Che può mai succedere di interessante, al punto da far notizia su un giornale, in un territorio del profondo Nord della Svezia nel quale minuscoli villaggi di poche case giacciono dispersi in mezzo a foreste infinite, innumerevoli laghi, acquitrini, torbiere e misteriose montagne, un territorio per di più infestato dalla tubercolosi negli anni appena successivi alla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando nemmeno la oggi opulenta Svezia se la passava tanto bene, soprattutto nelle sue aree rurali? Niente. E come può dunque svolgere adeguatamente il suo lavoro il cronista d’un quotidiano di stanza lassù, se non c’è sostanzialmente nulla da scrivere e raccontare? Non può, è presto detto. Se non inventandosi di sana pianta notizie da riferire ai lettori del suo giornale. D’altro canto – lo sappiamo bene noi, uomini contemporanei viventi nell’epoca delle fake news – a volte c’è molta più falsità nelle presunte “verità” diffuse dai media che in certe invenzioni della fantasia tuttavia dotate d’una propria evidente logica… Se poi quei racconti, ancorché fantastici, diventano la narrazione niente affatto metaforica d’un territorio, della sua gente, dei paesaggi, del tempo vissuto e di esistenze ordinarie eppure simboliche, della cultura e dell’identità di esso, la loro valenza letteraria e socioculturale s’accresce oltre modo, rendendo il confine tra realtà e invenzione del tutto evanescente o, addirittura, superfluo.
In ogni caso, se queste sono le fondamenta su cui tutto il resto si regge, il grande scrittore svedese Torgny Lindgren mette nel suo romanzo La ricetta perfetta (Iperborea, 2004, traduzione di Carmen Giorgetti Cima, postfazione di Luca Scarlini, orig. Pölsan, 2002) moltissimo di più, costruendo una narrazione che si muove su diversi piani spaziali, temporali e tematici e facendone un’ennesima opera assolutamente particolare nel già alquanto originale panorama letterario scandinavo moderno e contemporaneo […]
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