Il collegamento sciistico tra Padola (Comelico) e Sesto (Pusteria), ovvero: quando lo sci nel pensare di autolegittimarsi finisce per rinnegare sé stesso

[Veduta invernale di Padola. Foto di Antonio De Lorenzo, opera propria, CC BY 2.5, fonte  commons.wikimedia.org.]
Che l’industria turistica dello sci appaia spesso come un’entità avulsa dalla realtà della montagna contemporanea, quando non sostanzialmente alienata da essa, è una circostanza che da tempo molti osservano: l’esempio classico è quando vengano proposte nuove infrastrutture sciistiche a quote dove ormai non si riscontrano più le condizioni nivoclimatiche adatte, pur di tentare di perseverare il modello turistico e il relativo business economico.

A volte questo tentativo di imporre reiteratamente un modello turistico monoculturale in certi ambiti ormai superato assume i contorni del grottesco, quando siano i suoi stessi promotori a giustificarlo sostenendo cose che in realtà appaiono ottimi motivi per confutarlo, inficiandone qualsiasi presunta e pretesa bontà.

Un caso recente è apparso sul “Corriere delle Alpi”, lo vedete qui sopra: concerne il progettato collegamento sciistico tra Padola e il Comelico Superiore con il comprensorio di Sesto in Pusteria (lo vedete indicato nell’immagine qui sotto), parte del “Dolomiti SuperSki” e nell’articolo ne parla il principale promotore, mentre già da tempo arrivano le critiche al progetto da parte delle associazioni ambientaliste. Personalmente, della questione e di certi suoi aspetti significativi (e piuttosto bizzarri) avevo già scritto qui.

In forza del titolo di questo mio post, di seguito analizzo alcune delle affermazioni citate nell’articolo:

  • Padola come luogo «ideale per sciare»: la località si trova a 1215 metri di quota, pensare che lì già oggi ma ancor più in futuro si possa conservare al suolo la neve, anche artificiale, appare parecchio fantasioso.
  • Il Monte Colesei, dove giungono gli impianti di Padola e partirebbe il nuovo collegamento con Sesto, è alto 1950 m, dunque sotto la quota di 2000 metri ritenuta da tutti quella oltre la quale nel prossimo futuro lo sci su pista potrà preservarsi, mentre al di sotto sarà destinato a non essere più praticabile. D’altro canto gli stessi impianti del comprensorio “Drei Zinnen” di Sesto si trovano al di sotto dei 2000 m.
  • Sostenere che «Il turismo è l’attività più ecologica per sviluppare la valle» appare un’affermazione a dir poco forzata. Sia in senso generale, e sia perché si sta parlando di un turismo sciistico che abbisogna di infrastrutturare pesantemente il territorio tanto a monte, con impianti, piste e opere connesse, quanto a valle, dove si riverbera l’impatto ecologico maggiore dato dal traffico automobilistico, dalla necessità di consumare suolo naturale per ricavare parcheggi, dall’aumento di presenze turistiche in una località che conta meno di mille abitanti, dunque con un indice di carico turistico sicuramente critico.
  • Ugualmente, affermare che un progetto del genere alimenti l’indotto economico locale è quanto meno parziale e comunque verificabile concretamente solo sul medio-lungo termine; inoltre manifesta la pretesa che il territorio locale diventi totalmente dipendente dall’economia sciistica che resta e resterà sempre ad andamento stagionale dipendente da fattori estremamente variabili – quello climatico, innanzi tutto. Portare tale “giustificazione” come un dato oggettivo ma in verità non verificato appare come pura e semplice propaganda: è come garantire che un investimento in borsa farà ricco chi lo esegue senza mettere in conto che invece potrebbe accadere il contrario.
  • Ora una delle prime affermazioni contenute nell’articolo: Padola come «una piccola Cortina», cioè una delle località più devastate – materialmente e immaterialmente, a detta di tutti e in primis dagli stessi cortinesi – dai modelli turistici di massa. Ma vediamo al proposito qualche dato demografico di Cortina al cui modello si vorrebbe che Padola ambisse (cliccate sulle immagini per ingrandirle):

Come vedete, Cortina sta perdendo abitanti (più del 12% in meno di vent’anni), mentre la sua comunità è sempre più composta da persone anziane, con scarso ricambio della popolazione attiva, indice di struttura (cioè il grado di invecchiamento della popolazione in età lavorativa) pessimo e bassissimo indice di natalità; al riguardo ne ha scritto di recente anche “L’AltraMontagna“.. Evidentemente a Cortina il turismo non sta portando grandi vantaggi alla comunità residente, anzi. E Padola dovrebbe ambire a questo modello?

  • Dulcis in fundo, guardate la foto della zona in questione pubblicata a corredo dell’articolo, che risale al recente periodo festivo di fine anno, con pochissima neve in quota – ovviamente artificiale sulle piste – e i prati verdi nel fondovalle. Un’immagine del tutto emblematica della realtà montana contemporanea locale e non solo) e allo stesso tempo palesemente confutante molte delle affermazioni contenute nell’articolo e anche qui da me rilevate.

Insomma, non c’è molto altro da aggiungere, dal mio punto di vista.

Dunque per concludere cito solo Carlo Alberto Zanella, presidente del CAI Alto Adige, che al riguardo ha scritto in un suo post su Facebook:

Il Comelico avrebbe la grande occasione di rilanciarsi come zona ambientalmente intatta, lontana da interessi speculativi, dove la montagna, le malghe, i rifugi, i prati ed i boschi sono ancora preservati dal turismo di massa e non deve ascoltare le lusinghe di chi vorrebbe sfruttare le sue bellezze per aumentare i propri affari. Ad ascoltare le lusinghe dei sudtirolesi ci guadagnerebbero solo i turisti proprietari di appartamenti che vedrebbero aumentare il valore dei loro immobili.

 

5 pensieri riguardo “Il collegamento sciistico tra Padola (Comelico) e Sesto (Pusteria), ovvero: quando lo sci nel pensare di autolegittimarsi finisce per rinnegare sé stesso”

  1. Buonasera Luca,

    purtroppo al peggio non c’è mai fine: in questi giorni il comune di Bellagio e la Comunità Montana Triangolo Lariano hanno approvato il progetto definitivo per “la tutela e il rilancio turistico” del Monte San Primo, per “contrastare lo stato di degrado e di abbandono” in cui versa la zona interessata…

    Grazie per l’attenzione e alla prossima lettura.

    Simone

    1. Buongiorno Simone,
      già, ho letto e, seguendo i lavori del Coordinamento “Salviamo il Monte San Primo”, ci si sta già muovendo per contrastare questo ennesimo folle rilancio del progetto. Vedremo e vediamo di fare il possibile per bloccarlo del tutto, anche in forza della sua ipocrisia: perché, lo saprà bene, alla fine è solamente un’operazione di propaganda politica, ai promotori del progetto non interessa nulla di rilanciare e sviluppare il “San Primo” ma solo di spendere soldi pubblici a fini elettorali. Peccato che, così facendo, stravolgono la bellezza e il valore di un’intera montagna – ma, appunto, di questo a loro non importa proprio niente.
      Grazie!

  2. Scusate ma la montagna non è solo per l’inverno e solo per lo sci, gli impianti porterebbero anche un turismo estivo. Se il clima sarà sempre più caldo prevedo un grande sviluppo nei prossimi anni a causa del caldo torrido in pianura. A mio avviso devono decidere gli abitanti del luogo cosa fare del loro territorio, del resto a Padola un impianto c’è già, si tratta di collegarlo ad un altro comprensorio. Non salviamo il mondo impedendo ad una vallata di crescere turisticamente ed economicamente come già avviene dappertutto. Io a Padola e nella val Comelico ci vado spesso, ed il degrado e l’abbandono purtroppo sono evidenti rispetto alle altre zone delle Dolomiti (soprattutto in confronto al Trentino che beneficia di sovvenzioni speciali), secondo me è giusto che abbiano anche loro una possibilità di crescere.

  3. per fortuna il TAR ha bocciato il ricorso. Adesso avanti tutta per la realizzazione di un collegamento essenziale per chi abita il Comelico

    1. Andrea, ovviamente lei è libero di pensare che il collegamento sciistico possa risutare essenziale per il Comelico così come io ri crede che ne soffocherà l’anima e la socioeconomia peculiare. Peraltro in tal senso il Comelico, più di altre zone nel Triveneto, ha molte potenzialità latenti e, appunto, un’anima culturale specifica sulla quale si potrebbero costruire notevoli progetti di sviluppo territoriale che certamente possono comprendere il turismo ma non nella forma monoculturale (nonché totalmente antitetica dalla realtà climatica in divenire) che si vuole imporre al territorio. I tanti soldi in gioco potrebbero e dovrebbero essere spesi molto meglio, così come deve risultare chiara la responsabilità – nel bene e nel male – di chi lo spenderà in certi modi.
      Grazie.

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