L’uomo invisibile (una storia vera)

Immagine tratta da http://www.lecconotizie.com/, rielaborata dallo scrivente.
Immagine tratta da http://www.lecconotizie.com/, rielaborata dallo scrivente.

C’è l’uomo invisibile personaggio fantastico che ha popolato romanci, film e serie TV – col quale fa il paio la donna invisibile, la supereroina dei fumetti, già. E ci sono uomini invisibili così costretti ad essere dalle storture della nostra società, che mette al bando chiunque non si “normalizza” o, per sorte infausta, si ritrova ai suoi margini. E poi c’è – c’è stato, purtroppo – un uomo invisibile per scelta, forzata senza dubbio ma pure consapevole e schietta, leale. Un “eroe” a suo modo, e si intenda tale aggettivo senza alcuna accezione consueta e tipicamente conferita allo stesso, dacché gli eroi propriamente e popolarmente detti sono creati (artificiosamente, spesso) per divenire modelli ed esempi per la gente comune, nonché di tal gente effige aumentata ed dilatata a dismisura, per così dire. Un anti-eroe, dunque, ma anche in questo caso la banalizzazione da abuso di tali terminologie è dietro l’angolo, ed è bene che lì resti.
Ho scritto “purtroppo”, poco sopra, perché di questo “uomo invisibile” è stato celebrato il rito funebre qualche giorno fa, a Lecco, davanti a poche persone tra le quali alcune autorità cittadine – presenza certamente ammirevole. Si chiamava Darno Nardi, nato a Fiume nel 1937, residente a Sesto San Giovanni fino al 1967 e poi resosi “irreperibile”: sparito, scomparso nel nulla, proprio così, tanto da essere ormai considerato deceduto da lustri (come da sentenza del Tribunale di Monza). E invece vivo e vegeto, residente in una piccola grotta alla base delle pareti montane che sovrastano Lecco, a poche centinaia di metri dal centro della città ma invisibile, sostanzialmente invisibile – fino, appunto, a un mese fa, quando il suo cadavere è stato ritrovato e recuperato a seguito del decesso per probabili cause naturali, un infarto verosimilmente.
Beh, non è poi così difficile sparire nel nulla, potrebbe osservare qualcuno: basta andarsene in un isola sperduta nell’oceano, mollando tutto, cambiando identità e quant’altro. Certo, ma non alla portata di tutti, a ben vedere; eppoi così non si sparisce, semmai ci si nasconde. E’ diverso.
Nardi viveva invece a pochi minuti da una città occidentale, popoloso e frenetico agglomerato urbano contemporaneo in tutto e per tutto ovvero parte integrante di quella società in cui tutti viviamo nella quale conta sempre di più essere, apparire, rendersi visibili – per scelta o per imposizione, tra presenze tv e sul web, selfie, status symbol, appariscenze pubbliche d’ogni sorta ma pure tra videosorveglianze, tracciature elettroniche, condizionamenti di massa, tecnologie da Grande Fratello sempre più sottovalutate (dalla gente comune) e invasive. Per più di quarant’anni – un periodo incredibilmente lungo, nella superveloce società contemporanea – Nardi è invece riuscito a rimanere invisibile, sfuggendo a qualsiasi controllo, a qualsiasi tracciabilità identificativa, ad ogni sistema solitamente inesorabile con cui il nostro mondo ingloba e normalizza chiunque, appiccicando addosso il proprio bel numero con cui guadagnarsi il posto nell’elenco infinito che in testa riporta il titolo “Consumatori”.
Ha scelto di rinunciare a tutto guadagnando così il tutto, ovvero ciò che più di tutto dovrebbe contare, per degli esseri senzienti come noi uomini, la libertà. Una libertà ricca di privazioni e certamente offuscata da chissà quanta infelicità, esteriore e interiore, tuttavia frutto di una scelta consapevole e di una ferma volontà di togliersi di mezzo dallo spazio-tempo corrente per crearsi un proprio micro-universo, dotato di un ecosistema difficile eppure “funzionante” al punto da resistere per decenni.
Nessuno sa se su tale sua scelta di invisibilità abbiano influito chissà quali sfortunate circostanze del passato, o se in qualche modo la sua natura di profugo istriano – nato in una terra che invece la libertà se l’è vista togliere in modo drammatico e con conseguenze sovente terribili – abbia fatto da motivo ulteriore. E’ un peccato che non glielo si possa più chiedere – ecco, è forse questo l’aspetto più negativo della sua dipartita: il non poter più chiacchierare con lui. Sono pronto a scommettere che avrebbe avuto molto da raccontare e ancor più da insegnare: insegnare come un solo piccolo uomo possa sconfiggere – nel principio ma pure nella sostanza – il nostro ipertecnologico e soggiogante mondo contemporaneo con tutte le sue categoriche convenzioni, e insegnare come si possano affrontare difficoltà impensabili per chiunque di noi, uomini di oggi viziati e rincitrulliti, senza dover chiedere a nessuno, e a nessuno chiedere conto. O forse egli avrebbe voluto chiedere, ma non ne ha avuto il coraggio, la forza, o forse non l’ha fatto per orgoglio, per sfida…

Sto congetturando fin troppo, lo so, e non ho affatto il diritto di farlo. Ma, ribadisco, io che in fondo ho saputo della storia di Nardi solo dai media, da quel giorno in cui venne rinvenuto il suo corpo esanime, ora mi rammarico tantissimo di non aver conosciuto la sua vicenda prima e così di non averlo conosciuto direttamente, e non averci parlato insieme. Anche poche parole, a volte bastano quelle per dire tantissimo e altrettanto capire – altra cosa che noi tutti qui, visibilissimi individui trasformati sempre più in merce a cui attribuire un qualche valore ovvero qualche utilità, stiamo sempre più dimenticando, soffocati dal rumore assordante che ci circonda e dalle sue frequenze penetranti, probabilmente studiate apposta per annullare sempre più il nostro intelletto e, per diretta e inevitabile conseguenza, la nostra libertà. Frequenze puntate ad altezza d’uomo, dunque – forse – non aventi effetto alcuno lassù, nella grotta appena sopra la città.
Sfortunato il popolo che ha bisogno di eroi, recita il noto motteggio. Fortunato invece chi, dico io, pure nella sua eventuale sfortuna sa diventare eroe per sé stesso.

Che la buona sorte sia dalla Sua parte in eterno, ora, Darno Nardi. Se la merita tutta.

La parabola del sant’uomo (Un racconto inedito)

P.S. (Pre Scriptum!): il seguente è un racconto al momento ancora inedito che tuttavia farà presto parte di una raccolta mooooolto particolare (a cominciare dalla brevità dei testi contenuti, come noterete), di prossima pubblicazione editoriale. Seguite il blog e/o il sito e a breve potrete saperne di più…

Vi fu un tempo in cui un forestiero venne ad abitare nelle grotte poste sul monte più alto della zona, in totale solitudine e vivendo di quel poco che la brulla terra di lassù poteva offrirgli.
La gente del villaggio, notoriamente diffidente, vinse in poco tempo la circospezione nei confronti dell’uomo: doveva essere un asceta, si prese a dire, probabilmente isolatosi lassù per ragioni spirituali, mistiche. Qualcuno salì sul monte per incontrarlo e con chiunque l’uomo mostrava grande gentilezza e cordialità, ma non sfuggì, a chi vi conferì, il suo sguardo perennemente triste.
Di lì a breve si sparse la voce che il romitaggio dell’uomo era dovuto a una grande delusione d’amore, a una donna che egli amava ma dalla quale venne rifiutato. Per questo aveva lasciato ogni suo avere ed era giunto sul monte, isolandosi dal mondo. Nel frattempo, tuttavia, il riguardo che la gente del villaggio portava all’uomo aumentava sempre più, insieme alla convinzione circa la sua nobiltà d’animo, la sua spiritualità e la sua venerabilità. Sempre più persone salivano sul monte per incontrarlo e chiedergli parole di saggezza, di buonsenso, e addirittura qualcuno supponeva che egli avesse doti taumaturgiche. Al villaggio ormai era conosciuto come “il santo triste”. Perché tale restava: aveva buone e illuminate parole per chiunque, e una costante, profonda tristezza negli occhi.
Poi, un giorno, una donna straniera giunse al villaggio. Chiese la via per salire sul monte, e vi si incamminò di gran lena. Era ancora piuttosto giovane e molto bella; qualcuno ipotizzò che fosse la donna di cui era innamorato il sant’uomo, e tale supposizione mutò in certezza di lì a breve. Per sei giorni e sei notti l’eremita e la donna copularono dissolutamente e famelicamente, e il loro sesso era in certi frangenti così sfrenato che le urla di piacere della donna potevano essere udite fin presso le case più a monte del villaggio, i cui abitanti restarono turbati e sconcertati al punto che le prime parole di esecrazione non tardarono a essere proferite.
Sette giorni dopo, la gente vide l’uomo e la donna scendere dal monte e attraversare il villaggio verso le campagne. Sul volto di entrambi, ma in particolare su quello dell’uomo, vi era disegnata un’espressione che più felice non poteva essere. Da dietro le imposte e le tende delle case la gente li osservava nauseata, e nel silenzio della via non si faticò a udire epiteti come “maiale”, “puttana”, “peccatori blasfemi” e altro del genere. Ma probabilmente la coppia, tutta presa dalla propria felicità, nemmeno li sentì.