Arno Camenisch, “Dietro la stazione”

cop_dietro-la-stazioneA volte, delle montagne e della loro gente, nella popolazione di città resiste un’opinione quasi Settecentesca, da buoni selvaggi che abitano territori inesorabilmente mai del tutto antropizzabili. E circa questo secondo aspetto la verità non è del tutto lontana, fortunatamente, nonostante il progresso abbia tentato in tutti i modi di addomesticare le vette soprattutto per fini turistico-commerciali, con risultati spesso disastrosi in termini di danni ambientali ma pure di sconvolgimenti sociali. Tutt’oggi, appunto, il cittadino che frequenta i monti per turismo e diletto tende ad osservare la gente di lassù con uno sguardo di sufficienza e superiorità, come se le difficoltà evidenti dell’abitare in quota e/o dello svolgere mestieri pressoché scomparsi altrove, per i quali serve ancora più la forza delle braccia che le prestazioni della tecnologia tenga sempre quella gente un passo indietro rispetto al resto del mondo.
Opinioni resistenti, appunto, dacché viene fatta resistere – fatta resistere, sottolineo – una visione della società ancora legata a parametri che la crisi degli ultimi anni ha palesato come ottusi, se non proprio ridicoli, ma sui quali siamo ancora costretti a confrontarci nella nostra vita quotidiana. Lassù sui monti, invece e per fortuna, sovente sono altri gli elementi che regolano la vita sociale: di sicuro Arno Camenisch li conosce bene, questi elementi, lui che è nato in una delle principali vallate delle Alpi Svizzere tra i cui monti, come fatto per altre sue opere ha ambientato il romanzo Dietro la stazione (Keller Editore, 2013, traduzione di Roberta Gado; orig. Hinter dem Banhhof, 2010), sorta di piccolo diario stagionale con il quale un ragazzino d’un minuscolo villaggio del Canton Grigioni ne racconta la quotidianità, fatta di tanti piccoli fatti nella cui apparente ordinari età spesso si celano (come sovente accade) barlumi di straordinario…

Arno Camenisch
Arno Camenisch

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Scrivere poesie è una cosa maledetta (Arno Camenisch dixit)

A casa del Gion Bi ci sono fogli sparsi dappertutto. Sul tavolo al centro c’è una macchina da scrivere e una lampada da scrivania. Il Gion Bi è seduto al tavolo in pelliccia su una sedia, con le pantofole marrone di pelle scamosciata e gli occhiali di corno sul naso. Ha la testa china in avanti e dorme. Salü Gion Bi, dice la Silvana, cosa stai facendo. Oh, forse ho la sciato la porta aperta, chiede il Gion Bi, guardate che potete anche bussare prima di spaventare la gente. Cosa stai facendo, chiede la Silvana. Scrivo poesie, mia cara. E perché ci sono così tanti fogli per terra. Sai, cara, scrivere è una cosa maledetta, ti svuota la testa a forza di studiarci su, non ti resta più dentro niente e non ti accorgi che passa la giornata. La sera, poi, quando mi alzo dalla sedia, vedo le tante carte sparpagliate per terra, come se fossero entrati due lupi. Leggici una poesia, chiede la Silvana. Solo quando è finita, ci vuole ancora tempo, forza, devo andare avanti, è già tardi, andate adesso.

Arno Camenisch, Dietro la stazione, pagg.70-71 (Keller Editore, 2013, traduzione di Roberta Gado.)

Arno Camenisch
Arno Camenisch

Ha ragione il Gion Bi, uno dei protagonisti del romanzo di Camenisch. La scrittura poetica, quando è vera, genuina, non di maniera ma autenticamente emozionale, ti svuota la testa e il corpo come fosse un’esperienza del tutto fisica.
Invece, sarà, ma io vedo spesso gente che si proclama “poeta” più fresca di un funzionario statale… Mah!
In ogni caso, potete leggere QUI la personale recensione di Dietro la stazione.