove e con il quale si interagisce viaggiandoci, si riflette sempre – nel viaggiatore autentico e consapevole – in un conseguente paesaggio interiore, che compendia e congiunge le forme dei luoghi visitati e la sostanza dei pensieri e dei sentimenti di chi li visita. Anzi, quello interiore nel viaggiatore suddetto diventa quasi sempre il paesaggio “primario”, quello dei due che dà senso all’altro e non viceversa, come verrebbe da pensare. Tutto ciò vale ancor più quando il viaggio viene intrapreso non solo come forma di conoscenza compartecipata e interattiva del mondo ma pure come pratica di rinnovamento, di trasformazione personale, di evoluzione mentale e spirituale, magari a seguito di un periodo difficile.

D’altro canto «Quando sei nel dubbio mettiti in moto» scrisse David H. Lawrence: un’altra affermazione che trovo fondamentale e lampeggia sempre nei miei pensieri, come un’insegna al neon. Il dubbio è spesso la conseguenza di una crisi, di una messa in discussione di alcune delle proprie certezze sulle quali si è deciso di fondare la propria quotidianità che invece si rivelano fragili. E la crisi, termine che viene dal latino crisis, in greco κρίσις, impone una scelta, una decisione (ciò significa letteralmente il termine), dunque un cambiamento, tanto più radicale quanto più l’origine è importante ovvero grave. Per Robert Weis, scrittore lussemburghese, paleontologo di formazione, il cambiamento conseguente a un periodo difficile è proprio il moto, il viaggio dall’altra parte del mondo, in Giappone, che rispetto al nostro di mondo rappresenta per molti versi un “altro” pianeta – soprattutto culturalmente, socialmente e sociologicamente: Ritorno a Kyoto (Gagio Edizioni, 2025, traduzione a cura dello stesso autore; orig. Retour à Kyôto, 2023) è il “diario” (uso questo termine per temporanea comodità, ma non è così adatto: spiego meglio più avanti) che racconta la sua esperienza al riguardo, il racconto di un viaggio fuori dal proprio mondo, dalla vita ordinaria prima vissuta, «dedicata più al mantenimento dello status quo che all’accettazione di un cambiamento» e al contempo dentro se stesso, lì dove è indispensabile ritrovare il mondo esteriore al fine di sentirsene pienamente parte e non un elemento variamente estraneo se non alieno []

(Potete leggere la recensione completa di Ritorno a Kyoto cliccando sulla copertina del libro lì sopra, oppure visitate la pagina del blog dedicata alle recensioni librarie. Buona lettura!)

Chiude la Libreria del Viaggiatore di Roma

Come ebbi a scrivere già in altre simili occasioni, quando chiude una libreria si perde un pezzo di civiltà. Che è fatta in primis di cultura e di socialità, la civiltà, e dunque la perdita e il danno sono tripli.
Purtroppo, riferisce nei giorni scorsi “La Repubblica” (qui l’articolo relativo, il video invece è di Luca Salici), «Chiude la storia “Libreria del Viaggiatore“, fondata nel 1990 da Bruno Boschin a via del Pellegrino e rilevata da Luigi Politano ed Eleonora Pellegrini, già proprietari della casa editrice Round Robin. Il locale di culto per i lettori-viaggiatori romani e non, il 31 dicembre sarà costretta a lasciare la sua sede senza sapere, almeno per ora, cosa ne sarà del patrimonio custodito fra le sue mura, composto da ben dodicimila volumi di viaggio che devono trovare un nuovo alloggio o condannarsi a un deprecabile e deleterio* oblio.»
Un oblio del quale un paese già culturalmente allo sbando come l’Italia non ha per nulla bisogno e che ne danneggia ancor più la (residua) vitalità umanistica – al solito, nell’indifferenza di più, politici in primis.

(*: “deprecabile e deleterio” ce li ho aggiunti io, inevitabilmente.)