Streaming di libri: innovativo salvagente o ennesima zavorra per il mercato editoriale?

Lea_landing_11All’ultimo Salone del Libro di Torino, il Gruppo Editoriale Laterza ha presentato Lea – Libri e altro, progetto di diffusione editoriale in streaming che si configura come una vera e propria biblioteca digitale dalla quale è possibile scegliere e leggere, in configurazione iniziale, 500 libri in streaming, con un abbonamento che ricalca quello delle piattaforme che offrono musica o film, a 7,90 euro al mese o 79,00 euro all’anno. Lea, a dire della stessa casa editrice, si ispira all’esperienza di Spotify, che permette di accedere alla musica senza doverla neanche scaricare, e ripercorre la strada dei contenuti in abbonamento già intrapresa nel nostro Paese da Amazon con il suo Kindle Unlimited.
Posto che il progetto nasce da una casa editrice specializzata in testi di saggistica prevalentemente umanistica, dunque relativamente di nicchia per il mercato editoriale, ma considerando che, ovviamente, può essere esempio per iniziative simili da parte di editori di narrativa generalista, viene inevitabilmente da chiedersi: è una buona idea, questa di Laterza? Un nuovo prezioso ausilio per la diffusione della lettura nel nostro paese, oppure un’altra mazzata sui piedi di un’editoria che non sa più cosa inventarsi per salvare sé stessa e i suoi sempre più tetri bilanci?
Di sicuro la seconda che ho scritto è ciò che hanno subitamente pensato i librai. Un sistema di diffusione di libri e letture in streaming, senza più bisogno fisico dell’oggetto-libro e di un suo acquisto nei punti vendita, ovviamente in linea teorica taglia fuori dalla filiera editoriale le librerie, tutt’al più ridotte – in base a quanto sostiene la stessa Antonia Laterza, ideatrice del progetto – a punti vendita degli abbonamenti a Lea, in cambio di una percentuale prevista per ogni abbonamento venduto. E nemmeno sembra tenere il concetto di social reading e di community alla base del progetto, di dialogo e discussione sui libri, la condivisione sui social e quant’altro del genere, che vorrebbe coinvolgere le librerie su Lea per alcuni servizi utilizzabili all’interno della piattaforma, come i gruppi di lettura specifici delle stesse librerie: un’idea, detta così, apparentemente interessante ma poi sostanzialmente inapplicabile per mille motivi, e che fa peraltro cadere il senso stesso di “gruppo di lettura” offerto dalle librerie, che nascono proprio intorno a testi acquistati/acquistabili presso di esse ovvero in base a specifiche argomentazioni offerte in quelle attività comuni sovente legate al tipo stesso di libreria, non certo imposte e calate dall’alto in base a volontà altrui.
D’altro canto – sempre ragionando in senso generale, non sullo specifico caso Laterza – mi viene al solito da pensare che posta la situazione drammatica in cui versa lo stato della lettura in Italia, ogni iniziativa che possa e voglia tentare di risollevarne le sorti – peraltro in tal caso con modalità del tutto analoghe alla diffusione editoriale digitale – sia benvenuta. Non riesco però a non rilevare alcuni elementi che nel complesso, non per pregiudizio ma per obiettività, mi suonano strani. Uno, il fatto di ispirarsi ad un sistema di diffusione del quale Amazon è sovrana: come a dire che, piuttosto di contrastarlo, tanto vale arrendersi e imitarlo, senza pensare troppo alle conseguenze che potrebbe generare. Due, l’altra ispirazione, Spotify, servizio di streaming musicale: ma veramente, al di là della mera fruizione, la letteratura di qualità è assimilabile alla musica mainstream? Un saggio storico lo si può ritenere simile a un album di Lady Gaga, e dunque lo si può trattare e diffondere allo stesso modo? Tre, il social reading: a chi piace veramente? E’ sul serio un’esigenza della comunità dei lettori, oppure è qualcosa che lo si vuol far passare come tale per mero interesse e calcolata convenienza? Quattro: può essere che sia utile alla causa della lettura (e dei lettori) il voler togliere di mezzo a tutti i costi l’oggetto-libro, il volerlo rendere in modo assoluto una sorta di entità virtuale, qualcosa piazzato in un cloud lontano e nemmeno più presente in forma di ebook sul proprio hard disk? Oppure si corre forte il rischio che un elemento culturale articolato come un libro, un testo letterario, finisca per perdere ancora più del proprio appeal nei confronti del pubblico meno portato alla sua fruizione? Ovvero che il libro e la lettura si riveli definitivamente quanto di più opposto (non contrario, opposto) alla virtualità contemporanea così invece funzionale per altre cose? Cinque: per tutto quanto sopra esposto, non è che sia soltanto un modo molto scaltro attuabile dagli editori per salvare i propri bilanci aziendali senza di contro offrire qualcosa di veramente innovativo, nella sostanza, al lettore? Sei: i librai, ma ne ho già detto.
Ora, per concludere: lungi da me l’essere pregiudizialmente negativo nei confronti di progetti come Lea e di qualsiasi altra cosa che – ribadisco – possa tentare di tappare al meglio le falle della barca editoriale italiana sempre più imbarcante acqua. Tuttavia a volte risulta irrefrenabile l’impressione che tali progetti siano soltanto e soprattutto iniziative di facciata, individuali e mai corali, mutuate da esperienze straniere nate in situazioni meno preoccupanti rispetto alla nostra, mai mirate a ottenere un reale e concreto beneficio per l’intero mercato editoriale ma soltanto tornaconti parziali e personali, mentre ciò che in primis serve veramente, ovvero rimettere il libro sotto gli occhi e tra le mani degli italiani prima che qualsiasi altra cosa, non viene quasi mai considerato e attuato. E se ciò non avviene, qualsiasi buona e innovativa iniziativa a favore della lettura non potrà mai conseguire il necessario successo.

P.S.: articolo pubblicato anche su Cultora, qui.

6 pensieri riguardo “Streaming di libri: innovativo salvagente o ennesima zavorra per il mercato editoriale?”

  1. In effetti lascia perplesso. La proposta di Amazon si basa un catalogo sterminato, Laterza è sicuramente di nicchia. Senza dubbio la tua è un’analisi che deve far riflettere sull’opportunità di questa iniziativa. Certo anche alcune catene (IBS e Feltrinelli) consento di comprare e scaricare in libreria degli ebook. Per IBS c’è di mezzo il suo ereader Tolino, per Feltrinelli non so.
    Vediamo cosa produce.

    1. Sai, a volte, scrivendo questi articoli, sono io il primo ad “auto-accusarmi” di – diciamo così – scarsa propensione ad accettare la trasformazione digitale del libro, qualsiasi cosa ciò significhi. In verità, ben venga sempre la tecnologia, soprattutto se, ribadisco, può servire a far ritornare a leggere tanta gente che oggi non lo fa più. Tuttavia, maledetto malfidente pessimista che sono, troppe volte dietro iniziative apparentemente virtuose ci vedo bassi e biechi calcoli con relativi interessi, se non un’autentica presa di posizione anticulturale per mero tornaconto particolare. Insomma, per farla breve: chi mette in atto tutte queste innovazioni, lo fa per autentico amore verso il libro, la lettura e la cultura diffusa, o lo fa solo per fare soldi? Che, per carità, è cosa giustissima se non danneggia niente e nessuno… ma è conciliabile una “ordinaria” strategia commerciale di tipo industriale con un oggetto assolutamente culturale come il libro? Una casa editrice deve fare utili come – ad esempio – un’emittente televisiva o un’azienda che produce gadget modaioli, o non può mai (che piaccia o meno) separarsi da una mission di fondo prettamente culturale?
      Poi, certamente, ogni innovazione va provata sul campo per verificarne la bontà, sperando appunto che non sia l’ennesima operazione di facciata, dietro la quale non vi sia un mero tornaconto ma vi siano – banale a dirsi ma forse nemmeno troppo – i libri, la letteratura e l’esercizio della lettura.

      1. Mi ritrovo nelle tue parole. Anch’io mi sono posto le stesse domande. Quello che vedo con l’ebook è un tentativo di affossarlo o di avere margini di guadagno più ampi. Per tenere alto,e a volte ingiustificato, il prezzo del cartaceo, sparano cifre, secondo me, troppo alte per il prodotto digitale, che non sempre è all’altezza della cifra richiesta.
        Il discorso diventa lungo, perché ci sarebbe da scrivere un romanzo sulle molte storture del digitale.

  2. Bravissimo, Orso, hai centrato perfettamente uno dei punti focali della questione cartaceo/digitale: l’ebook è il futuro del libro? Benissimo, ottimo! E allora perché ucciderlo sul nascere per volerci fare sopra più soldi di quanto lecito, danneggiando in tal modo sia esso che, per inevitabile rimando, il libro tradizionale?
    Genialate dell’editoria contemporanea… :/

  3. Innanzi tutto, mi piace molto questo blog, che ho scoperto grazie al Liebster Award di Stefano Bersanetti. Credo che lo seguirò con piacere. 🙂
    In secondo luogo, credo di essere un po’ controcorrente rispetto alla media dei lettori, perché credo molto nell’idea di una biblioteca virtuale, seppur con un piccolo distinguo: l’iniziativa deve essere finalizzata alla diffusione della cultura, e non piegata a volgari logiche lucrative. Purtroppo c’è il rischio tangibile che un’idea, seppur positiva come questa, si possa trasformare in mera speculazione.
    In ogni caso, io non credo che ne farei ricorso: ho sempre comprato i libri anziché prenderli in prestito, anche quando ancora non avevo il kindle. Un’iniziativa di questo tipo può agevolare chi non ritiene la propria cultura un investimento economico che valga la pena supportare.

    1. Buongiorno, Chiara!
      piacere di conoscerti, seppur virtualmente, e grazie di cuore del tuo apprezzamento, nonché – indirettamente, di avermi concesso di conoscere anche il tuo blog… vi ho già girovagato un po’ e lo trovo mooooooolto molto interessante, e ricchissimo di spunti interessanti. Ergo, ancora più onorato del tuo apprezzamento! 🙂
      Capisco benissimo il tuo punto di vista, col quale peraltro è difficile non concordare, a meno di voler i reazionari in modo smodato e pure ottuso. Peraltro rimarchi benissimo il rischio che qualsiasi novità porta con sé, quando sia calata dall’alto e inesorabilmente legata a interessi particolari – che possono essere benissimo legittimi, sia chiaro, ma che non devono oscurare, se non soffocare, il fine primario che le novità in oggetto, di matrice culturale e dunque sociale, posseggono.
      Di contro, riprendo la tua ultima affermazione – “Un’iniziativa di questo tipo può agevolare chi non ritiene la propria cultura un investimento economico che valga la pena supportare.” – e colgo che pure qui hai focalizzato bene, fors’anche indirettamente, una delle questioni fondamentali in gioco: ma chi non ritiene la cultura un investimento (economico o meno) che valga la pena supportare, ha bisogno di un nuovo modo di leggere i libri, o ha prima ancora bisogna di un nuovo acculturamento, ovvero una (passami il termine, bruttino) “rieducazione” alla cultura e alla imprescindibilità di essa nella vita di ogni individuo? Cioè, in altre parole: si leggono pochi libri perché la gente non ha voglia di leggerli o perché la cultura in senso generale, della quale i libri sono la rappresentazione più “immediata”, è qualcosa che è stato scelleratamente considerata non più importante, da qualche tempo a questa parte?
      Insomma, avrai capito cosa voglio dire: senza questo rimettere al centro dell’attenzione pubblica la cultura – e dunque i libri, la lettura, l’arte, il teatro e qualsiasi altra cosa di valore culturale rilevante – temo che nessun sistema di diffusione editoriale/letterario sarà veramente efficace.
      Aehm… ma quanto ho scritto? Pardon! 😛
      🙂

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