Durante il forzato riposo a letto, cercai sollievo nei classici della letteratura: un elenco di opere imprescindibili cui volevo dedicarmi da almeno quarant’anni. Evitati arbitrariamente Tucidide, i fratelli Karamazov, i dialoghi di Platone e le madeleines di Proust, mi misi sotto con un’edizione tascabile della Divina Commedia, nella speranza di cullarmi con descrizioni di peccatrici dai capelli corvini che, dimenandosi seminude tra zolfo e catene, immaginavo appartenete a un catalogo di Victoria’s Secret. Purtroppo l’autore – uno fissato con le grandi domande della vita – mi scalzò ben presto da quell’etereo sogno di erotismo, e mi ritrovai a vagare per le regioni dell’aldilà in compagnia di un personaggio non più eccitante di Virgilio che illustrava le caratteristiche del posto. Avendo anch’io un’indole da poeta, mi meravigliai di come Dante fosse riuscito a strutturare brillantemente quello squallido universo sotterraneo destinato ai furfanti del mondo, radunando vari codardi e mascalzoni ed elargendo a ciascuno di essi un’adeguata misura di dolore eterno. Solo alla fine del libro mi accorsi che il poeta aveva omesso i titolari delle ditte di ristrutturazioni edili.
(Woody Allen, Pura anarchia, Bompiani Tascabili, 2007, traduzione di Carlo Prosperi, pagg.115-116.)
Si dice che nella vita a ogni fortuna corrisponda una pari o maggiore sfortuna, no? Ecco: Dante evidentemente non dovette mai ristrutturare casa, finendo così nella trappola degli impresari edili, ma di contro non ebbe nemmeno mai l’occasione di consultare un tanto celebrato catalogo di costumi da bagno per regalarne uno alla sua Beatrice. O anche solo per diletto, già!
E chissà, nel caso, come sarebbe uscita, la Commedia… Probabilmente più consona al suo celestiale appellativo, ma pure con qualche porta dell’Inferno o qualche finestra del Paradiso messa al posto sbagliato!
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