Tsundoku: l’ennesima “futilità” orientale – ma almeno stavolta di nobile natura!

La parola è di palese origine nipponica, ed è noto che la nobile lingua del Sol Levante sa trovare termini per qualsiasi cosa… Tsundoku, dunque: Wiktionary la definisce come «L’atto di non leggere un libro dopo averlo acquistato, solitamente impilato assieme ad altrettanti libri che hanno subito la stessa sorte”.
Vabbé, direte voi, grazie: è la scoperta dell’acqua calda! Chissà quanti di noi clienti compulsivi (o anche no, ma qui parlo per me) delle librerie e lettori appassionati siamo da sempre “tsundokuisti“, allora – o come diavolo si dirà! Noi che per abitudine compriamo più libri di quanti ne possiamo leggere – pur se siamo lettori extra-forti – sì che quelli se ne restino per settimane o mesi, se non anni, impilati in modalità random sugli scaffali della nostra biblioteca domestica oppure in altri meno consoni siti!
(Ecco, per intenderci, alcuni esempi tratti dal web, nella gallery qui sotto.)

Questo slideshow richiede JavaScript.


Insomma: confesso di non amare troppo certe contemporanee trovate di costume nipponiche (che poi quasi sempre divengono futilissime nippoamericanate) non perché le ritenga prive di senso e valore – anzi, alcune sono realmente assai affascinanti – ma perché spesso vengono superficialmente assimilate, in occidente, per ottusa forzatura culturale. Tuttavia, almeno stavolta la giapponesata (lo dico con tutto il rispetto del caso) cela un fine e un senso nobili: acquistare libri e (inevitabilmente, credo e auspico), prima o poi leggerli. Magari proprio perché li si prende in mano per spazzar via lo strato di polvere accumulatosi col tempo sulla copertina…

P.S.: grazie all’ottimo blog unalettricedotcom che mi ha fatto scoprire ‘sta cosa seppur indirettamente, ovvero attraverso la lettura di questo post.

Scrivere romanzi è come impilare gattini esausti (Haruki Murakami docet)

Cosa significa scrivere romanzi? – e, in modo ancor più assoluto: cosa significa scrivere?
E’ una domanda che chiunque scriva, credo, per mestiere o per diletto, dovrebbe porsi di continuo. Forse alcuni se la sono posta troppe poche volte, magari certi nemmeno una. Personalmente, temo di pormela fin troppo…
Ed è una domanda che ha infinite risposte: le più istintive può darsi siano banali, tante altre assai più profonde, radicate nell’essenza più intima dello scrittore e da essa scaturenti con un processo non certo facile, forse anche ostico e tribolato ma, appunto, assolutamente fondamentale da attuare.
Ecco cosa scrive al proposito Haruki Murakami, il più importante scrittore giapponese contemporaneo, certo con visione parecchio orientale ma anche per questo curiosa e interessante.

La memoria è qualcosa di simile a un romanzo, o forse un romanzo è qualcosa di simile alla memoria.
Da quando ho incominciato a scrivere, provo veramente questa sensazione, che tra memoria e romanzo vi sia una somiglianza. In entrambi i casi, ci si sforza di mettere tutto in ordine, ogni cosa al suo posto, ma il contesto tende a sfuggire, e alla fine si dilegua. Come mettere quattro gattini esausti uno sull’altro. Caldi di vita, e tremendamente instabili. Ogni tanto mi dico che è imbarazzante considerare un tale materiale alla stregua di merce – merce, vi rendete conto? A volte mi capita davvero di arrossire. E se divento rosso io, lo diventano tutti.
Tuttavia, se si prende l’esistenza umana come una condotta stupida basata su motivi relativamente puri, il problema di cosa sia giusto o sbagliato perde drammaticità. E da lì nasce la memoria, nasce il romanzo. Un meccanismo di moto perpetuo che nessuno può arrestare. Percorre rumorosamente il mondo intero, tracciando sul suolo una linea ininterrotta.
Speriamo che vada tutto bene, dice uno. Ma non c’è motivo che vada bene. E neanche nessuna prova che sia andata bene.
Allora cosa bisogna fare?
Allora io cerco di radunare di nuovo i gattini e di metterli uno sull’altro. Sono stanchi morti e mollissimi. Cosa penserebbero se si svegliassero e scoprissero di essere stati messi in pila come della legna per un fuoco da campo? “Oh, c’è qualcosa di strano”, si direbbero forse. In quel caso – se la reazione fosse tutta lì – io ne ricaverei un piccolo aiuto.
E’ questo che volevo dire.

Haruki Murakami, L’elefante scomparso e altri racconti, Einaudi 2009, pag.93.