Lo sci in “utile” di Cervinia

In un recente articolo pubblicato su gognablog.sherpa-gate.com, viene commentata (oltre ad altre cose) la notizia che «la Cervino Spa, società di gestione del comprensorio sciistico di Cervinia, comunica di aver appena chiuso il suo bilancio 2022 con il miglior utile della sua storia», osservando dunque che «Chi approfittasse della penuria di neve per gioire della possibile chiusura di molti impianti invernali sarebbe meglio rivedesse le sue posizioni. La realtà supera sempre le nostre ipotesi e l’ottimismo che scaturisce da questo genere di conti economici è la molla più pericolosa per l’ambiente intatto che fa gola agli insensibili». In altre parole, l’ottimo risultato economico conseguito dal comprensorio di Cervinia potrebbe far rialzare la cresta a quelli che sostengono a spada tratta la monocultura dello sci (e quindi i finanziamenti pubblici relativi) come unica forma di economia possibile per lo “sviluppo” delle montagne pur a fronte della realtà climatica e sociale che già ora e ancor più in futuro dovremo affrontare.

Ciò è sicuramente possibile, non fosse altro per quella particolare forma di analfabetismo funzionale che sembra guidare in questi anni gli atti dei promotori dell’industria turistica dello sci. D’altro canto, personalmente leggo la questione da un punto di vista “parallelo”, per così dire, considerando al contempo i bilanci ben più disastrati di molte altre stazioni sciistiche. Il risultato economico di Cervinia, infatti, non è che un’immagine di ciò che in futuro diventerà lo sci: un’attività turistica che si potrà svolgere solamente oltre i 2000 m di quota ovvero dove le condizioni climatiche e ambientali, pur in cambiamento, potranno ancora garantire un apporto di neve e delle temperature sufficienti all’apertura delle piste. Non credo sia un caso, insomma, che un comprensorio che si sviluppa per gran parte sopra i 2500 m come quello di Cervinia stia “guadagnando” (virgolette necessarie): se altrove, a quote più basse, nevica poco o peggio piove e anche quando nevica non fa più così freddo per mantenere aperte le piste (rendendo obbligatorio l’innevamento artificiale con costi che inesorabilmente finiscono per mandare in rosso i bilanci), a Cervinia tale problematica al momento si manifesta in modo mitigato, concedendo dunque alla località un’attrattiva inevitabilmente maggiore rispetto alle stazioni concorrenti.

Il successo di Cervinia, dunque, appare come un ulteriore sprone alla necessaria evoluzione del turismo sciistico sui monti, che dovrà gioco forza adattarsi alla realtà corrente e concentrarsi su quelle stazioni le cui quote potranno garantire una stagione sufficientemente lunga per sostenere i costi di esercizio senza restare troppo in balìa delle condizioni climatiche. Il che assume pure l’aspetto di una strategia “automatica” e inevitabile per lo sci del futuro: prosecuzione (sostenibile, ovvio, e senza ampliamenti delle superfici sciabili) dell’attività dei comprensori sciistici posti oltre i 2000 m, cioè oltre il limite altitudinale che numerosi studi scientifici indicano come quello oltre il quale ancora la neve cadrà in modo relativamente regolare, e conseguente dismissione di tutte quelle stazioni la cui realtà ambientale non consente più la pratica dello sci su pista senza che questa diventi un danno per il territorio e una perdita sostanziale per le casse pubbliche, con messa in atto di nuove strategie turistiche finalmente consone ai luoghi e alle loro attuali e future peculiarità – e ce ne sono a iosa, di progettualità turistiche innovative e al passo con i tempi da poter realizzare sulle montagne italiane! D’altronde chi lo dice che senza lo sci la montagna muore? Solo chi con lo sci pretende ancora di ricavarci un proprio tornaconto e per ciò osteggia qualsiasi cambiamento. Una posizione così di parte e di visione limitata da apparire francamente inattendibile e insostenibile.

Posto tutto ciò – inutile rimarcarlo ma forse bisogna farlo comunque -, non può essere in nessun modo tralasciata l’imprescindibile sostenibilità della gestione turistico-sciistica dei territori montani, sia dal punto di visto ecologico, dunque ambientale e paesaggistico, che economico, quindi sociale e politico. E se a determinare la nuova prossima realtà geografica dello sci ci penseranno i cambiamenti climatici, temo che per la sostenibilità generale dell’industria dello sci ci sia bisogno di cambiamenti culturali che al momento non sembrano ancora così prossimi, già.

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