La cucina italiana è diventata “Patrimonio Unesco”?

Bene, ottima cosa (al di là del bene e del male scaturente dai dibattiti che si stanno alimentando al riguardo), perché quella italiana è sicuramente una delle migliori cucine del mondo e perché buona parte di essa è composta da prodotti e pietanze di provenienza montanara, dunque il tema non può non interessare anche le nostre montagne.

Tuttavia, che per la cucina italiana il sigillo Unesco sia un autentico riconoscimento di valorizzazione e tutela! Perché se invece lo dovesse essere come ad esempio (non) lo sono molte DOP o IGP, oppure – restando in ambito Unesco – come lo è il “Patrimonio Mondiale” per le Dolomiti, cioè qualcosa di sostanzialmente inefficace e sotto certi aspetti ipocrita per i Monti Pallidi, non sarebbe affatto una “conquista” da festeggiare ma una circostanza della quale c’è solo di che preoccuparsi!

P.S.: ecco, proprio i pizzoccheri che vedete nell’immagine lì sopra, piatto tradizionalissimo della cucina valtellinese, anch’essi da oggi “Patrimonio Unesco”… peccato che nella gran parte dei casi il grano saraceno con il quale vengono fatti provenga da paesi ben lontani dall’Italia!

Fake DOP

Condivido pienamente quanto scrive Paolo Ciapparelli, del Consorzio Salvaguardia Storico Ribelle – Presidio Slow Food, in occasione del venticinquennale della “DOP” assegnata ai formaggi valtellinesi Bitto e Casera, mettendo in luce tutta l’ambiguità (per usare un termine parecchio eufemistico) di tale titolazione ora “festeggiata” e di quanto c’è veramente dietro la sua immagine pubblica. Tutte cose risapute da tempo, ormai, ma che è sempre utile mantenere in evidenza. Per chi non avesse Facebook può trovare il testo di Ciapparelli qui, in pdf.

Ne approfitto per invocare, da operatore e promotore culturale nei territori di montagna in primis ma non solo lì, una approfondita riflessione, finalmente, sul senso, la sostanza reale e le finalità di tutte queste titolazioni così ambite da molti – DOP, DOC, IGT/IGP, “Patrimoni Unesco”, marchi di protezione e salvaguardia di vari generi con relative normative istituzionali, eccetera – le quali di contro, e non di rado, presentano all’interno del loro ambito di influenza criticità, incongruenze e devianze non indifferenti, a volte piuttosto palesi (come nel caso del Bitto/Casera DOP) e alla fine inficianti il senso stesso di salvaguardia e valorizzazione che quelle titolazioni dovrebbero garantire e promuovere.

Ovviamente non intendo dire che DOP, Unesco e compagnia bella siano cose da demonizzare oppure da disdegnare: al solito non è nello strumento di salvaguardia che sta il problema, ma nel modo in cui viene interpretato, utilizzato e sovente, prima, ottenuto. Anche in questi ambiti a volte l’abito non fa il monaco, insomma, tanto più se è un vestito “firmato”, ma può capitare che il monaco si faccia l’abito e se lo faccia a suo piacimento più che a quello dei suoi discepoli.

In ogni caso, il titolo fondamentale che ogni prodotto, manufatto, territorio, luogo può e deve cercare di conseguire resta quello del consenso più pieno e consapevole del suo fruitore. Con l’assenso inconsapevole dacché indotto e forzato, invece, nessuna cosa andrà mai da nessuna parte, fosse pure all’apparenza la più preziosa che esista: la sua reale natura prima o poi salterà inesorabilmente fuori, già.