[La nuova seggiovia “Altavista” di Livigno. Immagine tratta da “La Provincia-UnicaTV“.]Durante l’inaugurazione della nuova seggiovia Altavista a Livigno, avvenuta domenica 14 dicembre, il presidente di Skipass Livigno, Giorgio Zini, ha dichiarato: «Da qui vediamo le montagne del Bormiese e dell’Engadina e sogno un giorno il collegamento anche con questi versanti sciistici». Il presidente Zini fa riferimento da una parte al progetto di collegamento sciistico tra Livigno e i comprensori intorno a Bormio, rilanciato di recente in un evento di Confindustria di Como, Lecco e Sondrio e sul quale ho scritto qui in merito alle moltissime criticità che lo rendono quasi utopico, e dall’altra all’idea di collegamento questa volta ferroviario (quello sciistico è impossibile) tra la valle di Livigno e l’Engadina, da tempo agognato dai primi e molto meno dai grigionesi.
Tuttavia, anche al netto di questi aspetti che non a caso rendono un “sogno” i due collegamenti, fa pensare l’atteggiamento assolutamente no limitsche manifestano – per bocca dei loro rappresentanti – questi pur già grandi comprensori sciistici, certamente attrattivi e dunque “di successo”, turisticamente parlando, ma per i quali sembra che la realtà di fatto non possa mai bastare, che si debba continuamente pensare a ingrandirsi, a espandersi, a superare ogni limite fino a quel punto raggiunto in barba a qualsiasi rispetto e attenzione (non solo ambientale e paesaggistica) verso i territori che verrebbero coinvolti. Ovvero, di contro, dimostrando come il loro apparente successo sia in realtà una sorta di tossicodipendenza turistica e consumistica in forza della quale occorra sempre fare di più: un castello tanto imponente e sfavillante quanto fatto di carte che potrebbe crollare da un momento all’altro, al primo colpo di vento traverso e cioè con qualche variabile negativa che ne infici la sostenibilità economico-finanziaria e/o, di rimando, l’attrattività turistica.
[Il versante Mottolino/Trepalle del comprensorio sciistico di Livigno, dal quale passerebbe il collegamento verso il bormiese, il 15 dicembre alle 13.40. Immagine tratta da qui.]Come si possono conciliare soggetti economici del genere, con i loro interessi particolari, le loro pretese e la visione totalitaria che impongono ai territori ove operano, con la realtà ecologica e ecosistemica attuale e futura delle montagne, con la necessità di preservarne le valenze ambientali, naturalistiche, paesaggistiche come peraltro la Costituzione impone, con la crisi climatica in divenire costante, con la sensibilità crescente delle persone verso questi aspetti della frequentazione ludico-ricreativa delle montagne? Perché è così impossibile per loro “accontentarsi” di quel tantissimo che già hanno e devono pretendere sempre di più, come veramente fossero in preda a una patologia di qualche genere?
Mi sembra che ormai qui si sia ben oltre la più ragionevole etica imprenditoriale, anche di quella maggiormente intraprendente. Tanto più che di mezzo non c’è un spazio libero da riempire di “cose” finché ce ne stanno, ma territori montani di grande bellezza, ambienti naturali preziosi e delicati, patrimoni collettivi di inestimabile valore culturale dei quali non si può pensare si poter fare ciò che si vuole in base ai propri interessi particolari. Non si può, punto.
P.S. – Pre Scriptum: vi avviso, è un post parecchio lungo, ma anche necessariamente lungo. Se lo leggerete capirete perché lo sia.
[Veduta della conca di Bormio verso nord, in pratica verso la zona di Livigno, da Cima Bianca, punto più elevato degli impianti bormini. Immagine tratta da www.travellingwithvalentina.com.]Il 29 settembre scorso è stato presentato lo “Studio Strategico Territoriale” riguardante l’area del Lario, della Valtellina e della Valchiavenna, realizzato dalla European House Ambrosetti e richiesto da Confindustria Lecco e Sondrio e Confindustria Como; ne vedete la copertina qui sotto. Uno studio, molto interessante e ricco di passaggi apprezzabili, che presenta lo stato di fatto dell’area in questione – tra le più significative delle Alpi italiane – sotto diversi punti di vista nonché le azioni prioritarie e i progetti-guida per realizzare scenari strategici innovativi, anche alla luce degli imminenti Giochi Olimpici invernali di Milano-Cortina 2026.
[Cliccate sull’immagine per leggere e scaricare lo Studio in formato pdf.]Detto ciò, nel leggere i resoconti della presentazione sulla stampa (questo, ad esempio), un passaggio ha subitamente e inevitabilmente attirato la mia attenzione più di altri: quello relativo alla proposta di realizzare «un unico comprensorio sciistico in Valtellina interconnesso e di livello internazionale». Ho dunque recuperato lo Studio Strategico Territoriale: la proposta in questione è la 5B (a pagina 179), il cui titolo è “Portare alla piena realizzazione del progetto di integrare gli impianti sciistici dell’Alta Valtellina in un unico comprensorio sciistico interconnesso e di livello internazionale”. Di seguito il testo della proposta:
L’Alta Valtellina, già meta turistica di prestigio, necessita di rafforzare la propria competitività rispetto ai grandi comprensori alpini europei attraverso un progetto di integrazione degli impianti sciistici. L’obiettivo è creare un unico comprensorio interconnesso che colleghi Livigno, Bormio, Santa Caterina Valfurva e Cima Piazzi – San Colombano, ampliando l’area sciabile dagli attuali 200 km a circa 315 km di piste, grazie alla realizzazione di 10 nuovi impianti. Questo intervento consentirebbe di attrarre un turismo internazionale di fascia medio-alta, aumentare la permanenza media dei visitatori e destagionalizzare l’offerta con attività estive come escursionismo e mountain bike.
Il progetto, che potrebbe essere lanciato in occasione delle Olimpiadi Invernali 2026 e consolidato per i Giochi Olimpici Giovanili 2028, rappresenterebbe una legacy duratura per il territorio. Oltre a migliorare la mobilità interna e favorire l’uso sostenibile degli impianti tutto l’anno, l’iniziativa rafforzerebbe la resilienza del turismo locale rispetto al cambiamento climatico, grazie alle quote elevate delle stazioni sciistiche valtellinesi. A medio-lungo termine, sono previste ulteriori opportunità di collegamento con aree svizzere (Saint Moritz e Splügen) e investimenti in ricettività, soprattutto in Valdidentro, per accogliere i flussi turistici attesi e consolidare l’Alta Valtellina come polo internazionale dello sport e del turismo alpino.
La proposta viene poi sviluppata in diverse altre parti dello Studio, che ho analizzato. In buona sostanza, rilancia l’idea già ventilata da tempo di creare il suddetto comprensorio sciistico unico, che qualcuno vorrebbe addirittura ampliare alla Valle Camonica con il collegamento agli impianti del comprensorio “Adamello Ski” attraverso il Passo del Gavia. Nello Studio la proposta è sì sviluppata seppur in chiave ipotetica, ma comunque contiene numerosi passaggi che trovo discutibili se non del tutto errati, il che la rende piuttosto significativa della visione di sviluppo dei territori montani che sovente viene presentata da soggetti di natura economica: una visione parecchio superficiale, decontestuale e a volte alienata (e alienante) rispetto ai territori stessi.
[Veduta del comprensorio sciistico di Bormio, tratta da facebook.com/bormioski.]Analizzo di seguito alcuni dei passaggi più “interessanti” dello Studio.
A pagina 180: «L’iniziativa per integrare gli impianti sciistici dell’Alta Valtellina si propone di raggiungere obiettivi di ampio respiro, quali: lo sviluppo economico integrato, mirato non solo a incrementare il turismo invernale ma anche a destagionalizzare l’offerta turistica, generando così maggiori ricadute economiche per le imprese locali. L’aumento della competitività, attraverso la creazione di un comprensorio sciistico di rilevanza nazionale e internazionale, in grado di attrarre un pubblico più ampio grazie a un’offerta coordinata e di alto livello.» Al netto della bontà o meno delle motivazioni qui addotte per sostenere la proposta, si tratta della riproposizione delle solite cose che in tali circostanze vengono citate, compresi alcune locuzioni ormai di moda come «destagionalizzare l’offerta turistica», che ancora nessuno ha capito cosa voglia veramente dire se non, tempo, semplicemente il riproporre il modello turistico massivo invernale anche nel resto dell’anno. Inoltre è evidente che tale proposta mantenga preponderante l’offerta turistica sciistica – anche perché è ovvio che non tutti gli impianti di risalita al servizio dei comprensori sciistici invernali possono garantire una fruibilità anche quando la neve non c’è più – e quindi non è per nulla chiaro come si possa parlare di «obiettivi di ampio respiro» e «sviluppo economico integrato»: integrando ogni cosa locale con l’economia prettamente sciistica, forse, ma così rendendo il territorio ancor più “ostaggio” di essa e delle sue dinamiche. E, visto che si parla di “sviluppo economico integrato”, un reale «aumento della competitività» territoriale è conseguibile solo con un progetto organico rispetto a ogni economia locale, non soltanto di quella legata al turismo che ovviamente godrà di «maggiori ricadute economiche»: già, ma le altre attività? Che fine faranno?
Sempre a pagina 180: «La promozione della sostenibilità, che si traduce nella possibilità di ottimizzare l’uso delle risorse naturali e migliorare la gestione del territorio attraverso un approccio integrato.» Eccola qui l’altrettanto immancabile parolina magica, “sostenibilità”! Che l’infrastrutturazione sciistica possa «ottimizzare l’uso delle risorse naturali e migliorare la gestione del territorio attraverso un approccio integrato» è ormai qualcosa a cui non crede più nessuno che non sia coinvolto per propri interessi nell’industria dello sci – il che non significa che non sia possibile, ma che non c’è (a parte rari casi) l’interesse nei gestori dei comprensori a perseguire tale fine, sovente in contrasto con gli scopi di efficienza turistico-commerciale dei comprensori stessi. Come rimarco spesso, ormai per rendere “sostenibili” certi progetti basta scrivere da qualche parte nella loro presentazione che sono sostenibili. Se lo siano veramente e come facciano a esserlo veramente, al solito, non è dato sapersi.
A pagina 181: «L’obiettivo è quello di completare i collegamenti degli impianti sciistici dell’Alta Valtellina, riunendo in un unico comprensorio territoriale le ski aree di Bormio, Santa Caterina Valfurva, Cima Piazzi – San Colombano e Livigno. Tale intervento, oltre a generare un ampliamento significativo dell’area sciabile, renderebbe la zona competitiva rispetto ad altre destinazioni del Nord Italia o del Centro Europa, promuovendo al contempo un utilizzo della valle per tutto l’anno. In inverno, l’offerta si concentrerebbe su sci e sport outdoor, mentre in estate verrebbero incentivate attività quali mountain bike ed escursionismo. Inoltre, gli impianti di risalita non solo faciliterebbero lo spostamento di turisti e residenti tra le diverse aree, anche su terreni complessi, ma rappresenterebbero uno strumento di mobilità sostenibile durante tutto l’anno.» Tutte cose interessanti tanto quanto piuttosto aleatorie ovvero discutibili. Sulla competitività effettiva di un tale comprensorio ci torno più avanti; inquieta invece da subito l’idea esposta che i nuovi impianti di risalita incentiverebbero l’attività escursionistica:ma questa non si fa camminando, piuttosto di fruire di seggiovie e funivie? Tuttavia, inutile rimarcarlo, è vero che un certo tipo di turismo massificato che alla montagna autentica è molto poco interessato fruisce volentieri degli impianti di risalita, con le conseguenze che già da tempo si registrano un po’ ovunque sulle montagne, non ultima quella dell’iperturismo. Ma che visione del turismo montano è, questa? Inoltre mi sembra altrettanto fantasioso che «gli impianti di risalita non solo faciliterebbero lo spostamento di turisti e residenti tra le diverse aree, anche su terreni complessi, ma rappresenterebbero uno strumento di mobilità sostenibile durante tutto l’anno»: cosa potenzialmente vera ma già smentita dall’esempio delle Dolomiti, eppoi quanto impiegherebbe un turista per andare da Bormio a Livigno usufruendo degli impianti invece che della propria auto? Il doppio del tempo, o il triplo? Certo non avrebbe il problema di trovare parcheggio, ma resterebbe vincolato all’orario di apertura degli impianti e/o al loro esercizio: se piove? Se c’è vento forte? Se c’è nebbia, chi ci va in funivia ad ammirare il nulla? Insomma: l’idea è bella, ribadisco, ma ad oggi sostanzialmente astratta. Altra cosa critica è il collegamento tra Bormio e Santa Caterina Valfurva, che avverrebbe quasi totalmente negli ambiti territoriali protetti del Parco Nazionale dello Stelvio e dalle conseguenti normative vigenti: come la mettiamo al riguardo? Probabilmente è il caso di ricordare che proprio a Santa Caterina per i Mondiali di sci del 2005 venne realizzata una nuova pista in area tutelata del Parco, dunque dove non si poteva fare nulla di ciò, e per questo l’Italia è stata messa in mora dall’UE per la distruzione di un sito di importanza comunitaria, oltre ad aver subito numerosi esposti e ricorsi alla giustizia penale e amministrativa. Detto francamente, chi ha redatto lo Studio o ha la memoria corta oppure dimostra di non aver imparato nulla dagli errori del passato.
Ancora a pagina 181: «Guardando al medio-lungo termine, il progetto apre la strada a ulteriori sviluppi sul fronte infrastrutturale e ricettivo, tra cui: l’eventuale connessione in Valmalenco degli impianti del Valmalenco Bernina Ski Resort a Chiesa in Valmalenco con la ski area di Saint Moritz,
attraversando il ghiacciaio dello Scerscen e arrivando ai piedi del Piz Corvatsch e a Sils Maria; l’eventuale collegamento tra le aree sciabili di Splugen (Svizzera) e Madesimo, con l’obiettivo di arricchire l’offerta turistica e incrementare gli scambi tra la Regione Viamala elvetica e la Valle Spluga italiana.» Qui lo Studio, pur serioso e ben articolato, francamente si fa fantascientifico se non grottesco. Gli “ulteriori sviluppi” indicati, altrettante idee vecchie come il cucco e già cassate da tempo salvo che da certi soggetti un po’ confusi (ovvero parecchio ipocriti), sono semplicemente impossibili: per ragioni tecniche, geografiche e geologiche, ambientali, paesaggistiche, economiche, finanziarie. Il loro inserimento nello Studio, spiace dirlo, gli fa perdere un po’ di credibilità.
[La valle di Livigno e i suoi versanti sciistici. Immagine tratta da facebook.com/Livigno.]A pagina 182: «Si prevede la creazione di un grande comprensorio sciistico nell’Alta Valtellina, in grado di competere con comprensori di eccellenza come la Via Lattea-Sestriere e Cervinia-Zermatt in Italia, Les 3 Vallèes in Francia o Ski Alberg in Austria. In particolare, si prevede la realizzazione di 10 nuovi impianti che permetterebbero di collegare tutte le stazioni dell’Alta Valle, ampliando l’area sciabile di ulteriori 115 km, da sommare ai 200 km già esistenti, per trasformarsi in un comprensorio sciistico dotato di una ski area di 315 km.» Ecco, a proposito di competitività del previsto nuovo comprensorio: certo 315 km di piste sono tanti, ma la Via Lattea ha già oggi un totale di 400 km di piste e, con il recente ampliamento che include Bardonecchia, l’offerta si avvicina a 500 km di piste totali; Cervinia Zermatt ne hanno 360 km; Les 3 Vallèes ben 600 km e il comprensorio dell’Arlberg 305 km. A parte quest’ultimo, il nuovo comprensorio valtellinese sarebbe comunque più piccolo degli altri citati e di ulteriori presenti sulle Alpi: ad esempio il comprensorio franco-svizzero Le Portes du Soleil che ha 650 km di piste – ma non si può non citare pure il Dolomiti Superski con i suoi 1200 km di piste accessibili con un unico skipass. In ogni caso, al netto dei meri dati numerici – che sembrano quelli di una competizione a chi ce l’ha più grosso (il comprensorio sciistico) buona per il marketing più spregiudicato ma non per tutto il resto – il nuovo comprensorio, pur di estensione importante, non sembra dunque così tanto concorrenziale rispetto agli altri. Inoltre, si dovrebbero realizzare ben 10 nuovi impianti, quindi con un costo di svariate decine di milioni di Euro dovendo essere tutti di dimensioni e portate medio-alte (non dei semplici skilift, insomma): quanto ciò si riverbererà sul costo finale dello skipass per gli utenti del comprensorio? Quando dovranno sborsare per sciarci? Ne Les 3 Vallèes ad esempio il costo dello skipass giornaliero è di 74 Euro a persona, 60 per i bambini: sono cifre sostenibili anche nel comprensorio valtellinese? In quanti potranno permettersi di sciarci più di una o due volte a stagione? Oppure nella proposta è sottintesa la volontà di rendere il comprensorio parte di un’offerta turistica di lusso destinata solo a sciatori particolarmente benestanti (per la gran parte stranieri), con tutte le numerose conseguenze assai discutibili di una tale circostanza per la pratica “popolare” dello sci e per le sue ricadute concrete e benefiche per le comunità dei territori interessati?
Pagine 182/183: «Tale integrazione non solo aumenterebbe l’attrattività del comprensorio per sciatori internazionali, ma ridurrebbe anche l’esposizione agli impatti del cambiamento climatico, considerando che gli stabilimenti dell’Alta Valtellina si situano a quote superiori rispetto ad altri comprensori del Nord Italia (Livigno a 1.800 metri, Santa Caterina a 1.700 metri e Bormio oltre 3.000 metri). Inoltre, i collegamenti tra gli impianti favorirebbero la creazione di nuove piste, ad esempio dal Mottolino alla Valdidentro, con benefici anche per la fruizione delle aree durante i mesi estivi.» Qui ci sono informazioni palesemente errate. Livigno e Santa Caterina hanno buona parte delle loro piste oltre i 2000 metri, la quota ormai considerata il limite al di sotto del quale nel prossimo futuro la pratica dello sci non potrà più essere garantita in forza della crisi climatica in corso, il resto del comprensorio tra Bormio e Valdidentro invece no, anzi. A Bormio si scende a 1200 metri e già da tempo sulle piste basse del comprensorio si fatica ad assicurare pure la copertura della neve artificiale; tutta questa parte del comprensorio sarebbe posta sotto i fatidici 2000 metri di quota, dunque come si crede di poter realmente «ridurre l’esposizione agli impatti del cambiamento climatico»? Il rischio concreto è quello di avere un comprensorio unico a parole ma diviso nei fatti: un po’ che sciano sul lato Valfurva, un po’ su quello di Livigno e in mezzo assenza di neve e/o di condizioni accettabili per sciare. Nemmeno sparando neve artificiale a spron battuto si potrebbe assicurare la continuità sciistica se non per una manciata di giorni a stagione, ma se poi così fosse la decantata «promozione della sostenibilità, che si traduce nella possibilità di ottimizzare l’uso delle risorse naturali» (vedi il brano di pagina 180 precedentemente analizzato) che fine farebbe?
[Gli impianti di Santa Caterina Valfurva. Immagine tratta da facebook.com/SantaCaterinaValfurva.]Insomma, capirete bene che, per quanto riguarda la proposta del comprensorio sciistico Livigno-Valdidentro-Bormio-Valfurva, lo “Studio Strategico Territoriale” appare piuttosto superficiale, forzato, a volte campato per aria e, come ribadisco, fin troppo legato a una visione turistica dei territori montani di matrice economico-consumistica, con obiettivi meramente commerciali. Una visione ormai obsoleta e del tutto inadeguata già alla realtà presente e ancor più a quella prossimo-futura delle nostre montagne: per molti aspetti insostenibile, in breve. Peraltro, è molto interessante rimarcare come un altro soggetto puramente economico – anzi, tale par excellence – come la Banca d’Italia, nel proprio report del dicembre 2022 dal titolo “Climate change and winter tourism: evidence from Italy” rimarcava che «Sulla base delle principali proiezioni metereologiche disponibili, nei prossimi anni il cambiamento climatico avrà effetti rilevanti sui passaggi ai comprensori sciistici e sui pernottamenti presso le località alpine, soprattutto alle altitudini più basse. L’innevamento artificiale non sarà sufficiente a sostenere i flussi turistici.» Considerazioni alquanto antitetiche, insomma, a quelle che si leggono tra le righe dello Studio della European House Ambrosetti qui da me sviscerato.
Anzi, giusto a proposito di ecologia, ambiente, clima – tutti fattori che qualsiasi studio strategico che analizzi la realtà presente e futura dei territori montani deve inevitabilmente affrontare e integrare nelle proprie disquisizioni -, ho provato a cercare nello Studio sull’area del Lario, della Valtellina e della Valchiavenna alcune parole e locuzioni di uso comune e necessario al riguardo, per verificarne la presenza:
“Crisi climatica”: mai citata.
“Cambiamento climatico: citata 4 volte (un po’ poche in 196 pagine!).
“Cambiamenti climatici”: citata 1 sola volta.
“Riscaldamento globale”: mai citata.
“Salvaguardia ambientale”, “tutela ambientale”, “difesa ambientale”: mai citate.
“Ecologia”: mai citata.
“Paesaggio”: citata solo 2 volte.
“Ambiente naturale”: citata 1 sola volta…
…eccetera. Non credo serva continuare ancora: avete capito la “affinità” dello Studio con le tematiche legate al clima e all’ambiente. Cosa estremamente emblematica, converrete.
[Ski-map complessiva della zona tra la Valfurva, Bormio e Livigno, con i quattro comprensori coinvolti nel progetto di unione. Cliccateci sopra per ingrandirla.]Bene: mi pare che con questo studio si ricada per l’ennesima volta nella maledetta contrapposizione economia-ecologia, due parole dall’origine comune e dal significato complementare ma con la prima che puntualmente, nella nostra era moderna e contemporanea, soffoca la seconda negando qualsiasi possibile e opportuno equilibrio. Quando domina l’idea “economica” – nel senso materiale qui inteso – la montagna viene esclusivamente messa a rendita senza alcuna cura e attenzione verso il territorio, il suo ambiente e il paesaggio che lo contraddistingue, in un ottica prettamente consumistica (la montagna vale solo per quanto può rendere), mentre l’ecologia – attenzione, non il mero ambientalismo ma l’ecologia intesa nel suo significato più pieno e ampio – e gli aspetti ad essa affini sembrano rappresentare un fastidio, un impiccio, qualcosa verso cui bisogna fingere un po’ di interesse ma nel concreto da mettere da parte prima possibile.
Be’, io credo che, dal punto di vista dell’economia turistica, con tale visione che percepisco nello Studio – già accennata e “denunciata” all’inizio di questo mio testo – le nostre montagne non vadano molto lontano, anzi, rischino concretamente di ritrovarsi prima di nuovo illuse e poi concretamente defraudate delle proprie specificità, delle possibilità e del proprio futuro. Alle montagne serve una visione molto più ampia, obiettiva, strutturata, organica e consapevole, che faccia del loro sviluppo non solo uno strumento di progresso economico ma soprattutto ecologico, culturale, sociale, comunitario – la comunità al centro: ecco un’altra assenza fondamentale nello Studio! –, politico, civico, ambientale. Mi sembra che ancora cioè nemmeno questa volta ci siamo, purtroppo.
[Le montagne dell’Alta Valle Brembana nella zona dei Laghi Gemelli, in comune di Branzi. Immagine tratta da https://primabergamo.it.]Anche le valli montane bergamasche stanno sempre più diventando un caso emblematico in tema di gestione (o non gestione) politica dei territori montani.
Notizie recenti sulla stampa locale: le valli montane della Provincia di Bergamo, secondo l’Ispra, sono al 16° posto nella classifica nazionale per rischio frane (in una Lombardia che risulta la regione con il numero più alto di frane censite), ciò evidenziando la necessità di maggiori fondi pubblici per prevenire il dissesto idrogeologico e intervenire in caso di emergenze.
L’ASST locale chiede a gran voce aiuti alla politica per agevolare l’arrivo e la presenza di nuovi infermieri per gli ospedali di montagna, già in crisi di risorse da tempo come ben sappiamo, i quali altrimenti sono sempre più a rischio di chiusura.
In molte zone montane della provincia il segnale telefonico, per non parlare della connessione web, sono assenti, generando grossi problemi tanto ai residenti quanto a chi lassù vuole e vorrebbe lavorare in condizioni degne, per giunta in attività economiche che aiuterebbero i territori a mantenersi vivi. La scorsa settimana la questione «è stata sottoposta a Regione e deputati. Ma per ora, tutto resta fermo.»
Ecco, appunto: regione, deputati, enti pubblici… la politica.
Come risponde la politica a questi bisogni fondamentali per chi vive sulle montagne bergamasche?
Spendendo le risorse che dovrebbero essere impiegate per soddisfare i bisogni dei residenti per finanziare insensati progetti turistici come (un esempio tra i tanti) quello di Piazzatorre, in Valle Brembana: ben 15 milioni e rotti di Euro per un comprensorio sciistico posto sotto i 1800 metri di quota destinato per mille ragioni – climatiche, ambientali, economiche, socioculturali… – ad un inevitabile fallimento. Per non dire di Colere-Lizzola, dove le risorse pubbliche previste ammonterebbero (al momento) addirittura a 50 milioni di Euro.
Poste tali cifre, e viste le criticità sopra elencate (ma ve ne sarebbero altre di citare): va bene così?
È in questo modo che pensiamo di salvare le montagne dallo spopolamento, come ci viene continuamente ripetuto, e di rivitalizzarne le comunità e le economie locali? Costruendo impianti e piste dove non si scia più e lasciando franare strade, chiudere ospedali, e togliendo di fatto un servizio elementare come il telefono?
E quante altre situazioni simili possiamo constatare sulle montagne italiane, con la politica sensibilissima a certe iniziative molto d’immagine e invece poco o nulla nei riguardi dei bisogni concreti e delle necessità fondamentali delle comunità che in montagna vivono e vorrebbero continuare a farlo degnamente e non da cittadini di serie B o C?
[Veduta del territorio di Piazzatorre. Immagine tratta da www.in-lombardia.it.]Riguardo l’evoluzione del clima in corso sulle montagne, in particolar modo su Alpi e Prealpi, la scienza fornisce dati incontrovertibili: le temperature sono in costante aumento, le regioni alpine nel complesso sono un hot spot climatico, ovvero un ambito nel quale gli effetti del riscaldamento globale sono più marcati rispetto alla media globale; le nevicate sono in diminuzione da anni mentre lo zero termico medio invernale sale sempre più in alto: già oggi sulle Prealpi italiane è posto tra i 1700 e i 1800 metri, il che sposta la possibilità di permanenza continuativa della neve al suolo in inverno oltre i 2000 metri. Ciò si ripercuote direttamente sulla pratica dello sci, per la quale c’è sempre meno neve, resta al suolo per meno tempo e le temperature in aumento impediscono di produrre quella artificiale, rendendo i comprensori sciistici post sotto i 2000 metri insostenibili non solo climaticamente e ambientalmente ma anche economicamente. Infatti, non a caso, di gente che sale sui monti per sciare ce n’è sempre meno e quando ci va si dedica ad altre attività meno dipendenti dagli effetti della crisi climatica.
Posta tale realtà di fatto inoppugnabile, come detto, e d’altro canto sotto gli occhi di tutti, a Piazzatorre, in alta Valle Brembana (Provincia di Bergamo), si spenderanno 15,4 milioni di Euro pubblici per riqualificare un comprensorio sciistico posto interamente sotto i 1800 metri di quota, cioè dove non nevica più e non ci sono le temperature adatte per produrre neve artificiale e mantenerla al suolo per un tempo funzionale alla pratica sciistica.
Sono soldi buttati al vento. Punto.
Non c’è altro da dire al riguardo (e la questione l’avevo già denunciata tempo fa, qui).
Non vi sarà nessun «accrescimento dell’attrattività e del potenziale economico favorendo, quindi, il contrasto al fenomeno dello spopolamento» come affermano dalla Regione Lombardia che metterà la gran parte dei soldi – peraltro le solite frasi fatte enunciate in tali occasioni, alle quali ormai credono solo gli allocchi – e nemmeno la pretesa “destagionalizzazione” (altra parola del tutto abusata) porterà alcun vantaggio al territorio in questione, perché nessun vantaggio concreto può venire da una frequentazione turistica basata esclusivamente sulla fruizione in stile luna park del territorio montano che produce flussi incostanti e relativi fenomeni di overcrowding, cioè di sovraffollamento temporaneo, con tanta gente nei fine settimana e il deserto nei giorni feriali.
[La località Gremelli sul Monte Torcola Vaga, sopra Piazzatorre, in un recente inverno senza neve. Foto di Andrea Comi tratta da www.komoot.com.]Vantaggi reali e concreti per i territori come quello di Piazzatorre si producono invece con un piano di sviluppo territoriale strutturato, articolato nel lungo periodo, che sostenga e metta in rete tutte le economie locali, senza che quella turistica risulti predominante e assoggettante, e che abbia come obiettivo principale da un lato il potenziamento dei servizi ecosistemici a supporto della comunità locale e dall’altro la cura ambientale e culturale del territorio, anche a favore della rigenerazione del senso di comunità. In cose del genere avrebbe assolutamente senso spendere tutti quei soldi pubblici, non certo in progetti insensati, fuori dal tempo, già in partenza destinati al fallimento e che provocheranno un ulteriore inaccettabile degrado del territorio nonché della relazione culturale con esso dei suoi abitanti.Sono 15,4 milioni – quindici-virgola-quattro milioni – di Euro buttati al vento, ribadisco. E con questo denaro pubblico viene buttato al vento il futuro di un intero territorio e della sua comunità.
[Il centro di Piazzatorre. Immagine tratta da www.altobrembo.it.]Nel frattempo, nella stessa Valle Brembana a poca distanza da Piazzatorre, un’altra scuola di montagna chiuderà: quella di Laxolo, e ciò in forza dei mancati investimenti pubblici atti a favorirne la permanenza degli alunni su volontà dei genitori, che si sono visti costretti a mandare i propri figli in altri plessi al momento più attrezzati (ma chissà fino a quando).
In mezzo secolo nei venti comuni dell’alta Valle Brembana le scuole elementari sono scese da 25 a 4 – ma si contino anche quanti presidi sanitari hanno chiuso, quanti uffici postali e sportelli bancari, quante linee di trasporto pubblico sono state soppresse, quanti interventi concreti a favore delle comunità residenti e della loro quotidianità sono stati messi in atto… E poi si spendono più di 15 milioni di Euro di soldi pubblici in impianti sciistici dove non nevica più? Oltre agli altri progetti in corso, ovviamente, con ancora più denaro pubblico in ballo: buttato in tali assurdità e così tolto a interventi veramente necessari alla popolazione locale.
Ma di cosa stiamo parlando? O, per meglio dire: ma di quale devianza mentale e morale stiamo parlando? Veramente crediamo che la montagna si salverà così?
P.S.: non bisogna dimenticare che Piazzatorre detiene un altro primato (o quasi) piuttosto sconcertante: duemilacinquecento seconde case – 2.500! – a fronte di sole duecento prime case. E riaprire il suo comprensorio sciistico peraltro insostenibile sarebbe sul serio la cosa principale da fare, lassù?
[Veduta di Sestriere, in Piemonte, località totalmente vocata allo sci. Fonte dell’immagine www.facebook.com/sestriereofficial.]Un’altra delle motivazioni che i gestori dei comprensori sciistici adducono di continuo a sostegno della loro attività e a giustificazione di tutto quanto ne consegue, a partire dalle frequenti enormi elargizioni di soldi pubblici, è che i loro comprensori assicurano l’economia dei territori che li ospitano, vi generano indotto, danno lavoro ai locali e così mantengono in vita le comunità.
Ciò per diversi aspetti è vero, anche perché le possibilità alternative al modello economico dell’industria dello sci nel corso del tempo sono state soffocate quasi totalmente – infatti è per questo che riguardo lo sci si parla di “monocultura turistica”.
Di contro, posta la realtà così ricca di problematiche e di variabili che le nostre montagne devono affrontare in maniera sempre più pressante – a partire da quella climatica che però, appunto, non è affatto l’unica – mi chiedo: oggi è lecito e accettabile che il destino socioeconomico, ma pure culturale, di interi territori montani sia messo nelle mani di soggetti privati il cui scopo fondamentale, ovviamente e logicamente, non è garantire il futuro dei territori in cui operano ma conseguire il maggior lucro possibile dalla propria attività?
Soggetti privati di natura imprenditoriale, peraltro, la cui attività è legata al rischio d’impresa e all’andamento del mercato di riferimento come per qualsiasi altra attività economica privata. Dunque, è ammissibile che un territorio montano e la sua comunità possano pur indirettamente contemplare un rischio d’impresa ed essere sottoposti ad un mercato economico che con essi non c’entra nulla, se non per le eventuali ricadute generate dal suo andamento?
[Nel comprensorio del Dolomiti SuperSki. Immagine tratta da www.val-gardena.com.]Al netto che la realtà “ordinaria” è quella appena descritta, a me viene molto da pensare intorno a tali interrogativi. D’altro canto è già successo che società di gestione di comprensori sciistici fallissero lasciando in braghe di tela, come si usa dire in questi casi, i territori dove operavano: a volte le conseguenze sono state ridotte grazie alla capacità del territorio di riprendersi, in altri casi sono state letali, trasformando le località ex sciistiche in luoghi fantasma. E ciò è successo non tanto per il fallimento del modello sciistico locale ma per l’assenza di alternative economiche, come prima denotato, circostanza che da un lato ha reso il territorio ostaggio dello sci e dall’altro ne ha svigorito le specifiche potenzialità imprenditoriali.
Posta questa situazione, e per superarne la notevole ambiguità oltre che la rischiosità per i territori montani (e altre cose poco o nulla citate, al riguardo, come la questione degli aiuti di stato) formulo una proposta provocatoria ma non troppo: la totale presa in carico pubblica dei comprensori sciistici. Cioè l’acquisto di impianti e piste da sci da parte degli enti pubblici locali, con il conseguente affidamento della gestione a soggetti scelti tramite gara anche in base al valore dei progetti imprenditoriali presentati al riguardo, e con il riconoscimento dei maggiori benefici economici derivanti dall’attività dei comprensori agli enti pubblici stessi, dunque direttamente alle comunità locali, da reinvestire nei servizi di base e nelle necessità comuni dei territori interessati.
Sarebbe la cosa più sensata da fare, a ben vedere.
[Veduta della ski area di Prali i cui impianti sono di proprietà pubblica, del Comune e dell’Unione Montana Valli Chisone e Germanasca. Fonte dell’immagine www.piemonteitalia.eu.]Ve l’ho detto (scritto) che è una proposta provocatoria. Ma forse lo è molto meno di quanto appaia, già.