Forse si riesce meglio a mantenere la gioia di vivere se si tiene costantemente presente la propria transitorietà e il fatto che la morte può giungere in ogni momento, invece che scacciarne il pensiero.
(Hans Küng, Ciò che credo, Rizzoli, Milano, 2010)
Hans Küng è senza dubbio uno tra i più brillanti intellettuali dell’epoca contemporanea. Che ci si trovi d’accordo con le sue idee oppure no (e personalmente non lo sono spesso), il teologo svizzero ha sempre mostrato il gran pregio di smuovere le coscienze su temi parecchio importanti, parimenti dimostrando una libertà di pensiero e di riflessione del tutto assente nell’ambiente di sua competenza – per così dire. Prova evidente di ciò è data dal suo ultimo saggio, Morire felici.
Lasciare la vita senza paura, nel quale Küng si schiera apertamente a favore dell’eutanasia o, meglio, del diritto di decidere quando morire. Il quale diritto non è affatto questione superficialmente dottrinale, religiosa o politica ma sostanzialmente filosofica, e in quanto tale soggetta alla riflessione (semmai condivisa, ma non è cosa obbligata) e alla determinazione del singolo individuo, in qualsiasi senso essa si risolva, giammai a una imposizione dettata da interessi alieni alla sfera privata dell’individuo stesso. Una sfera nella quale, poi, vi può essere una meditazione di natura teologica – come quella che attua Küng – ovvero meramente razionale/razionalista, il che tuttavia non cambia il senso finale della questione ovvero l’essenza e la sostanza di quel diritto.
Ma, al di là delle riflessioni sull’ultimo saggio (e sulle idee) del teologo svizzero e senza bisogno di ulteriori argomentazioni, forse sarebbe sufficiente ricordare che per la sua libertà di pensiero (se di ciò si può parlare in un ambito teologico) Küng – insieme a molti altri teologi – venne praticamente messo al bando da papa Wojtyla. Per quanto mi riguarda, un segno inequivocabile di bontà intellettuale.
