«Bello questo posto. Non c’ero mai stato» mi dice il tizio giunto per lavoro nel piccolo comune di montagna dove abito. «Certo che però non c’è quasi niente, qui» aggiunge, mentre lo accolgo sull’uscio di casa.
Mi guardo intorno.
Le montagne che si stagliano contro il cielo terso, in alto innevate, le forme dei versanti evidenziate dalla luminosità radente, i boschi e le selve che cingono le case del paese, il profilo delle Alpi Occidentali col Monte Rosa ben distinguibile, i campi laggiù in parte colorati dal Sole e in parte, quella in ombra, ancora bianchi di brina. La strada deserta sotto casa al cui lato passa un ragazzino col suo cane, un asino che raglia, un cane lontano che abbaia, altrimenti la quiete.
A momenti, il rumore di qualche foglia secca che la brezza leggera spinge qui e là.
L’aria frizzante, un vago odore di camino.
Però Milano non si vede, oggi, c’è foschia là sulla pianura oltre la valle dell’Adda.
«Sì, in effetti non c’è granché, qui. Ha proprio ragione!» rispondo al tizio che mi stava guardando senza capire quegli attimi di silenzio.
E’ il quasi che è di troppo 😉
In effetti potevo chiedergli cosa volesse intendere con quel “quasi”. Forse pensava che sui monti le strade non fossero asfaltate o che girassimo su carri trainati da cavalli, chissà.
io intendevo che quando non c’è niente, solo la natura, è perfetto