Tra Romagna e Grigioni la questione “uomo e natura” resta drammaticamente aperta

[Immagine tratta da qui.]
Lasciano ogni volta sgomenti la visione delle immagini e la lettura delle cronache dei disastri meteoclimatici  – sempre con vittime, purtroppo – come quello in corso tra Romagna e Marche, una sensazione che risulta ancora più pesante quando si fa memoria della frequenza con la quale in Italia, da Nord a Sud isole comprese, accadono certi eventi e non per un caso, anche al netto dell’estremizzazione dei fenomeni meteorologici dovuta al cambiamento climatico.

In questi giorno sto seguendo l’evolversi di un altro disastro naturale potenziale ma al momento ancora “latente”: quello che coinvolge il villaggio svizzero di Brienz/Brinzauls, nel Canton Grigioni, messo sotto minaccia da una grande frana che nelle ultime settimane ha preso a muoversi sensibilmente verso valle e per questo completamente evacuato e “devitalizzato” – cliccate sull’immagine lì sotto per saperne di più al riguardo.

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Ne volevo scrivere di Brienz/Brinzauls, visto che la sua inopinata vicenda mi è nota da tempo (dacché non è solo la frana a muoversi ma l’intero paese, si veda qui). Poi è accaduto ciò che sta succedendo tra Romagna e Marche e, nonostante l’evidente differenza sostanziale tra i due eventi, mi viene da ricavarne alcune riflessioni valide in entrambi i casi, tanto ovvie se non banali quanto, mi pare, sempre troppo poco considerate.

La prima: siamo una civiltà super avanzata, ipertecnologica, apparentemente dominante su tutto e tutti sul pianeta ma quando la Natura s’incazza – passatemi il francesismo – non c’è nulla da fare, torniamo ad esserne totalmente in balìa come qualsiasi altra creatura ben più rozza e primitiva. Ovvero come ciò che in effetti rimaniamo nonostante la nostra strabiliante tecnologia, la quale ancora, pur con i suoi successi di cui godiamo quotidianamente, non ci ha fatto fare che pochi passi all’esterno delle caverne dalla quale siamo usciti solo qualche migliaio d’anni fa. Forse è anche per questo che i successi tecnologici della nostra civiltà spesso li sfruttiamo grossolanamente e malamente, cioè non a nostro favore ma a svantaggio e danno.

La seconda: posta la prima, trovo che sia fondamentale analizzare le cause in forza delle quali accadono sempre più spesso eventi meteoclimatici così estremi, ma mi pare necessario compiere anche un passo di lato e assumere finalmente la piena consapevolezza che nei confronti di questa generale situazione di fatto dobbiamo formulare la più compiuta ed efficace resilienza. Che, dal mio punto di vista, significa riequilibrare la nostra relazione con il territorio col quale interagiamo avendo cura di riconoscere le sue caratteristiche materiali e immateriali sempre inclusi i fattori di rischio in esso presenti e, appunto, al momento per noi ineludibili. Insomma, viviamo una realtà nella quale certi eventi stanno diventando sempre più diffusi e frequenti: non prenderne atto, gestendo le circostanze del momento come mere “emergenze” (termine veramente troppo inflazionato, ormai!) per ricominciare daccapo come se nulla sia successo è quanto di più stolto, o meno evoluto possibile, l’uomo possa fare. Fermarsi alla discussione sulle sole cause di ciò che sta accadendo o di chi/cosa ne sia la colpa senza elaborare soluzioni che non le facciamo manifestare di nuovo, come purtroppo accade puntualmente, è un po’ come stare su una nave che sta affondando dibattendo sul perché vada a fondo e di chi sia la colpa senza risolvere materialmente il problema che la sta facendo colare a picco.

La frana di Brienz/Brinzauls e le alluvioni in Romagna e nelle Marche sono due eventi differenti ma che denotano entrambi l’inabilità dell’uomo di contrastarne gli effetti a prescindere dalle cause, ovvero la sottomissione ancora pressoché totale della civiltà umana alla Natura e ai suoi fenomeni. E se non siamo in grado di contrastarli, non dobbiamo né sfidarli attraverso una gestione scriteriata dei territori antropizzata e nemmeno tralasciare la consapevolezza e la cognizione dei rischi presenti in molti dei territori (le eccezioni sono rare) da noi abitati, solo poche volte veramente imprevedibili ma anche in questo caso comunque mitigabili – è il caso dei terremoti, che non sappiamo ancora prevedere ma i cui rischi possiamo mitigare con adeguate opere antisismiche – e al contempo ovviamente cercando di mitigare gli effetti del cambiamento climatico come da decenni ci viene detto di fare (altra umana trascuratezza diffusa, già).

Oppure, possiamo cercare di azzerare del tutto o quasi il rischio parimenti azzerando quanto abbiamo edificato nei nostri territori negli ultimi due secoli e ricominciando daccapo con maggior buon senso generale. Ma non credo sia un’opzione realizzabile: richiederebbe al Sapiens una forza mentale e d’animo che oggi non pare possedere. Le avrà lasciate nelle caverne quando se n’è uscito qualche decina di secoli fa, forse.

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