L’Italia uccide pure le materie artistiche a scuola. Il genocidio intellettuale è ormai quasi compiuto – e meritato, d’altronde.

E così, da ieri in modo definitivo, a quanto pare, le materie artistiche sono state cancellate dalla scuola italiana. Dalla scuola d’Italia, nazione che possiede uno dei più grandi e preziosi patrimoni artistici del pianeta.
Non c’è molto da dire, se non che ormai l’imbarbarimento a cui è stato spinto e sottoposto il paese ha raggiunto le fasi finali. Siamo ormai sulla soglia dell’inciviltà, della società sorretta da meri istinti animaleschi, con gran gioia dei potenti che sanno perfettamente come una massa di ignoranti sia infinitamente più dominabile che un popolo di persone istruite e intellettualmente sveglie. E la cosa forse più triste, è che una gran parte degli italiani si sta lasciando imbarbarire… D’altro canto – lo sostengo da sempre – ogni popolo ha i governanti che si merita.

Ciò che però c’è da dire lo ha detto bene Tina Lepri, in questo articolo tratto da Il Giornale dell’Arte numero 338 di Gennaio 2014, che vi voglio proporre di seguito per come riassuma bene la questione e ne contenga i temi fondamentali…:

L’ITALIA IGNORANTE DICE NO ALL’INSEGNAMENTO DELLA STORIA DELL’ARTE
Una Carrozza sul binario morto

Fallito anche l’ultimo tentativo di reintrodurre le discipline storico-artistiche nella scuola italiana. Una vergogna nazionale.
Roma. Speranze deluse e nessuna resurrezione per la Storia dell’arte nelle scuole, uccisa dall’ex ministro Maria Stella Gelmini con la sua legge di riforma del sistema scolastico (nn. 133 e 169/2008) che ne ha cancellato o drasticamente ridotto l’insegnamento. Dagli anni 2009 e 2010, oltre all’abolizione degli Istituti d’arte, la riforma Gelmini ha imposto la riduzione delle discipline artistiche nei «nuovi» Licei artistici, la cancellazione di «Storia dell’arte» dai bienni dei Licei classici e linguistici, dagli indirizzi Turismo e Grafica degli Istituti tecnici e dei professionali; zero ore per i geometri; cancellazione di «Disegno e Storia dell’arte» dai bienni dei Licei scienze umane e linguistici; cancellazione di «Disegno e Storia dell’arte» dal «nuovo» Liceo sportivo; eliminazione del «Disegno» nei trienni di questi ultimi «ambiti formativi» (cfr. n. 321, giu. ’12, p. 10). Non è scomparsa soltanto la conoscenza di Giotto, Leonardo, Michelangelo, si stanno perdendo i saperi del grande artigianato, proprio quelle arti applicate come il design, la moda, la grafica, da sempre gloria della nostra eccellenza creativa e base del nostro export. Un documento di ISAlife, l’associazione degli ex Istituti d’arte aboliti, ricorda che «proprio in quelle scuole professionali si sono formati gli artigiani che hanno creato e tengono in vita la tradizione del made in Italy nel mondo».
Negli ultimi due anni si sono moltiplicati i tentativi di far rinascere la disciplina e tutto il sapere perduto. Appelli incessanti tra 2012 e 2013 non sono serviti.
La recente raccolta di 15mila firme sostenuta dallo stesso ministro dei Beni culturali Massimo Bray (tra i primi firmatari Adriano La Regina, Antonio Natali, Salvatore Settis, Claudio Strinati, Fai, Italia Nostra, Cesare De Seta, Associazione insegnanti di Storia dell’arte) sembrava poter avere successo: il 31 ottobre 2013 era finalmente arrivato in Commissione Cultura Scienze e Istruzione della Camera l’emendamento «C 1574-A» presentato da Celeste Costantino, deputata di Sel, per il «Ripristino della Storia dell’arte nella Scuola secondaria». Il sì sembrava scontato ma alla fine l’emendamento «non ha trovato ascolto», bocciato perché, dice la motivazione della maggioranza della Commissione, reintrodurre la materia «significherebbe aumentare una spesa che è stata tagliata perché il Paese non è in grado di sostenerla». Uno schiaffo proprio mentre il Governo sembra impegnato nella difesa della cultura e del suo valore, etico ed economico. In Commissione alla Camera, Celeste Costantino lo aveva presentato così: «Cancellare la formazione artistica è l’ennesimo paradosso di una politica che negli ultimi venti anni ha colpito a morte beni culturali, paesaggi e patrimoni culturali unici al mondo. Aver cancellato la Storia dell’arte per i giovani studenti significa ridurre il loro senso critico, la conoscenza, il sapere, fino a costringerli a dimenticare la grandezza del nostro patrimonio storico artistico». La scuola italiana di Storia dell’arte era da sempre un modello in Europa, introdotta dalla riforma Gentile del 1923. Oggi i dati Ocse descrivono la nostra scuola «ignorante», precipitata agli ultimi posti, vicina al Montenegro e alla Tunisia. Questo mentre altri Paesi, come Francia, Austria e Portogallo, si ispirano alle discipline della Storia dell’arte e del Disegno secondo le linee pre riforma Gelmini, e la introducono anche nelle classi elementari. Perché, scriveva lo storico Andrè Chastel, alla fine degli anni ’80, nei suoi inascoltati appelli al Governo francese (recepiti poi da Sarkozy nel 2008, che ha reso obbligatorio l’insegnamento dell’arte anche alle elementari): «Il fronte più importante nella battaglia per la salvezza del patrimonio storico e artistico europeo è quello che passa nella scuola, come fanno benissimo in Italia».
Per mantenere viva la richiesta di una rinascita, da poco è nata una nuova associazione, Artem Docere (Associazione nazionale Docenti Disegno e Storia dell’arte) che si batte assieme alle altre associazioni «storiche» come l’Anisa. «Non vengono più preparati gli insegnanti di domani, li stiamo cancellando insieme con la Storia dell’arte, dice Marinella Galletti, presidente di Artem Docere, che annuncia nuovi appelli e azioni. La battaglia culturale per la restituzione di Disegno e Storia dell’arte, ricomincia da adesso».
La riforma Gelmini è riuscita anche a dividere gli insegnanti: da una parte 2mila precari, storici dell’arte vincitori di concorsi espulsi insieme alle loro discipline, dall’altra quelli di ruolo: «Una operazione barbarica, la definisce Marinella Galletti, che produce ignoranza e che fa tacere i professori rimasti nella scuola, protetti dal posto sicuro. Fuori i dannati, dentro i “fortunati” che preparano classi di allievi e futuri insegnanti del nulla».
L’ultimo tentativo fallito, che per ora mette fine alle speranze di una rinascita della «Storia negata», è stato il 7 novembre 2013. Il Parlamento approva il decreto «L’Istruzione riparte» presentato, «con soddisfazione e orgoglio» dal ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza. Contiene tra l’altro, dice il comunicato del Miur, «borse per il trasporto studentesco, fondi per il wireless in aula e il comodato d’uso di libri e strumenti digitali per la didattica». Reintroduce anche una materia soppressa, la Geografia. Silenzio tombale sulla Storia dell’arte: petizioni, comunicati, elenchi interminabili di firme per la sua rivitalizzazione restano nei cassetti. Inapplicato l’art. 9 della Costituzione, tradito il pensiero di Roberto Longhi che si batteva per «quella Storia dell’arte che ogni italiano dovrebbe imparar da bambino come una lingua viva, se vuole avere coscienza intera della propria nazione». Si domanda Salvatore Settis: «A che cosa serve la Storia dell’arte? È semplice: come tutte le scienze (e in particolare quelle storiche) serve per capire. Serve per capire un mondo come il nostro inondato da immagini senza subirle passivamente, sapendone smontare e ricostruire i meccanismi di persuasione. Perché se rinunciamo a capire, faremo come i ciechi della parabola illustrata da Brueghel nel quadro conservato a Capodimonte: quando un cieco guida l’altro, tutti cadono nella fossa».

Un altro bell’articolo è uscito ieri, 5 Febbraio, su ilmediano.it, con la firma di Paolo Gallinaro: vi invito a leggere anche tale pezzo, a sua volta molto significativo nelle osservazioni che contiene, tra cui cito questa:
Un controsenso o, piuttosto, un suicidio. Stiamo infatti custodendo e valorizzando, con un enorme dispendio di risorse, il capitale storico-artistico più prezioso del mondo e al contempo formando i cittadini che lo dilapideranno. Cos’altro aspettarci dall’inevitabile diseducazione delle future generazioni? Stiamo per consegnare nelle mani di un popolo devastato dalla riforma Gelmini, incapace di distinguere una chiesa gotica da una barocca, un inestimabile patrimonio culturale. Un patrimonio che noi oggi, paradossalmente, con ingenti investimenti, cerchiamo di preservare proprio per quelle stesse generazioni che potrebbero, un domani, arrivare verosimilmente a distruggerlo.
QUI lo potete leggere in versione integrale.

Ma, lo ribadisco, non c’è veramente molto più da dire. Come ho già rimarcato tempo fa, qui sul blog – nel quale peraltro le personali osservazioni e gli appelli relativi a questioni e tematiche simili alla presente sono innumerevoli – l’Italia è una barca che sta colando a picco, ma che per come sia cronicamente incapace di turare le falle, anzi, per come non sappia far altro che provocarne altre, merita di colare a picco. E amen, basta. Che la cosa finisca una volta per tutte.
Chiamatemi “disfattista”, se vi va, ma c’è un limite a tutto, pure al patrio disgusto.