Se la legge Levi, le librerie ti bevi!

Sconti-libri-altraversioneAl di là del bislacco gioco di parole del titolo (pardon!), penso che molti di voi già conosceranno – almeno per nome – la cosiddetta Legge Levi, o “Legge sul prezzo dei libri”, controversa normativa che nel 2011 ha cercato di mettere un certo ordine al mercato editoriale italiano (in gran ritardo rispetto ad altri paesi europei, more solito!) e, tra le altre cose, fissato un tetto massimo al valore di sconto applicabile ai prezzi di vendita dei libri, con ciò venendo incontro alle richieste della piccola e media editoria e delle librerie indipendenti ma di contro scatenando vivaci proteste di molti lettori fautori del “meno costa meglio è”, sovente ritenendo che tale strategia commerciale sia indiscutibile ausilio alla vendita di libri e alla diffusione della lettura.
Bene – o male, fate voi: è notizia di solo qualche giorno fa (io la prendo da qui) che una delle norme contenute nella bozza del disegno di legge sulle liberalizzazioni e sulla concorrenza, su cui il governo in carica è al lavoro, predisporrebbe l’abolizione del limite massimo del 15% di sconto applicabile sui libri, appunto sancito dalla suddetta Legge Levi nel 2011. Di conseguenza verrebbero aboliti i commi 3 e 4 dell’articolo 2 della normativa che, rispettivamente, permettevano una deroga alla regola del tetto massimo agli sconti per il mese di dicembre e fissavano uno sconto massimo del 20% in occasione di eventi particolari come manifestazioni o fiere (sempre che tali commi fossero effettivamente rispettai dai soggetti coinvolti, ma questo è un altro discorso).
Un’abolizione, in buona sostanza, che consentirebbe di nuovo ai maggiori gruppi editoriali e alla grande distribuzione (sovente in comunella, lo si sa bene) di fare il bello e il cattivo tempo sui prezzi di vendita dei libri, con modalità consentite dai propri grandi numeri e, di contro, sostanzialmente impossibili per l’editoria indipendente e per quelle librerie di ugual natura (ovvero non di catena, ma quelle oggi ormai si fanno chiamare bookshop, non più banalmente “libreria”!) che devo subire imposizioni di prezzo e condizioni di vendita insostenibili nei confronti della grande distribuzione o della vendita on line. Tutto questo, per di più, aggravato dal fatto che tali angustie commerciali vanno a colpire un’editoria che ancora produce letteratura di qualità, a fronte invece di quanto prodotto, distribuito e imposto dai grossi gruppi editoriali – ma non vado oltre, anche qui, per non imboccare strade speculative infinite che peraltro avrete percorso più volte pure voi.
Insomma, il ritorno di un lobbismo editoriale (!) senza pudore, capace di influenzare la politica (ma non ci vuole molto, suppongo) a tutto vantaggio di un’oligarchia che, per come ha lavorato negli ultimi anni, ha fatto più danni che buone cose per l’editoria, la letteratura e – soprattutto – per la cultura nazionale, a fronte di una situazione di mercato palesemente sbilanciata e deprecabilmente lasciata in condizioni di liberismo assoluto. Peccato che si stia parlando di libri, ovvero oggetti culturali, e di cultura diffusa, appunto, non di detersivi o ciabatte da mare – il che dimostra, una volta ancora, la mancanza di preparazione non solo tecnica ma pure culturale di certa classe politica e dirigente nostrana quando abbia a che fare con cose di una certa delicatezza.
Se effettivamente l’abolizione delle suddette norme – ovvero lo svuotamento sostanziale della Legge Levi, controversa e discutibile quanto si vuole ma almeno primo passo per regolarizzare il settore – andrà in porto è ancora da vedere, tuttavia mi chiedo nuovamente perché, molto semplicemente e banalmente, visto che siamo comunque un paese del pianeta Terra e non di Nettuno o di Alpha Centauri, non si dia un’occhiata ad altre situazioni simili intorno a noi e a legiferazioni in materia che sembrano funzionare bene: la normativa vigente in Germania, ad esempio, che fin dal primo articolo recita così: “La presente legge è volta alla tutela del libro inteso come bene culturale.” Quella italiana inizia invece così: “La presente legge ha per oggetto la disciplina del prezzo dei libri.” Sarò esageratamente caustico, ma temo che già così poche parole dimostrino molto, se non tutto.

N.B.: articolo pubblicato anche su CULTORA, qui.

5 pensieri riguardo “Se la legge Levi, le librerie ti bevi!”

  1. Pur non concordando completamente, direi che la chiusura del tuo articolo descrive perfettamente e sottolineo perfettamente come è nata la legge. Non viene tutelato il libro in quanto cultura, ma come oggetto, come bene. Terribile.
    Quello che affosserà le librerie, quelle piccole in particolare, sarà la non cultura, prima che il prezzaccio o la politica sbagliata delle distribuzioni, dei libri imposti e così via.
    Grazie mille dell’articolo.

    1. Grazie a te del commento, Gianni!
      Certamente hai ragione: il problema del prezzo dei libri è estremamente pratico, e se ci fosse una reale cultura diffusa, in questo paese, non avrebbe modo di esistere. Dunque è vero, il primo nemico dei libri e della lettura, e di tutti quelli che ci lavorano, è quella incultura che – ne sono certo – strategicamente viene instillata nella gente comune, inesorabilmente, attraverso mille mezzi. Perché anche non promuovendo la cultura, come le istituzioni nostrane sovente dimostrano di fare meglio di chiunque altro, la si soffoca: cosa ovvia ma forse non così tanto.
      Grazie ancora, e buona giornata! 🙂

  2. Lo sconto selvaggio in nome di qualcosa che non è chiaro nemmeno ai nostri politici (piuttosto miopi invero) non serve a rilanciare la cultura (basta leggere cosa stanno predisponendo per i nostri musei) ma semplicemente a incrementare le vendite di libri scadenti, che i grandi editori hanno acquistato a caro prezzo dall’estero oppure hanno pagato personaggi dubbi ma ben presenti sui media, prima ancora di vendere un sol pezzo.
    E’ un po’ come lo scriteriato balzello pro Siae sui dispositivi di memoria, balzello che serve a remunerare i soliti noti.

    1. Bravo Orso, hai detto tutto in poche parole. E quel meccanismo che ha portato a vendere a prezzi superscontati libri pessimi, mentre di logica dovrebbe avvenire il contrario, è tanto perverso da finire per danneggiare pure quelli che lo mettono in atto, ma che sono così miopi (forse perché “fratelli ideologici” dei politici che citavi?) da non rendersene conto. A meno che si voglia sostenere la teoria che, leggendo un libroide (come li definisce Gian Arturo Ferrari) di quelli, poi si finisca per leggere Proust: costa statisticamente meno probabile del trovare una giraffa in Antartide, temo.
      Grazie come sempre della tua presenza, eh! 🙂

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