“Difendiamo la Montagna”: un coordinamento per la tutela e lo sviluppo equilibrato dei monti lecchesi (e non solo)

Martedì 2 dicembre scorso è stato presentato a Lecco con una conferenza stampa il Coordinamento “DIFENDIAMO LA MONTAGNA”, un nuovo soggetto che intende operare a favore dei territori montani della provincia di Lecco e delle loro comunità residenti mettendo in dialogo costante le istituzioni, l’associazionismo di montagna e ambientale, esperti e studiosi dei temi legati alle terre alte e la società civile.

Il Coordinamento è nato su iniziativa di alcune persone che si occupano a vario titolo di cose di montagna, oltre a esserne tutti quanto degli assidui frequentatori – Emilio Aldeghi, Arianna Cecchini, Paolo Galli, Ruggero Meles, Giovanni Ponziani, Silvia Tenderini e lo scrivente – e si è strutturato attraverso frequenti interlocuzioni con l’associazionismo di montagne e di tutela ambientale lecchese durate due anni, nel corso delle quali sono emersi vari temi e motivi che hanno supportato la decisione di costituire il Coordinamento – a cui hanno già aderito alcune associazioni mentre se ne attendono altre.

[Il servizio sulla conferenza stampa andato in onda nel TG di “UnicaTV” il 3 dicembre. Cliccate sull’immagine per vederlo, il servizio parte a 19’05”.]
Innanzi tutto la realtà del territorio montano lecchese, dotato di grandi valenze paesaggistiche, turistiche, culturali, identitarie oltre a rappresentare una cerniera prealpina fondamentale, non solo dal punto di vista geografico, tra la parte più antropizzata della Lombardia, quella a nord di Milano, e l’area prettamente alpina, quella retica e valtellinese. Valenze numerose e importanti delle quali però a volte la popolazione locale non ha piena consapevolezza, come si evince quando vengano proposte particolari iniziative di sviluppo turistico verso le quali il territorio, poste le suddette specificità, si presta molto.

Di contro, tanto in queste circostanze quanto in generale, è spesso carente se non del tutto assente il dialogo tra i decisori politici e istituzionali e la società civile, il che rende indispensabile la tessitura di una interlocuzione costante e consapevole tra istituzioni e comunità locale riguardo i processi decisionali e gli interventi proposti nei territori. Per questo il Coordinamento non nasce contro qualcuno o qualcosa ma proprio per diventare un media tra istituzioni, territorio montano, comunità e ulteriori soggetti funzionali al miglior sviluppo possibile della montagna lecchese.

[Il centro di Lecco con sullo sfondo il Resegone, insieme alle Grigne le montagne lecchesi per eccellenza. Immagine tratta da https://leccotourism.it.]
Dunque gli obiettivi di “DIFENDIAMO LA MONTAGNA”, oltre a quanto già ben intuibile nel nome e nel “sottotitolo” del Coordinamento sono quelli di (far) conoscere, analizzare, riflettere, informare, dialogare, se è il caso di contrastare ma innanzi tutto contribuire a mantenere sempre al centro territorio, paesaggio e comunità ovvero salvaguardia del territorio, sviluppo economico, sociale e turistico, bisogni e istanze della comunità nell’ottica già rimarcata del miglior sviluppo possibile per le montagne lecchesi.

“DIFENDIAMO LA MONTAGNA” è un Coordinamento assolutamente aperto, nel senso al netto di chi vi aderisce che chiunque – associazione, ente, gruppo sociale, soggetto privato – vi si può appoggiare stabilmente oppure in occasione di determinate circostanze e azioni, nella più totale libertà reciproca di movimento e opinione; anche per questo è stato definito in quel modo e non come “Comitato” o altro titolo del genere. Parimenti, il Coordinamento intende creare una rete di azione civica a favore delle montagne con le altre realtà simili che operano sulle Alpi italiane, nella certezza che «l’unione fa la forza» e fa anche massa critica a sostegno della tutela dei territori montani e in sostegno delle loro comunità.

[La home page del sito web del Coordimamento. Cliccateci sopra per visitarlo.]
Tutto quanto rimarcato finora è stato compendiato in un “Manifesto”, che indica le linee guida sulle quali si muoverà l’azione del Coordinamento. Inoltre è già attivo il sito web https://difendiamolamontagna.it/ nel quale si potrà trovare ogni cosa elaborata e messa in atto dal Coordinamento, la documentazione utile a conoscere i fatti di montagna lecchesi, la rassegna stampa, le iniziative organizzate oltre ovviamente allo stesso Manifesto e ai contatti, che si possono utilizzare da subito per qualsiasi comunicazione relativa all’attività del Coordinamento o segnalazione, richiesta, istanza, necessità e per ogni altra cosa che chiunque possa cogliere nel vivere, abitare e frequentare le montagne della provincia di Lecco.

Il bivio sulla strada per il futuro dei Piani d’Erna. Considerazioni attorno a un caso emblematico di sviluppo (o di rovina) di un luogo montano peculiare

[Uno scorcio dei Piani d’Erna, con dietro i monti del Triangolo Lariano e le Alpi occidentali sullo sfondo. Immagine tratta da “La Provincia-UnicaTV“.]
L’inizio dei lavori per le riqualificazioni delle stazioni a valle e a monte della funivia per i Piani d’Erna, meravigliosa la località sopra Lecco alle falde del Resegone che rappresenta uno dei luoghi principali per lo sviluppo turistico del territorio locale previsti dalla giunta comunale lecchese in carica è stato l’occasione per rimarcare, da parte della stessa giunta, quale siano gli obiettivi pensati.

«Abbiamo già realizzato in quota interventi per l’organizzazione di eventi e manifestazioni – ha dichiarato il sindaco di Lecco Mauro Gattinonima anche per consentire le necessarie opere di manutenzione del territorio, lo sviluppo delle microeconomie che siano commerciali o agricole, secondo anche uno studio predisposto da Legambiente. A monte sarà creato uno spazio di accoglienza per il pubblico, locali di ricovero, ma anche sale per eventi e conferenze». L’assessore comunale agli eventi Giovanni Cattaneo ha aggiunto che «L’aspettativa, inoltre, è quella di avviare una collaborazione con le varie associazioni, quale premessa per lo sviluppo. Quello che presentiamo oggi è un cantiere fisico ma ce n’è anche uno di idee.»

[L’attuale funivia che sale ai Piani d’Erna.]
Uno dei punti nodali del progetto di sviluppo turistico dei Piani d’Erna è la nuova strada agrosilvopastorale, parecchio discussa e contestata da vari soggetti dell’associazionismo di montagna e ambientale ma per la quale il Comune ha già previsto uno stanziamento di un milione e 300 mila euro. Il sindaco Gattinoni, riferisce la stampa locale, ha nuovamente assicurato che si tratterà solo di una strada di “servizio”. Non sarà percorribile nemmeno da residenti ed esercenti ma avrà solo scopi di sicurezza, utilizzabile in casi di emergenza e per facilitare gli interventi di manutenzione in quota.

Di questa strada, come detto già ampiamente contestata e da molti ritenuta un rischio per la salvaguardia della bellezza e dell’integrità ambientale dei Piani d’Erna, ho già ricostruito la vicenda in questo articolo dello scorso marzo. La situazione di fatto è la stessa di allora, dunque anche le riflessioni che ne possono scaturire. Che la nuova strada possa generare vantaggi e utilità per lo sviluppo sostenibile non turistico (per questo c’è già la funivia) dei Piani è vero; che tali potenziali vantaggi debbano essere messi a confronto con gli altrettanto potenziali rischi derivanti è inevitabile. Che in base a tali aspetti si possa elaborare un punto di equilibrio è tutto da vedere, e comunque ciò dovrà essere un elemento imprescindibile nel caso che veramente la strada venga realizzata.

[Una cartolina degli anni Settanta, quando ai Piani d’Erna si sciava.]
Dal mio punto di vista, dalla questione e dal suo stato di fatto possono scaturire due evoluzioni sostanziali.

La prima: la nuova strada agrosilvopastorale non viene realizzata. Si perde la possibilità di sviluppare ai Piani quelle forme di economia locale legate alla silvicoltura, alla pastorizia e alla conseguente attività casearia (sempre che le potenzialità in tal senso siano effettivamente confermate) già indicate nel progetto “BeyondSnow” curato da Legambiente, il quale ha avuto nei Piani d’Erna una delle aree-pilota in forza del suo passato sciistico, nonché si limita fortemente la possibilità di organizzare eventi artistici di una certa portata (per la cui sicurezza una via di accesso alternativa ai Piani è resa necessaria dalle leggi vigenti) oltre che la mobilità dei residenti, stanziali o periodici – seppur, come visto, il sindaco di Lecco abbia assicurato che la transitabilità sulla nuova strada non sarebbe concessa nemmeno a residenti e esercenti. Di contro, si salvaguarda la peculiarità più unica che rara (almeno in questa parte delle Prealpi lombarde) del “balcone di Lecco” quale località priva di accesi motorizzati, attorno alla quale può essere rielaborata e rilanciata una conseguente strategia turistica legata alla frequentazione del tutto ecosostenibile del luogo e facendone un laboratorio di buone pratiche al riguardo, il tutto a due passi dalla iperurbanizzata area metropolitana lecchese. Inoltre, si eviterebbe il rischio che la nuova strada diventi una pista per transiti motoristici illegali (ma ovunque pressoché impuniti) e si risparmierebbe sulle inevitabili spese di manutenzione di un tracciato comunque ostico e potenzialmente soggetti a dissesti, visto il territorio nel quale si sviluppa e i danni sempre più frequenti legati al divenire della crisi climatica.

La seconda: la nuova strada agrosilvopastorale viene realizzata. Si consente lo sviluppo di tutte le attività sopra elencate e di contro ci si espone ai rischi indicati, soprattutto riguardo transiti motorizzati non consentiti (posto che i controlli della forza pubblica in loco non sarebbero così semplici) e a dissesti lungo il tracciato, che necessiterebbe di una manutenzione pressoché costante al fine di mantenere la transitabilità decente e priva di pericoli oggettivi, con relativi ingenti costi da mettere obbligatoriamente a bilancio. Di contro, si perde quella sostanziale, rara e peculiare caratteristica dei Piani d’Erna di località priva di mezzi a motore, raggiungibile solo con la funivia (nonché, usufruendo di treno e bus, senza nemmeno utilizzare l’auto), il che le dona il privilegio di una dimensione già prettamente alpestre e ambientalmente di pregio a pochi minuti dal centro di Lecco e del suo territorio iperantropizzato. Con il rischio oggettivo che, in mancanza di una precisa regolamentazione giuridica sulla fruizione della strada, che sia permanente nel tempo senza possibilità di deroghe, il transito motorizzato da e per i Piani d’Erna diventi in breve ingente e incontrollato, deteriorando completamente la dimensione alpestre prima citata.

[Un’altra veduta dei Piani d’Erna, con la città di Lecco ai suoi piedi e in lontananza la Brianza lecchese e comasca.]
Ora: tra queste due possibilità e ciò che sostanzialmente comportano, considerandone gli aspetti contrapposti in modo sovente incompatibile, si può trovare un compromesso? Ad esempio: si realizza la strada ma la si regolamenta in maniera giuridica e chiara tramite clausole invariabili nel tempo, si trova il modo di impedire efficacemente qualsiasi transito non autorizzato e si garantisce in maniera altrettanto giuridica la presenza nel bilancio del Comune di Lecco di un fondo permanente mirato alla manutenzione ordinaria e straordinaria del tracciato. Oppure: non si realizza la strada e si potenziano, nel prossimo futuro, le infrastrutture esistenti ovvero la funivia e soprattutto la teleferica per il trasporto di materiali, ferma da tempo, così da garantire a chi risiede e lavora ai Piani una plausibile accessibilità di persone e cose. Sono solo ipotesi che propongo così su due piedi, sia chiaro, tra tante altre che potrebbero essere formulate.

D’altro canto, qualcuno potrebbe pure ritenere inammissibile la necessità di un compromesso, schierandosi senza possibilità di mediazione a favore dell’una o dell’altra possibilità prima rimarcate. Di sicuro, qualsiasi scelta si compia intorno al destino dei Piani d’Erna, è indispensabile e inderogabile che al centro di tutto vi sia il luogo, la sua anima peculiare, la valenza che possiede, la bellezza del suo ambiente e del paesaggio, la consapevolezza del patrimonio che rappresenta per Lecco e per la sua comunità nondimeno che per i forestieri che amano frequentarla e lo fanno con pari atteggiamento consapevole. Molte volte, in circostanze similari, sembra che tali evidenze più che ovvie sfuggano ai decisori ovvero vengano ignorate e dimenticate a favore di mere utilità, vantaggi e tornaconti particolari: c’è da augurarsi che ciò non accada ai Piani d’Erna, ne oggi ne mai.

Un nuovo ripetitore sul Grignone: utile, forse, ma pure necessario?

[Alba estiva sul Grignone, visto dalla vetta della Grignetta. Immagine tratta da lariusway.com.]
La Grigna Settentrionale, o Grignone, è una montagna che non ha bisogno di presentazioni, tanto per la fama che la caratterizza quanto per la bellezza dei suoi paesaggi alpestri, apprezzati da tutti e non a caso tutelati dal Parco regionale della Grigna Settentrionale.

Bene: leggo sulla stampa locale (qui ad esempio) che sulla cresta sommitale del Grignone, proprio dove passa la via “normale” di salita dalla Valsassina, stanno costruendo una nuova antenna per telecomunicazioni. Sarà posizionata qualche metro sotto il filo di cresta così «da non intaccare lo skyline delle Grigne», ciò non toglie che si tratta di un manufatto che viene inserito in un contesto alpestre peculiare, tanto più che, oltre all’antenna, pare verrà aggiunta una volumetria di circa 20 metri cubi per un nuovo bivacco con defibrillatore e kit di pronto soccorso, a poca distanza dall’attuale Bivacco Merlini, in realtà malmesso da tempo, e soprattutto del rinomato Rifugio Brioschi, posto appena sotto la vetta del Grignone.

Augurandoci che venga almeno eseguita in maniera impeccabile, visto che ormai i lavori sono partiti, l’opera rappresenta in ogni modo una ulteriore antropizzazione forzata dell’ambiente naturale montano ed è comprensibile che molti la stiano criticando. D’altro canto bisogna pure augurarsi che sia corretto che l’antenna venga piazzata proprio lì sulla cresta e non altrove e che, dunque, lo scopo della sua realizzazione sia realmente ammissibile.

Di frequente, nella gestione culturale e materiale del paesaggio, quindi nel caso in cui vi si realizzi qualcosa, i termini “utile” e “necessario” vengono sovrapposti. Ciò che è indubbiamente utile ma non strettamente necessario lo diventa d’ufficio, al fine di giustificarne la realizzazione; a volte accade anche il contrario, e qualcosa di necessario diventa semplicemente “utile” così da non renderlo indispensabile e, magari, procrastinarne l’esecuzione.

Eppure “utile” e “necessario” sono due concetti solo apparentemente simili ovvero assimilabili, mentre in realtà i loro significati sono parecchio diversi (sembra ovvio rimarcarlo, ma forse no): il necessario è ciò di cui non si può fare a meno, un elemento indispensabile, mentre l’utile è qualcosa di opportuno e vantaggioso, che apporta un beneficio, ma da cui si potrebbe potenzialmente fare a meno. È un tema sostanzialmente economico, e non a caso si parla di “utile” per riferirsi specificatamente al guadagno di un’impresa – cioè di questa impresa, non di altre, mentre l’indispensabile può e deve (dovrebbe) avere un’accezione ben più ampia nei suoi effetti.

Un esempio eclatante al riguardo è quello dei nuovi impianti sciistici, utili ai comprensori, a chi li gestisce e ai turisti ma non indispensabili per altri soggetti, tuttavia presentati come “indispensabili” (ad esempio per lo sviluppo dei territori o per contrastare lo spopolamento delle valli alpine: due delle “motivazioni” più utilizzate in questi casi) al fine di giustificarne la realizzazione.

[Le Grigne – la Grignetta a sinistra, il Grignone a destra – viste dalla Val San Martino. Foto di Alessia Scaglia.]
Dunque, tornando alla nuova antenna sulla cresta del Grignone: bisogna credere ovvero augurarsi che sia veramente utile, ma è altrettanto necessaria? Posta la sua utilità, potevano essere valutate altre posizioni ove installare il ripetitore meno critiche e opinabili e magari non lo si è fatto solo per mera convenienza (spero non per noncurante superficialità o per altri più opinabili fini)? Inoltre: se una maggiore attenzione e sensibilità verso il paesaggio montano e la sua tutela fossero più diffuse e attive nella nostra società civile, le cose sarebbero andate diversamente?

Purtroppo il nostro paese ha maturato una lunga tradizione di scarsa tutela dei propri territori e dei paesaggi, anche nelle zone montane: senza voler accusare preventivamente nulla e nessuno, è tanto utile quanto indispensabile (qui sì entrambi i termini valgono pienamente) restare attenti e vigili al riguardo e a favore della salvaguardia dei nostri territori, anche nel caso di opere piccole e apparentemente innocue. Ciò, sia chiaro, non significa che non si possa fare nulla, ma vuole indubbiamente dire che ogni cosa che si fa la si deve fare bene in ogni suo aspetto materiale (la qualità del costruito, ad esempio) e immateriale (l’impatto e il portato nel luogo coinvolto per dirne una). Purtroppo questo non sempre è accaduto e accade; sfortunatamente, l’utile continua a diventare spesso più indispensabile del necessario senza che molti se ne rendano conto.

In conclusione, mi piace ricordare ciò che al riguardo scrisse il mai troppo compianto Eugenio Turri, probabilmente il massimo esperto italiano di paesaggio:

Il problema della tutela e del rispetto per il paesaggio è un fatto intimo, da riportare alla coscienza individuale, anche se rientra tra i grandi fatti territoriali, collettivi e addirittura planetari. Non servono prediche, indicazioni disciplinari pesanti, ma solo la lieve carezza di uno sguardo verso il maggiore dei doni che ci sono stati dati sulla Terra e che quindi deve essere amato e rispettato, come bene sacro, troppo spesso tradito in cambio di beni puramente materiali.

Un supermercato in mezzo alle montagne

P.S.Pre Scriptum: ringrazio da subito le testate locali che hanno pubblicato l’articolo seguente, come “Valsassina Oggi” e “ValsassinaNews”. Mi auguro sia chiaro il senso di questo scritto (e se non lo è lo sia, da ora) il quale non è contro qualcuno o qualcosa ma a favore di una riflessione generale, centrata sul caso in questione, riguardo l’abitare, il vivere e il fare comunità sulle nostre montagne, il loro presente e il futuro, l’identità e l’anima che le contraddistingue.

[Immagine tratta da www.sagradellesagre.it.]
Fino a qualche tempo fa non ne ero al corrente, ma quando poi ho saputo che nella piana di Pasturo, tra i monti della Valsassina (provincia di Lecco), sorgerà un supermercato da 1500 mq di una nota catena della grande distribuzione, un acuto senso di rammarico e pure un certo disgusto mi hanno subito attanagliato l’animo.

La piana di Pasturo, in vista di alcune delle più note e belle vette delle montagne lecchesi – il Grignone in primis – è uno dei luoghi più belli della Valsassina, anche per come appaia, sia provenendo dal Colle di Balisio e da Lecco, sia da oltre la stretta di Baiedo e dalla bassa valle, come una sorta di inaspettato “miracolo” geografico in mezzo a versanti montuosi più o meni ripidi, la più ampia area planiziale della Valsassina. La cui rinomata fertilità ha probabilmente conferito il nome al comune nel cui territorio si trova – Pasturo, toponimo che ha una probabile origine latina da pastorium in rapporto con pastura, “il pascere, il brucare”, da cui il lombardo pastura nonché l’italiano pastura, “il pascolare, il luogo dove trovano da nutrirsi le bestie” – ma che parimenti è stato già parzialmente urbanizzato e cementificato proprio in forza della favorevole geomorfologia. Ciò non toglie che la piana resti un angolo del paesaggio locale di grande bellezza e importanza: ci si rende bene conto di ciò soprattutto se la si attraversa a piedi o in bicicletta, a ritmo lento, lungo la ciclovia della Valsassina, che qui inizia e attraversa la piana in direzione della Rocca di Baiedo.

Detto ciò, e tornando alla questione del nuovo supermercato, sono certo – o quanto meno non posso non augurarmelo – che il punto vendita verrà realizzato secondo tutti i crismi della sostenibilità ambientale, che non consumerà suolo in quanto edificato su un’area industriale dismessa e in una zona peraltro giù urbanizzata, come detto, che amplierà l’offerta commerciale locale, che darà lavoro a gente del posto e migliorerà la viabilità circostanze… ok, tutte cose buone e giuste. Ma a che prezzo? O, per meglio dire: a prezzo di quali e quante conseguenze che si manifesteranno non subito ma tra qualche tempo inesorabilmente? E con quale impatto culturale sulle comunità locali?

Io posso anche apparire un ingenuo o un illuso se rimarco la speranza, ormai svanita, che certi modelli consumistici tipicamente metropolitani se ne debbano restare lontani dai territori rurali e dalle montagne, lì dove le comunità dovrebbero ancora essere animate da modus vivendi collettivi e da una socialità concreta, pur tra mille variabili e restando inevitabilmente al passo con i tempi e le mode. In parole povere: in montagna non si vive come in città e questo è un grande pregio; diviene un difetto nel caso l’abitare tra i monti non venga sostenuto da adeguate politiche socioeconomiche, cosa purtroppo assai diffusa in Italia. E se nelle città grandi e piccole i negozi di quartiere e le piccola attività commerciali sono ormai pressoché scomparsi, sostituiti dai grandi supermercati ormai diffusi in gran numero ovunque, ma vi è la possibilità che la loro valenza di aggregazione sociale possa essere sostituita da altri luoghi, nei piccoli paesi spesso se chiude un negozio viene meno la gran parte della socialità, anche perché – ribadisco – purtroppo in passato tanti comuni non hanno salvaguardato gli altri centri di ritrovo per la propria comunità, giovane e meno giovane.

D’altro canto il timore che molti in Valsassina hanno manifestato, cioè che l’apertura del nuovo supermercato provocherà la chiusura di tanti piccoli negozi, non è affatto un timore o un’illusione ma una certezza: sì, tanti negozi in zona chiuderanno, inesorabilmente: è accaduto ovunque in circostanze simili e la Valsassina non si trova su Marte. Chiuderanno anche qui, garantito. Dunque, a fronte dei posti di lavoro che il supermercato offrirà, quanti ne farà perdere nei piccoli paesi del circondario? E con quali impatti sulla quotidianità delle loro comunità, soprattutto della componente più attempata?

[Foto di Maupao70, opera propria, CC BY-SA 4.0, fonte commons.wikimedia.org.]
Tuttavia non c’è solo una questione socioeconomica alla base di tutto ciò, ve ne sono anche di natura culturale, non meno importanti e impattanti. Ne cito solo alcune.

La prima: il modus vivendi al quale risulta funzionale un supermercato che lavora e guadagna su logiche consumistiche, anche laddove offra prodotti di qualità, è ammissibile e integrabile in una dimensione vitale e residenziale comunitaria come quella della montagna? In altre parole: il modello culturale che il supermercato porta con sé è conciliabile con la cultura del vivere in montagna, la quale avrà numerose criticità ma anche innumerevoli pregi? Oppure la vita in montagna si deve conformare sempre di più a quella di città, livellando ogni differenza e dunque inevitabilmente deprimendo le sue specificità?

[Nel cerchio giallo è lo stabile che è stato demolito per fare spazio al supermercato in costruzione.]
La seconda: checché se ne dica, e nonostante il nuovo supermercato di Pasturo sia edificato su una zona ex industriale recuperata senza consumare altro suolo naturale, tale circostanza in loco sancisce un precedente. Molto pericoloso, dal mio punto di vista. Se hanno dato la licenza a quella società della grande distribuzione, perché ad altre non dovrebbero concederla? Chi può garantire – nei fatti, non a parole – che ciò non accadrà, da qui al futuro? La piana peraltro è vasta, di spazio ce n’è ancora e sappiamo bene come in Italia la destinazione d’uso dei terreni possa variare rapidamente e facilmente, quando ve ne sia la convenienza per qualcuno di influente. Ma pure se eventuali altri supermercati dovessero nascere in altri luoghi della valle, i pericoli e le potenziali conseguenze fin qui delineate sarebbero comunque moltiplicate.

[Foto di Ago76, opera propria, CC BY-SA 4.0, fonte commons.wikimedia.org.]
La terza: e il paesaggio? Anche se viene proclamato e assicurato che il nuovo grande edificio verrà integrato e armonizzato con il paesaggio, si tratta comunque di un nuovo manufatto antropico che viene inserito – comunque a forza, inevitabilmente – in un paesaggio di gran pregio e bellezza come quello della piana, che sarà altrettanto inevitabilmente meno bella, meno naturale, meno montana e un po’ più simile a una qualsiasi periferia di città. Con conseguenze in tal caso culturali e ancor più identitarie, ovvero impattanti sull’identità, sull’anima del luogo e su quella di chi lo abita, dato che il paesaggio, lo sancisce la relativa Convenzione Europea, è fatto dall’insieme di elementi naturali e elementi antropici per come vengono percepito e culturalmente interpretato da chi vi interagisce, innanzi tutto dai suoi abitanti. In pratica, quel nuovo parallelepipedo di cemento e vetro sarà edificato anche sul carattere e sull’anima dei valsassinesi, con altrettanto inevitabili conseguenze.

Per carità, magari queste mie sono solo fisime e invece hanno ragione i proponenti del nuovo supermercato, gli amministratori pubblici che l’hanno consentito, i valsassinesi che se ne dicono contenti e si sentiranno più “comodi” nel fare la spesa. Ma giusto di recente ho letto un articolo di Serena Milano, direttrice di Slow Food Italia, che in relazione alla chiusura dell’ultima bottega di un piccolo comune dell’Appennino Ligure, così ha scritto: «Lo spostamento a valle è andato di pari passo con la corsa verso il grande: si costruiscono scuole più grandi, ospedali più grandi, impianti sportivi più grandi. È un processo di sviluppo che genera disuguaglianze sociali.» Un processo che, come si può ben vedere, è presente anche nel commercio al minuto: chiudono i piccoli negozi dei paesi e si aprono supermercati sempre più grandi: una disuguaglianza sociale, economica, culturale, antropologica che ora rischia di manifestarsi anche in Valsassina. Conviene veramente? Forse sì. O forse… chissà.

2025.02.16

Anche questa sera, come è stato per l’intera giornata, veli di tulle nebuloso giacciono sui fianchi dei monti nascondendone le forme, impigliati tra i rami degli alberi, avvoltolati nelle vallette, ammassati nelle conche.

I panorami sono invisibili ma l’atmosfera è magica, potrei dire fiabesca se pensassi che le fiabe esistano nella realtà. Ha ragione l’amico Franco Michieli quando dice che «col bel tempo c’è meno verità», che «la bellezza assoluta è amante del nascondimento»[1] e che certe condizioni meteorologiche che abitualmente definiamo “brutte” in realtà acuiscono e esaltano il mistero insito nel paesaggio naturale, quello che noi a volte non sappiamo più cogliere e comprendere.

Anche ai Piani Resinelli, dove siamo stati oggi a passeggiare (i miei acciacchi fisici al momento mi impediscono di fare di più), l’intera zona era avviluppata dai veli nebbiosi, impigliati alle guglie della Grignetta e da lì distesi sulle faggete, le abetaie, le case, i prati, le strade e i viottoli campestri… una dimensione straordinariamente affascinante dalla quale ogni tanto, quando le velature nebbiose si sfilacciavano per pochi attimi, la mole della Grignetta appariva come un miraggio, dando l’impressione di una montagna ciclopica la cui vetta era così elevata da sparire a quote himalayane nel cielo, in alto terso e azzurrissimo.

E, devo ammetterlo (non me ne vogliano i ristoratori locali), l’atmosfera era affascinante anche perché il tempo apparentemente incerto ha fatto sì che non ci fosse troppa gente in giro, troppe macchine a ingolfare i parcheggi, troppo rumore, troppi schiamazzi. Un tale fascino così peculiare non ammette fracassi: esalta l’amenità del luogo perché smorza ciò che lo disturba.

D’altro canto i Piani Resinelli sono un luogo di bellezza veramente emozionante. A pochi passi dal caos di Lecco, e in vista dei grattacieli di Milano, condensano e fondono diverse nature tipicamente alpestri generandone un paesaggio armonioso, speciale come pochi altri. C’è la Grignetta, una vetta alpina fatta di “pezzi” di Dolomiti, ci sono le abetaie e le faggete maestose, le radure prative punteggiate di case e baite, le pareti verticali e i sentieri placidi, c’è la storia del turismo, dell’alpinismo, dello sci, c’è un’anima vibrante, un Genius Loci che racconta la propria vita su un palcoscenico di raro prestigio.

I Resinelli sono un luogo che deve essere conosciuto e visitato da tanti ma non da troppi, che merita di essere scoperto, esplorato, compreso, amato, non semplicemente fruito e tanto meno goduto, consumato, sperperato. Non come alcuni di quelli che hanno in gestione le sorti politiche dei Piani vorrebbero, per i quali ciò che conta del luogo sembra siano solo i posti auto a disposizione.

No, non sono i posti auto a disposizione che contano, ai Resinelli, ma la pre-disposizione di chi vi sale a coglierne tutta la bellezza peculiare. È un luogo nel quale non si sta ma si è perché genera ben-essere in chi sa percepirlo e farlo proprio.

Sarebbe un peccato, anzi, un disastro lasciarlo in mano al turismo più becero e fracassone. Anche se ci fosse il più bel “bel tempo” immaginabile, ecco.

Intanto il segretario Loki ci sta mettendo un sacco a espletare il suo ultimo bisognino quotidiano. È stanchissimo, ci siamo fatti due passeggiate in due giorni sulla neve e Loki quando vede la neve si entusiasma (e di conseguenza corre e zompa pazzamente) come farebbe un alcolista indefesso se trovasse per strada una chiave sulla cui etichetta ci fosse scritto “Ingresso enoteca”. Già.

Buonanotte.

[1] Le Vie invisibili, pagina 86. Trovate la mia “recensione” qui.