Il Monte Antelao è senza dubbio una delle cime più particolari delle Dolomiti, delle quali è la seconda sommità maggiormente elevata (3264 m) dopo la Marmolada.
Innanzi tutto è particolare la sua forma piramidale, differente rispetto a quella di buona parte delle altre cime dolomitiche con le loro forme di scogliere estese, di denti verticali e di guglie più o meno esili. Una forma che in certi scorci conferisce all’Antelao apparenze quasi himalayane, ciò anche per la notevole prominenza del suo corpo montuoso dai fondivalle intorno (che supera i 1700 metri), per il primato nel rapporto tra altezza e sviluppo orizzontale dello zoccolo, che non supera i quattro chilometri di diametro, e per la posizione isolata, che contribuisce ad accentuarne l’imponenza. Da tutto ciò deriva l’appellativo di “Re del Cadore”, che qualcuno eleva addirittura a “Re delle Dolomiti” affiancandolo a quello di “Regina” conferito alla Marmolada.

Nuovamente, andare alla scoperta dell’origine di “Antelao” dimostra quanto la toponomastica l’oronomastica ancor di più siano discipline affascinanti, in grado di raccontare molte storie e di diversa natura rapprese in poche lettere, le quali è come se fossero “salvate” nei monti quanto i files nei dispositivi di memoria che abitualmente utilizziamo, identificati con un singolo nome o una sola lettera. Grazie ai loro toponimi le montagne e i luoghi diventano chiavette usb o hard disk di roccia, erba o acqua: un po’ difficili da portare in giro ma d’altro canto sempre a disposizione, a saperne aprire i contenuti!

Dunque: innanzi tutto si intuisce facilmente la sua origine vernacolare, nello specifico dal dialetto cadorino (una delle tante varianti del ladino) che ci presenta il termine Nantelòu, italianizzato poi nel nome in uso. Ma anche la forma dialettale è piuttosto lontana, e dunque poco riferibile di primo acchito, a quella che dovrebbe essere l’origine primigenia del nome, cioè la voce prelatina (forse preindoeuropea, dunque antichissima) lavara, che significa «lastrone di roccia», dalla quale peraltro deriva il termine lavaréit col significato di «piani rocciosi inclinati», cioè l’origine del toponimo “Lavaredo”.
Il termine lavara assume la forma aggettivale con il suffisso –atum, dunque “lavaratum”, che in passato doveva suonare come «Lavarou», con il significato di “lastricato”. Nel tempo con un fenomeno piuttosto tipico nell’evoluzione linguistica in particolar modo delle parlate locali (è infatti riscontrabile in altri toponimi del Cadore) ovvero l’agglutinazione della preposizione “in”, cioè (I)naeròu, è derivato Naeròu, forma già molto simile a “Nantelòu” ovvero al nome in dialetto cadorino che poi, come già detto, è stato italianizzato nella fonetica e nella forma scritta in “Antelao”.

Come ben scrisse Paolo Rumiz ne La Leggenda dei Monti Naviganti – passaggio che cito spesso – «Finché ci saranno i nomi ci saranno i luoghi»: e fino a quando ci sarà pure la conoscenza più o meno approfondita delle storie, delle nozioni, delle narrazioni e delle culture che i toponimi conservano e sanno trasmettere, quei luoghi, la loro bellezza e la loro identità georeferenziale avranno buone possibilità di essere preservati e apprezzati. Per fortuna.

(L’immagine della cartolina in testa al post è di Michael 2015, opera propria, CC BY-SA 4.0, fonte commons.wikimedia.org.)

