Terry Pratchett, Neil Gaiman, “Buona Apocalisse a tutti!”

buona_apocalisse_copAll’inizio del Ventesimo Secolo l’Impero Britannico figurava come il più esteso della storia (eccetto forse solo quello dei Mongoli del XIII secolo), espandendo il proprio potere su un quarto delle terre del pianeta e un quinto della popolazione mondiale d’allora, e rappresentando di gran lunga la prima e più influente potenza mondiale, al punto che mai come per il dominio di Sua Maestà si può storicamente parlare di “imperialismo” alla massima potenza.
O forse no. Forse c’è qualcosa di britannico che, sotto certi aspetti, è divenuto ancora più egemone del citato potere politico su buona parte del pianeta… (e sì, così vi spiego anche il perché di quel mio prologo storico apparentemente bislacco, per la recensione di un romanzo): il british humor, ovvero il tipico stile umoristico letterario (e non solo) sviluppatosi in Terra d’Albione e divenuto nell’era moderna e contemporanea la principale scuola comica a livello planetario. A partire da certa pur aulica ironia shakespeariana fino ai mostri sacri degli ultimi decenni – Wodehouse, Waugh, Adams, Sharpe solo per citarne alcuni, con l’insuperabile appendice TV-filmica dei Monty Python che di letterario nei propri sketch mettevano tantissimo – mi viene da affermare con tranquillità che buona parte delle risate che nel mondo di oggi ci vengono da fare nascono proprio da quella scuola, da quel suo stile e dall’influenza veramente globale sulla comicità occidentale (ma non solo): uno stile molto più legato ad una costruzione complessa della gag comica rispetto allo stile mediterraneo, fatto di battute e freddure meno ragionate e più immediate. Uno stile più artistico, sotto molti aspetti.
Posto ciò, da appassionato cultore della letteratura umoristica di matrice anglosassone, indigena e non, e avendo letto innumerevoli romanzi riconducibili a questa “scuola” (definirlo meramente “genere” mi pare alquanto riduttivo) scritti da veri e propri mostri sacri di tale letteratura, mi rendo conto che a chi produca oggi opere analoghe si presenti l’arduo compito di affrontare inevitabilmente la storia e il confronto con essa, nonché la responsabilità da tutto ciò derivante – un po’ come il calciatore che si ritrovi a giocare con lo stesso numero, lo stesso ruolo e le stesse circostanze di Maradona, o di altri campioni assoluti del genere. Adocchiando dunque in libreria un romanzo sulla cui copertina campeggiano i nomi di Terry Pratchett e Neil Gaiman, due tra i più noti e celebrati scrittori britannici contemporanei, impegnati in un romanzo la cui presentazione interna cita Douglas Adams e i Monty Python quali riferimenti diretti per la storia narrata in esso, non potevo non supporre una lettura che non fosse meramente tale ma, appunto, assolutamente mirata a cercare una buona risposta alla domanda già poco fa indirettamente espressa: ma di eredi dei grandi autori umoristici britannici ce ne sono ancora, in circolazione? Ovvero: la letteratura umoristica anglosassone è ancora egemone, oggi, sulle altre di simile specie?
Il romanzo in oggetto è Buona Apocalisse a tutti! (Arnoldo Mondadori Editore, 2007, collana “Strade Blu”, traduzione di Luca Fusari; orig. Good Omens, 1990), la cui trama tento di riassumere in poche righe: le sfere divine decidono che per la Terra è giunta l’ora dell’Armageddon, mettendone in moto il processo irreversibile…

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Tom Sharpe, “Eva, una bambola e il Professore”

cop_Eva_una-bambola_SharpeImmaginatevi uno dei super-aristocratici tea club inglesi, nei quali Lord e Sir consumano il sacro rito del tè delle cinque discorrendo di grandi temi – politica, filosofia, morale, cose di questo genere, insomma. Anzi, immaginate tale tea club adiacente a qualche nobile e prestigioso college, dunque frequentato da docenti coltissimi e un po’ austeri… Ecco: cercate sul web qualche immagine di Tom Sharpe, leggete la sua biografia (è mancato da poco, peraltro), e facilmente vi verrà di immaginarlo in un luogo del genere, discorrendo appunto con i titolati colleghi di cose importanti, profonde e sagge, non certo di ciance da bar di periferia.
Bene, ora leggete i suoi libri – ad esempio questo Eva, una bambola e il Professore (Tea, 1990, traduzione di Carlo Brera; orig. Wilt, 1976), riguardatevi le immagini di Sharpe, e probabilmente resterete esterrefatti. Perché questo romanzo, così come tanti altri scritti dall’autore britannico, è una vera e propria esplosione di umorismo fantasioso, folle, tremendamente acido tanto quanto libertino e sboccato (ma, sia chiaro, mai volgare, e ribadisco mai!), che parrebbe venire da un frequentatore avvinazzato del suddetto bar di periferia – e pure di quella piuttosto malfamata – piuttosto che da uno scrittore che nella sua vita è stato prima alunno e poi docente di alcuni dei più prestigiosi colleges di Cambridge e nel mezzo, ovvero negli anni ’60 dello scorso secolo, è stato espulso dal Sudafrica in quanto attivista anti-apartheid per poi dare sfogo, in età ormai matura, alla sua “natura da clown” – come egli stesso disse – e sfornare una serie di romanzi considerati tra i migliori del genere umoristico moderno-contemporaneo. Roba da sdoppiamento di personalità, quasi…

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