In principio Dio creò il cielo e la terra. Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso. Dunque Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu, e chiamò la luce giorno e le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: primo giorno. Dio fece il firmamento e separò le acque, e chiamò il firmamento cielo. E fu sera e fu mattina: secondo giorno. Poi fece la terra e l’acqua, e dalla terra fece spuntare erbe, germogli e alberi eccetera, e fu sera e fu mattina: terzo giorno, e poi quarto giorno, e poi quinto, e poi sesto, e poi nel settimo giorno Dio portò a termine il lavoro che aveva fatto e vide che era cosa buona, così decise che s’era meritato un po’ di svago. Decise di scendere sulla Terra e giocare a tennis: ma non poteva certo farlo come “Dio”, allora fece in modo di restare in incognito e si fece chiamare “Roger Federer”.
Chi abbia anche una minima conoscenza del mondo del tennis sa già che non sto affatto esagerando a scrivere quanto sopra; chi non l’abbia, deve sapere che forse mai, nello sport, un suo protagonista è stato accostato con tale frequenza e costanza all’idea del “divino”, coniugata nelle sue diverse forme, come è accaduto con Roger Federer. D’altro canto forse mai, prima, uno sportivo ha mostrato di fare cose che innumerevoli volte sono state definite “impossibili”, “prodigiose”, “magiche” ovvero divine, appunto a segnalarne l’apparente sovrannaturalità – peraltro condivisa da praticamente chiunque abbia scritto di tennis e di sport in genere, in modo professionale, articolato, tecnico oppure no. In Roger Federer è esistito davvero (66thand2dn, 2021) Emanuele Atturo racconta una biografia tecnico-agonistica del divino campione svizzero sovrapponendovi una narrazione affettiva che è certamente personale ma è facile immaginare comune a qualsiasi tifoso di Federer […]
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bellissimo quel brano. In effetti ai suoi tempo Federer era un Dio in terra.