
L’immagine del paesaggio è cartina al tornasole per conoscere il rapporto dell’uomo con l’ambiente in cui vive e opera, ponendo in luce le relazioni tra le forze di natura e quelle della cultura. Attraverso il paesaggio l’uomo propone comunque una rappresentazione di sé, contenuta nell’interfaccia costituita dalla fisionomia del territorio e del suo carico di significati: «Il paesaggio non è soltanto, come lo intendono i geografi, lo spazio fisico costruito dall’uomo per vivere e produrre, ma anche il teatro nel quale ognuno recita la propria parte e facendosi al tempo stesso attore e spettatore. Questo nel senso greco di théatron, derivato da thásasthai = contemplare, guardare da spettatore».
[Massimo Centini, I segni delle Alpi, Priuli & Verlucca, 2014, pag.183.]
Quello che asserisce Centini, citando nella seconda parte del brano Eugenio Turri, è interessante anche nell’interpretazione contestuale al rapporto con il paesaggio che viene imposto da molto del turismo contemporaneo, ove il paesaggio che è teatro evolve nel diventare vero e proprio palcoscenico di una “messinscena” nella quale allo spettatore-turista viene chiesto di recitare non solo una propria parte ma un copione sul quale c’è scritto tutto – tutto ciò che è funzionale a chi governa sul palcoscenico e che pretende di imporre la propria regia nonostante nulla o quasi sappia dell’arte teatrale. In questo modo il teatro diventa “teatrino”, lo spettacolo si tramuta in parodia, si genera la finzione e tutto viene banalizzato a livello di farsa di quart’ordine. Però sai le risate degli spettatori tramutati in attori, eh? O, per meglio dire, tramutati in ridanciane marionette, ecco.