Vi avrebbero dato la patente se non aveste saputo dove fosse la leva delle frecce sull’auto? E al corso di sci, vi avrebbero promosso se aveste curvato bene verso destra ma male verso sinistra? Oppure – giusto per fare un altro esempio random – al corso di pasticceria, se nel provare a fare la pasta frolla vi fosse venuta una schifezza?
Sì, forse sì. In fondo, non sarebbe stata del tutto colpa vostra se chi vi doveva insegnare come fare bene certe cose magari non l’ha saputo fare, ma è anche vero che le eventuali evidenti lacune potrebbero essere adeguatamente colmate in autonomia, con solo un poco di impegno e applicazione. A meno che tali lacune vi siano invisibili e/o vengano ignorate, convinti viceversa di essere pressoché perfetti nel fare ciò che fate, e di poterlo tranquillamente presentare al prossimo, magari pure con un certo vanto, ricavandone di contro delle figuracce terribili che probabilmente pochi avranno il coraggio di rimarcarvi per mera cortesia e/o commiserazione, però lasciandovi così crogiolare in quel suddetto ingiustificato vanto.
Sia chiaro, mi sto riferendo a un soggetto indefinito, non certo a voi che state leggendo questo post! – beh, “indefinito” forse sì, però assai diffuso…
“Il primo bisogno d’Italia è che si formino Italiani dotati d’alti e forti caratteri. E pure troppo si va ogni giorno più verso il polo opposto: pur troppo s’è fatta l’Italia, ma non si fanno gl’Italiani” sostenne Massimo D’Azeglio ne I miei ricordi. Beh, a ‘sto punto, vedendo e leggendo un po’ ovunque in giro come scrivono molti, anzi, troppi italiani – soprattutto sul web, il quale temo abbia indirettamente peggiorato la situazione – sovente in posizioni e mansioni che invece richiederebbero una più che buona conoscenza della propria lingua madre e a volte seppur dotati di un grado di istruzione superiore, bisognerebbe mutare quel celebre motto del D’Azeglio in s’è fatta l’Italia, ma non s’è fatto l’italiano – ovvero, versione alternativa, s’è fatta l’Italia ma s’è sfatto l’italiano!
Ecco: detto ciò, ritengo sia ormai indispensabile istituire con urgenza un comitato di difesa e
salvaguardia strenua per ciascuno di quei tanti diseredati elementi, oggi e sempre di più, della nostra lingua. In primis, quella poveraccia della lettera “H”, credo la più bistrattata del nostro alfabeto, eppoi il congiuntivo, della cui drammatica realtà ho disquisito qui sul blog poco tempo fa, oppure la punteggiatura, altra reietta maltrattata troppo di frequente in modo inaccettabile, o ancora gli accenti, l’apostrofo e molti altri – inutile rimarcarlo, tanti piccoli/grandi esempi di una questione assai più grande e, sotto molti aspetti, grave, come è da tempo cosa lampante.
Voglio dire: meglio uno che non scriva correttamente “ha fatto” dimenticando l’h piuttosto che dimentichi l’onestà, la lealtà, il senso civico o altri valori necessari al buon vivere sociale (affermazione populista, forse, ma pragmatica); tuttavia, sarà che, per ciò che faccio e dunque essendo quotidianamente a contatto con la lingua e la scrittura nonché occupandomi di frequente negli ultimi tempi di tematiche linguistiche, sono particolarmente sensibile a tale questione – che poco o tanto coinvolge tutti, sia chiaro, perché purtroppo di una certa incuria verso la nostra lingua, parlata e scritta, ben pochi non sono colpevoli! – ma d’altronde sono convinto che effettivamente, se si è fatta l’Italia ma gli italiani ancora no, è anche perché non s’è mai del tutto fatto ovvero, appunto, si è troppe volte sfatto l’italiano: e se un popolo non è in grado di padroneggiare per bene la propria lingua, non sarà di sicuro mai in grado di generare quegli alti e forti caratteri nazionali invocati dal D’Azeglio (e da un naturale buon senso, a ben vedere) che fanno il popolo stesso. E se non c’è questo, nemmeno ci può realmente essere l’Italia, qualsiasi cosa essa sia.