Scena: un ufficio pubblico qualsiasi.
Protagonisti: un ordinario funzionario pubblico, una nota influencer da poco maritata.
Funzionario: «Buongiorno, sig.ra…?»
Chiara: «Chiara. Mi chiamo Chiara.»
F.: «Ok, Chiara. È coniugata?»
C.: «Sì, da poco.»
F.: «Allora mi dia anche il cognome completo da coniugata.»
C.: «Ferragni Lucia.»
F.: «No, mi basta solo il cognome.»
C.: «Eh, gliel’ho detto.»
F.: «Ma lei non fa Chiara, di nome?»
C.: «Sì, certo, l’ho detto prima.»
F.: «Ah… ho capito. Lucia è il secondo nome.»
C.: «No no, io non ho un secondo nome.»
F.: «Ma come, se mi ha appena detto che si chiama Chiara Lucia?!»
C.: «Sì, da coniugata. Me l’ha chiesto lei!»
F.: «Ah… cioè, aveva un nome da nubile e ora ne ha uno da coniugata?»
C.: «Niente affatto, mi chiamo sempre Chiara!»
F.: «Insomma, signora Chiara, o Lucia, o tutt’e due… mi sta prendendo in giro?»
C.: «Assolutamente no. Io mi chiamo Ferragni Lucia Chiara.»
F.: «Ferragni Lu… ah, dunque è Lucia il suo primo nome, e Chiara il secondo!»
C.: «No! Le ripeto che io non ho un secondo nome!»
F.: «E allora chi diavolo è questa Lucia?»
C.: «Lucia è mio marito!»
F.: «Uuh?!? “Marito” una donn…?! Aaaaah, forse ho capito… eh, ‘ste unioni moderne a volte creano una bella confusione, sa? Niente al contrario, ci mancherebbe, ma…»
C.: «…»
(The end. O forse no.)