Andrzej Żuławski, “C’era un frutteto”

cop_zulawskiC’è un motteggio, in dialetto tipico milanese (ma esiste certamente un po’ ovunque), che suppergiù suona così: ogni ofelè al fa el so mestè. Significa “Ogni pasticcere deve fare la sua specializzazione”, nel senso che ognuno dovrebbe compiere ciò che gli compete, fare ciò che gli riesce bene e non altro, insomma, dacché quando avviene il contrario sovente ne scaturiscono dei gran pastrocchi.
Ora, disquisendo di Andrzej Żuławski, regista polacco non troppo noto da noi (se non per una certa fama di “maledetto” accompagnata da censure varie e assortite le quali, tuttavia, alla fine fan forse più bene che danno) ma apprezzato alquanto dalla critica internazionale, tanto da vantare in curriculum un’opera – Possession, del 1981 – premiata a Cannes, si potrebbe supporre la validità di quel motteggio citato, dato che Żuławski, dall’inizio degli anni ’90 in poi, ha diradato parecchio la propria produzione cinematografica per “trasformarsi” in scrittore, pubblicando nel complesso più di venti romanzi ma, appunto, non nascendo come autore letterario, quantunque si potrebbe discutere a lungo sulla contiguità delle due arti. Anche in veste di scrittore, Żuławski non è affatto noto in Italia, e di edito si ricorda solo il romanzo Barbablù, del 2003. Ora la casa editrice Alpine Studio – in verità specializzata in letteratura di montagna, come il nome fa intendere – cerca di mettere una pezza a tale “ignoranza” italiana sul regista polacco, pubblicando C’era un frutteto (1° ediz. Settembre 2013, traduzione di Marina Fabbri; orig. Byl sad, 1992), con una utilissima prefazione/contestualizzazione “storica” della stessa traduttrice e una bella introduzione al personaggio Żuławski di Mirella Tenderini

Leggete la recensione completa di C’era un frutteto cliccando sulla copertina del libro lì sopra, oppure visitate la pagina del blog dedicata alle recensioni librarie. Buona lettura!

La letteratura, perversa come il diavolo (Andrzej Żuławski dixit #2)

Avevo una moglie, un letto caldo. Le donne gobbe, signore, hanno un temperamento duro, ma volevo Julia così tanto che mi distesi sul tappeto erboso bagnato e lo scavai col mio corpo. Solo l’uomo può essere così perverso, come il diavolo o la letteratura.

(Andrzej Żuławski, C’era un frutteto, Alpine Studio, 2013, pag.184. Traduzione di Marina Fabbri)

Se così è, se la letteratura perverte l’uomo come lo sa fare il diavolo attraverso la passione amorosa, beh… Mi auguro si diventi tutti quanti bramosamente, perversamente, diabolicamente lettori di libri.
QUI potete leggere la recensione al romanzo di Żuławski, ergo: buona lettura, in ogni senso.

La scrittura dev’essere rapida e discreta (Andrzej Żuławski dixit #1)

Una scrittura rapida, discreta, così dev’essere. Montaigne ha scritto che senza gioia non gli piace fare – scrivere – niente. Perfino le macchine da scrivere – quelle umane – come Trollope, che aveva preso a levarsi alle sei di mattina e a produrre – scrivere – duecentocinquanta parole ogni quarto d’ora, giorno dopo giorno, a prescindere dall’ispirazione e dai postumi di una sbronza, perfino quelle macchine affermano che niente dona tanta gioia quanto la compagnia della propria scrittura. Dall’altra parte, la vulnerabilità di Kafka – “se mi uccidi sarai un assassino”, detto al medico sul suo letto di dolore, agonizzante per un cancro alla gola – e la non elastica vulnerabilità della letteratura del dopoguerra, scaturita dalla sua cristallina coscienziosità. Probitas – come si dice in polacco?

(Andrzej Żuławski, C’era un frutteto, Alpine Studio, 2013, pag.11. Traduzione di Marina Fabbri)

E a breve, qui nel blog, la recensione del romanzo…