Entra anche tu nell’Outlet del libro! (Io no, rimango fuori, grazie.)

Mi è comparso quanto sotto giusto qualche giorno fa nella casella mail personale… Non pensavo esistessero ancora iniziative del genere. C’erano già quand’ero bambino (svariati lustri fa…) e pure allora, quantunque non capissi un bel niente della loro sostanza, nonostante la nascente passione per la lettura mi ispiravano poco o nulla.

Senza nome-congiunto-06Eppoi, suvvia, quella definizione, “L’Outlet del libro”, è oggettivamente da galera immediata. E non tanto per la definizione in sé, nemmeno per quella “O” maiuscola per Outlet (vanagloria irrefrenabile? O furbesco tentativo di nobilitare l’avvilente?), ma per racchiudere in sé – che l’abbiano fatto consapevolmente o meno, i responsabili – l’essenza del degrado verso cui certa editoria ha cercato/sta cercando di spingere il libro e la pratica della lettura, trasformandola da esercizio socio-culturale fondamentale a mera azione consumistica (in barba alla vigente Legge sul prezzo del libro, peraltro). E non entro nel merito dei titoli offerti ai fruitori di siffatto “Outlet”, che sennò non ne esco più.

Chissà, poi magari, alla fine, queste iniziative col tempo hanno fatto guadagnare nuovi membri alla comunità di lettori… – in fondo, sono io il primo ad affermare che è benvenuta e benedetta ogni cosa che sia in grado di togliere la gente da davanti la TV per metterle un (buon) libro in mano e farla leggere! Ma di contro ammetto che quel mio scetticismo giovanile è rimasto intatto, negli anni. Di sicuro, nuovi lettori creati o meno, ‘ste cose hanno permesso (ed evidentemente permettono ancora) agli editori di svuotare i magazzini e di gonfiare i numeri di vendita, nel frattempo spacciando il tutto per iniziativa “nobile” e “culturale”. In effetti, “outlet” non è l’anglicismo per spaccio aziendale?

6 pensieri riguardo “Entra anche tu nell’Outlet del libro! (Io no, rimango fuori, grazie.)”

  1. Concordo su tutta la linea. Tra l’altro il successivo passo, se entri nell’outlet mi sembra sia quello di una specie di abbonamento mensile con proposte di libri altrettanto discutibili, che se dimentichi di disdire ti arrivano direttamente a casa volente o nolente (direi pure dolente). Non mi spiego come il puro piacere di entrare in libreria e scegliere i libri accarezzandone le copertine e leggendone qualche passo, possa essere rimpiazzato da un freddo e limitato catalogo alla postalmarket… Mah!
    Buona giornata e come al solito grazie per queste perle di riflessione 🙂

    1. Ciao Faby! 🙂
      Se clicchi sull’immagine vedi come funziona… in ogni caso, come dici tu, il regolamento di queste iniziative è sempre un po’ fumoso, ed è di quei generi che contengono spesso postille scritte in caratteri che abbisognano d’un microscopio elettronico per essere letti!
      Eppoi, hai ragione: che tristezza “comprare” libri così…
      Grazie a te per le tue osservazioni, sempre graditissime! 🙂

      1. Ecco vedi? Non avevo cliccato sull’immagine :D… Però so che una mia conoscente mi parlava tempo fa di questo metodo di intortare le persone con un prezzo lancio, come appunto un euro a libro, e poi scatta una sorta di abbonamento mensile che ti vincola in un anno ad acquistare un minimo di libri proposti. Adesso non so se questo metodo è uguale a quello dell’outlet da te descritto ma mi sembra che comunque il tutto sia abbastanza squallido. Grazie ancora a te :). Buona serata

  2. Rieccomi! A proposito di anglicismi, ti racconto una mia esperienza recente.
    Qualche giorno fa mi è capitato di assistere ad una lezione di geografia. La prof che la teneva usava un anglicismo ogni 10 parole, anche quando non era assolutamente necessario (per esempio, usava “journal” anziché diario). Dopo un po’ la cosa è diventata così ridicola che, ad ogni anglicismo che lei tirava fuori, la platea rispondeva con sghignazzi trattenuti a stento.
    Poi, quando la lezione stava per finire, la prof ha proiettato una cartina che mostrava la distribuzione delle caffetterie Starbucks nel mondo. Subito dopo uno di noi si è alzato in piedi e le ha urlato a presa di giro”Questa cosa sarebbe, la mappa del coffee?” A quel punto non ce l’abbiamo fatta più a trattenerci, e siamo scoppiati in una gigantesca risata collettiva. La professoressa è rimasta così mortificata che ha concluso subito la lezione, fingendo che le si fosse rotto il microfono.

  3. Ahahahahahah! 😀
    Ciao Wwayne! Bell’aneddoto, il tuo! In effetti, spesso quelli che rendono ridicolo l’uso di termini stranieri sono proprio i tizi si vantano di usarli il più possibile, pensando così di mostrarsi “avanti”…
    In una lezione di geografia, poi… che c’azzeccano? What have? 😀 😉
    Grazie del tuo commento e del raccontino! 🙂

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.