Per inciso, questi equivoci tra milanesi e romani sono frequentissimi. Famoso è il caso di «sticazzi» e «me cojoni», due efficaci esclamazioni che a Milano vengono adottate in forma distorta. Di «me cojoni» a Milano si pensa che significhi «i miei testicoli», mentre proviene dal verbo «cojonà», prendere in giro, e quindi è l’equivalente di «Stai scherzando?» «Sticazzi» significa: vabbe’, chi se ne importa («Un po’ mi è dispiaciuto, ma poi sticazzi»), mentre a Milano e in tutto il Nord lo si considera invece un equivalente di «Accidenti, sono impressionato», con un totale capovolgimento di significato. Io sono giunto alla conclusione che l’uso milanese di «sticazzi» non corrisponde all’uso genuino romani di «sticazzi», bensì, mutatis mutandis, al romano «anvedi»; il genuino «sticazzi» romano non è invece molto lontano dal milanese «s’ciao»: «Ho corso dietro al tram, ma quello non mi ha visto, ha chiuso le porte, è partito e s’ciao».
Stefano Bartezzaghi, M – Una metronovela (Einaudi, 2015, collana Frontiere, pag.53-54)
Piccola e argutissima lezione del mirabile Bartezzaghi su certe trivialette gergalità ormai entrate nell’uso comune anche se in modi a volte distorti, ovvero emblematica seppur pittoresca prova che anche le parole a volte, a fronte di un significato certo che poche altre cose umane hanno, acquisiscono sensi parecchio distanti da esso.