Per una critica (costruttiva) della critica. Le quattro tesi di Michele Dantini

1419863140647Le-LibraireMichele Dantini è storico dell’arte contemporanea, critico e saggista, insegna all’Università del Piemonte orientale ed è visiting professor presso università nazionali e internazionali.
Sul numero 23 di Artribune ha pubblicato un interessante e illuminante articolo su una questione (d’istinto stavo scrivendo “una ferita”!) aperta ormai da tempo immemorabile in ambito artistico e culturale: la critica. Disciplina che genera sempre parecchie discussioni anche per come la sua definizione pare essere cosa piuttosto vaga e lontana, il che genera interpretazioni innumerevoli, sovente di segno contrario le une con le altre e le quali a volte, tanto avviluppate su sé stesse che sono, smarriscono quello che dovrebbe essere il senso primario del fare (e praticare) critica. Che non significa semplicemente sancire se una cosa è bella o brutta, sia fatto ciò in due righe o in 1500 pagine – è una ovvietà, questa che ho appena scritto, anzi: dovrebbe esserlo, ma a quanto pare non lo è affatto.
L’articolo di Dantini, pubblicato su un magazine come Artribune che si occupa di arte contemporanea (non solo, ma soprattutto), è di conseguenza riferito al campo delle arti visive. Michele_Dantini_photoTuttavia, da appassionato di letteratura, so bene – e lo rimarco spesso, qui nel blog – che il problema della critica esiste in maniera simile se non maggiore anche in tema di libri e scritture letterarie, ove veramente si assiste a tutto e al contrario di tutto. Leggete l’articolo di Dantini sostituendo “artisti” e “opere d’arte” con scrittori e libri (mantenendo valido il termine “arte” e considerando tale la letteratura – anche se, lo ammetto, tale considerazione è a volte (!) un po’ (!!!) forzata) e la disquisizione proposta regge perfettamente, anzi, è sotto certi aspetti ancora più valida e importante per la letteratura che per l’arte visiva.
Insomma, sono certo che le quattro tesi di Michele Dantini rappresentino un efficace strumento di riflessione e di determinazione dell’essenza della questione, e che la loro considerazione sia necessaria per chiunque voglia impegnarsi nella pratica critica – che tratti d’un romanzo Harmony, di un saggio filosofico ovvero di un’opera di Cattelan.
Che poi queste così importanti tesi vengano recepite, meditate e, in caso di accordo, messe in pratica, beh, è un altro discorso. Purtroppo.

P.S.: Ringrazio di cuore Dantini per avermi concesso la possibilità di pubblicare il suo articolo anche qui nel blog.

Quattro tesi sulla critica. Quelle di Michele Dantini
È possibile coniugare connoisseurship e critica sociale, filologia e politica? È la domanda che attraversa oggi l’intero ambito della teoria culturale. Come si fa critica d’arte? Come si costruiscono un assenso e un dissenso perspicaci, e si produce un’effettiva conoscenza?

Con “connoisseurship” intendo una competenza visiva esperta e specifica. In assenza di connoisseurship prevale la chiacchiera sociologica, la glossa dottrinaria, il commento alla poetica (o meglio la sua parafrasi). Questa è la prima tesi. Una rosa è una rosa è una rosa: cioè un’immagine che ci “parla” al modo delle immagini, attraverso dettagli visuali. Dovremmo saperlo, ma per lo più non lo sappiamo. Nell’avvicinarci a un’opera d’arte occorre quindi prepararsi a reagire con prontezza a tutto ciò che, nell’immagine, è inatteso, smisurato, iperindividuale. Tutto ciò che eccede o perfino smentisce le dichiarazioni d’intenti o i punti di vista ragionati. In breve: tenersi alla larga dalle “generalità” manualistiche e affidarsi alla “memoria involontaria”.
Con “critica sociale” intendo la capacità di sintesi e riduzione. Se facciamo critica sociale significa che abbiamo scelto di abbandonare il piano della pedissequità e della cronaca culturale. Questa è la seconda tesi. Non vogliamo occuparci (nell’occasione almeno) di singoli artisti o di singole opere ma adottare prospettive “sistemiche”. E discutere criticamente, con attitudini distaccate, il mondo della produzione artistica contemporanea, le politiche di marketing, il mecenatismo, i viscosi vincoli di fedeltà interni alle tribù.
Terza tesi. Il critico-interprete (o meglio il critico-scrittore: cioè il critico tout court) alterna o intreccia connoisseurship e critica sociale. Non è al servizio dell’artista, del gallerista, dell’amministrazione locale o del museo. Non ha cioè l’obbligo di essere “complice” – la citazione è da Celant – né si presta al calloso rituale della promozione. Zelo, devozione e professionismo corporate uccidono l’acutezza e impongono reticenza. Possiamo certo batterci per questa o quell’opera, questo o quell’artista, ma solo sul presupposto della nostra intima convinzione e attraverso la chiaroveggente perspicuità della nostra scrittura. Questa dev’essere libera. Ripeto: libera.
Quarta tesi, ultima e decisiva. Il destinatario della critica non è l’artista. È invece il pubblico inteso in senso normativo, la comunità di cittadini non specialisti che chiede e attende di essere documentata per poter valutare.
Così intesa la critica è un’arte esatta, una forma di letteratura non-fiction; e insieme il riconoscimento di un diritto che vale per l’umanità in generale.

Michele Dantini
docente universitario, critico e scrittore

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