…Ovvero: nessuna stima, nessuna prospettiva, nessun futuro. Che poi sono le impressioni “primarie” che mi si generano durante la lettura della testimonianza sotto riportata, apparsa come commento ad un post del blog ladisoccupazioneingegna.wordpress e che molti altri blog hanno già diffuso e commentato – ad esempio Diemme, dal quale ho tratto il suddetto testo.
C’è ben poco d’altro da aggiungere, se non – dal mio punto di vista – prendere il tutto come un altro forte sprone a perorare continuamente la causa a favore delle librerie indipendenti (come ho fatto qui, ad esempio), quali fondamentali baluardi “di base” a difesa dei libri e della lettura, e contro la loro (al momento) inesorabile estinzione. Poi si dirà che “d’altro canto se non succede ciò che quella testimonianza evidenzia, in Italia si venderebbero ancora meno libri…”, “ci sarebbero sempre meno librerie…”, “la crisi del settore sarebbe ancora peggiore…” e altro del genere. Sarà, non voglio dire che possa realmente essere così, ma al momento, dati ufficiali alla mano (come quelli di cui sovente disquisisco qui nel blog e ai quali rimando tramite links), così non è.
E, se posso permettermi di essere, al proposito, pessimista, io temo che così non sarà nemmeno in futuro. Perché i metodi descritti nella testimonianza sotto riportata, se anche potranno essere funzionali all’ottenimento di qualche buon risultato commerciale ora, credo siano invece del tutto deleteri nel lungo periodo, per chi li mette in atto e, soprattutto, per l’intero panorama editoriale e letterario italiano. Una gran zappata sui piedi, insomma, di un sistema che, come accade in altri campi nostrani, piuttosto che decidere di evolvere e farsi più virtuoso rispetto a certi deleteri comportamenti tenuti in passato, preferisce vivere alla giornata e alla “si salvi chi può”, nonostante è (io temo, nuovamente) cosciente di scavarsi nel frattempo la fossa da solo.
Che poi, se fosse così, peggio per lui e amen; ma la cosa terribile è che in quella fossa, facilmente, ci finirà pure la letteratura.
“Ho lavorato 9 anni alla Feltrinelli, all’inizio al Nord per circa 2 anni e poi al centro dove mi sono trasferita per scrivere la mia tesi. In lettere Moderne. Lavoravo il venerdì dalle 14 alle 21, il sabato dalle 14 alle 22 e la domenica dalle 10 alle 21 in cassa. Ero in un punto vendita molto affollato e il lavoro in cassa era molto faticoso, soprattutto perché durante il we le file sono infinite
(ora con la crisi non è più così) e perché durante la settimana studiavo o facevo un altro lavoro (dopo la laurea). Non c’è stato modo di avere ogni tanto una domenica o un sabato liberi, magari con un cambio turno: per farlo avrei dovuto firmare “la flessibilità” grazie alla quale loro avrebbero soltanto ottenuto di spremere ancora di più le mie energie.
La Feltrinelli sfrutta i lavoratori fino al limite del lecito. Arriva al confine ma sa benissimo come non superarlo mai. E comunque, si sa, le cause di mobbing contro aziende così grandi non esistono: se anche un dipendente avesse la forza di portarle avanti finirebbero con un patteggiamento e non con una condanna.
Alla Feltrinelli quando assumono cercano di fomentarti e indottrinarti facendoti credere di fare parte di una grande famiglia che vende cultura. Non è vero. E non è vero che se sei laureata in Lettere sei la persona adatta a lavorare in libreria: più sei competente e più sei una minaccia per lo stile “megastore” con le sue esigenze perché facendo anche due chiacchiere sul libro che stai vendendo con un cliente perdi la possibilità di venderne un altro al cliente che aspetta. Per non parlare del fatto che ti è richiesto di “indicare” il posto in cui il cliente può trovare il libro invece di perdere tempo accompagnandolo e consegnandolo. E ovviamente quali libri è meglio consigliare? I best seller, tomoni appena usciti che la Feltrinelli ha ordinato in un numero di copie sufficiente a farci dei divani perché quelli sono i libri che le case editrici vogliono vendere, non certo l’edizione economica del Mestiere di Vivere di Pavese o La Locandiera di Goldoni o Un Dramma Borghese di Morselli!
Ovviamente il libraio non può nemmeno incidere sull’assortimento della libreria, svolgendo un ruolo di “educazione alla lettura”! No! È tutto automatico! Ma come è possibile che il lettore di Bari abbia le stesse esigenze di lettura, gli stessi gusti di quello di Padova, dove ci sono determinate realtà universitarie e stili di vita differenti? Sarebbe bello seguire le esigenze tipiche di culture e città che sono italiane ma hanno tradizioni e abitudini uniche! Invece no: da nord a sud da est a ovest ci accoglie sempre la stessa vetrina, gli stessi divani fatti di Dan Brown!
Livellamento culturale. E non a caso le Feltrinelli vendono cioccolata, gomme da masticare, occhiali da sole, ricariche telefoniche, tra un po’ anche i biglietti dell’autobus e i grattaevinci. Sottomissione della cultura alle esigenze di mercato. Il tutto all’ombra del credito dato da un uomo morto su un palo per degli ideali.
Meglio non essere laureati in Lettere per lavorare serenamente alla Feltrinelli.”
No comment, e tutto il resto, appunto.
Deprimente e deprecabile ma tristemente prevedibile..
Hai ragione.
In effetti, nel decidere di dedicare alla cosa un post, ho pensato di passare per ingenuo, come se non vedessi e non sapessi già che il sistema funziona proprio in quel modo – e certo non solo alla Feltrinelli, non solo nel mercato editoriale, non solo nel comparto culturale…
Eppure, mi pare una prevedibilità che, in quanto tale, rischia sempre di trasformarsi definitivamente in “normalità” (sempre che la trasformazione definitiva non sia già avvenuta del tutto), dunque preferisco passare per ingenuo e continuare a metterla in luce, quando posso.
Grazie di cuore del tuo commento! 🙂
Tu hai fatto assolutamente bene, il problema è solo mio che ogni volta spero esistano posti migliori e puntualmente ormai non mi stupisco più che non sia così..
Eh, è un problema che affligge molti – ma, a quanto pare, sempre troppo pochi, e sempre meno…
ahimé, mi accodo al pianto greco degli “ingenui” che han cercato di aggrapaprsi fino all’ultimo all’illusione…
Ciao Topometallo!
Vorrei che tu non usassi il passato (“han cercato di aggrapparsi…”) ma temo che verrebbe spontaneo usarlo anche a me…
Grazie del tuo commento! 🙂
non solo alla Feltrinelli succede ovunque nei megastore , dove sembra che il pubblico vada non solo per acquisti mirati ma per passare intere domeniche con figli passeggiando tra file interminabili di vetrine tutte che vendono cose molto simili tra loro , dove commessi svogliati e demotivati ti accolgono con l’espressione seccata. Il piccolo negozio dove potevi trovare oltre all’oggetto, libro o altro, non esiste più nemmeno i gestori sanno più vendere ,il commercio ha perso il sapore dell’accoglienza , peccato peccato.
Tiziana
Hai ragione, Tiziana. E pensare che il commercio sia diventato mero e ottuso consumo – dunque consumismo sfrenato – anche per i libri, è qualcosa che non può lasciarci indifferenti… Forse starebbe a noi stessi lettori ribellarci, e andare in quei super lussuosi e freddi bookshop di marca a dire ai gestori: scusate, ma voi proprio i libri non li sapete vendere, anzi, li state soffocando! Starebbe a noi di far capire a chi li controlla che il libro e la lettura non sono cose che si possono imporre come beni di consumo, ma sono la massima e più diretta espressione della CULTURA, e per questo direttamente soggetti alla nostra libertà di pensiero e di scelta, non alle loro esigenze di bilancio finanziario!
Grazie infinite del tuo commento! 🙂
Penso che entrare in una libreria sia un’esperienza da gestire autonomamente. E’ vero che le grandi librerie possono apparire tristi, ma a me seccherebbe avere intorno un addetto che, come in un negozio di abiti, stia a indicarmi questo o quel prodotto. La libreria è un labirinto da affrontare in solitudine, perdendosi tra gli scaffali 😉
Su questo hai ragione, Stelio. Però, sai, un conto è perdersi nel labirinto di viuzze d’un meraviglioso borgo storico o d’una città ricca di monumenti architettonici di pregio, e un conto in un quartiere di condomini tutti uguali o in un enorme parcheggio… Voglio dire: ben venga qualsiasi libreria, di ogni tipo e genere, ma quand’essa muta la sua forma e sostanza al punto da travisare pure il senso precipuo e non solo in senso commerciale ma pure culturale, allora divento quanto meno perplesso… 🙂
Grazie per essere passato nel mio blog, è un piacere conoscerti, anche se con la connessione ho qualche problema in questo momento, per ciò che riguarda il tuo post, posso solo dirti che forse sono di vecchio stampo, non amo i grandi centri commerciali, di nessun tipo, al contrario amo i piccoli negozietti, dove puoi trovare
quello che ti serve, ma sopratutto calore umano, amo leggere, sentire il profumo della carta mentre sfogli un libro e quando lo finisci riporlo in libreria e assaporarne ancora la storia mentre lo guardi insieme agli altri, le bancarelle dei libri nei mercatini rionali,che tentazione, ma poi come dico sempre io nutrire il corpo va bene, ma nutrire il cervello con un buon libro ?, una felice serata a presto.
Angela
Ciao Angela, il piacere è tutto mio, e grazie di cuore a te! 🙂
Beh, guarda, non è questione di essere di vecchio stampo o meno, è questione di dare il giusto valore alle cose – come anche tu stessa rimarchi. E i libri mai e poi mai potranno essere assimilati a prodotti di consumo da supermercato, ergo chi li tratta in questo modo è, a mio parere, un “nemico” di essi anche quando viceversa si presenti pubblicamente in modo contrario. Perché va bene vendere, ci mancherebbe, pure nell’editoria mica si campa di sola aria, però vendere oro come fosse normalissima pietra alla fine cancella il valore del primo trasformando ogni cosa nella seconda…
Grazie ancora del tuo commento! 🙂