Quando un autore debutta come poeta, continuerà a guardare il mondo come un poeta. Spero che lo si noti anche nella mia prosa; le mie opere sono un po’ come me: inquiete e impazienti. Non riesco a immaginare di poter continuare a scrivere romanzi, e anche se è difficile che torni a usare una forma “pura” di poesia, cerco sempre di includere dei passaggi poetici nei miei scritti.
(Kari Hotakainen, A volte, ieri, domani; citato da Nicola Rainò nella postfazione de La Legge di Natura, Iperborea, 2015.)
Il grande scrittore finlandese ha perfettamente ragione: non c’è miglior modo per cominciare un’attività letteraria se non partendo dalla scrittura poetica. È in assoluto la “scuola” più efficace per sviluppare e affinare lo stile, la composizione dei periodi, la sensibilità narrativa, l’armonia della leggibilità e la generale piacevolezza di lettura; ed è altrettanto vero che, se pure chi si occupa esclusivamente di prosa riesce a mantenere verso il mondo e gli ambiti da cui trae le sue ispirazioni una visione poetica, la bellezza dei suoi scritti nonché la loro profondità narrativa se ne giovano – e se ne gioveranno – sempre.
Ovviamente, prima di essere messa per iscritto, la poesia va studiata a lungo, dacché tra le manifestazioni scritte della creatività artistica resta la più alta e nobile così come la più difficile, dunque quella da dover conoscere al meglio prima di poter essere riprodotta. Purtroppo pare che, in molti (troppi) casi, questo articolato passaggio preliminare venga ignorato e saltato a piè pari. Il che equivale a mettere un’auto da competizione nelle mani di chi creda di essere un pilota senza mai essere stato in un autodromo: non potranno che uscirne soltanto incidenti – letterari, certo, ma a loro modo “tragici”.