Il caso recente del Mein Kampf dato in omaggio al quotidiano Il Giornale ripropone per l’ennesima volta la questione della liceità di conoscenza e diffusione di libri portatori di messaggi malvagi e criminali preso il grande pubblico – e non serve dire che proprio il testo di Adolf Hitler rappresenti probabilmente, di questi libri maledetti, il caso più emblematico. Ne disquisisco qui solo ora nella speranza che gli sproloquiatori da competizione, così attivi in queste circostanze, se ne siano ormai andati altrove a berciare sguaiatamente come loro solito.
Bene: sulla questione, la prima cosa che mi viene in mente è una domanda: affidereste voi alle capacità – diciamo – di un tredicenne la guida di un TIR, facendogli tutt’al più prima leggere un agile libretto d’istruzioni?
Ora vi spiego tale (all’apparenza) bizzarra domanda. Formalmente, io credo da sempre che nessun libro, persino quello dai contenuti più terrificanti, possa e debba essere proibito. Ciò per due semplici motivi: primo, perché quei contenuti così tremendi innanzi tutto sanciscono la natura – intellettuale, culturale, umana, morale, etica – di chi ne è l’autore; secondo motivo, complementare al primo, perché chiunque ha il diritto di conoscere chi ha scritto cosa e perché, nonché di meditarci sopra previa fornitura dei più consoni strumenti critici – ove chi ne fruisca non li possieda già per propria preparazione culturale personale.
Posto ciò, sorge dunque una domanda ulteriore: i lettori de Il Giornale (e non solo loro, poi) possiedono una tale preparazione? Ovvero: la redazione, insieme al libro in questione, fornisce loro i più consoni strumenti critici al fine di poter comprendere senza alcun equivoco il valore e la portata di ciò che leggeranno, per poi poterci riflettere sopra nel modo meno superficiale e più articolato possibile?
Io non ho visto né conosciuto direttamente l’operazione messa in atto dal quotidiano milanese, tuttavia, leggendo commenti del tutto autorevoli e indipendenti nonché per una inevitabile considerazione “storica” della fonte di tale operazione, mi permetto di formulare seri dubbi su che ciò sia avvenuto. Ho invece letto l’editoriale del direttore de Il Giornale, e l’ho trovato “scolastico” (ma da scuola media, intendo, non di più!) e piuttosto superficiale, debolmente abbarbicato alle solite frasi del tipo “Studiare il male per evitare che ritorni” che ci si aspetterebbe, in situazioni del genere, più di quanto ci si potrebbe aspettare una sensazione di bagnato toccando dell’acqua, e all’autorevolezza del professor Francesco Perfetti, una delle massime autorità nel campo della storia contemporanea, che firma la parte critica dell’edizione. Autorevolezza riconoscibilissima, sono io il primo a sostenerla, a patto di non considerare troppo gli evidenti legami tra il professor Perfetti e un certo intellettualismo di destra – leciti, sia chiaro, ma date le circostanze forse non così convenienti: non ci fossero, quell’autorevolezza sarebbe senza dubbio maggiore e ancor più da riconoscere.
Un’altra domanda ancora: l’operazione in questione, al di là del libro in sé e dei suoi contenuti, lede o rischia di ledere la memoria storia, il rispetto e l’onore di chicchessia abbia subito, direttamente o meno, le conseguenze della pubblicazione originaria del libro in questione? A giudicare dalle reazioni della comunità ebraica italiana, parrebbe di sì. Anche in tal caso si poteva – e doveva – aspettare una reazione più o meno critica da parte degli ebrei italiani. Era inevitabile? Forse, pur solo per partito preso – o forse no, sarebbe stato meglio evitarla in ogni modo, magari con una adeguata concertazione della pubblicazione con la stessa comunità.
Ecco. A questo punto, torno a quella mia affermazione là sopra: di fronte a opere come il Mein Kampf, e a tutto ciò che portano appresso in senso storico, ideologico, morale, filosofico nonché (inesorabilmente) politico, noi tutti siamo e resteremo sempre come tredicenni – salvo rarissime eccezioni. Una tale opera ingombrante come il più grosso dei TIR (mi si perdoni tale metafora così rozza, ma vuole essere a fin di bene, sia chiaro), nelle mani di chi non possieda i più consoni strumenti culturali per la sua comprensione e meditazione ovvero che di essi non venga fornito – e in maniera assolutamente completa – finirà sempre per essere un’arma assai pericolosa, per chi la “guida” e per chiunque si trovi sulla sua strada.
Per come è stata impostata, la pubblicazione del Mein Kampf da parte de Il Giornale – a prescindere da eventuali volontà di marketing sensazionalistico di pessimo gusto che, quantunque segnalate da tanti, ora qui non prendo in considerazione – mi suona molto come un TIR, per di più carico di sostanze infiammabili o esplosive, potenzialmente dato in mano a tanti tredicenni. E, ribadisco nuovamente, noi tutti lo siamo, come bambini cresciuti ingenui e parecchio sprovveduti a fronte di cose tanto grandi e terribili: chi anche senza preparazione culturale abbia la capacità di capire cosa ha tra le mani e, a maggior ragione, chi no.
Ma, posto tutto quanto sopra, ciò non significa che i TIR non possano circolare, se ben guidati e su strade ad essi consone! Personalmente non sarò mai contrario alla conoscenza di opere pur così “maledette” come il Mein Kampf: la necessità di un’analisi critica di tali immani tragedie ovvero del dover fare i conti con la storia, come si dice in tali casi, al fine di chiudere veramente e definitivamente quel capitolo consegnandolo al passato e alla pubblica memoria (dunque senza alcuna “nostalgia”, di nessuno e in nessun modo) non viene mai meno. Altrove – vedi Germania – questo è stato fatto, in maniera considerabilmente compiuta. Qui, a quanto Il Giornale ci dimostra, nel bene e nel male, forse non ne siamo ancora capaci. E forse mai lo saremo.
P.S.: ah, per la cronaca… Lo lessi tempo fa, il Mein Kampf, e mi parve un testo parecchio stupido, nonostante tutta la sua tragicità.
Concordo ogni punto della tua analisi, anche quello finale, perchè pure io (dopo aver fatto un minimo di scuola guida conn i TIR 🙂 ) tanto tempo fa ho letto il “libraccio” in questione e, francamente non mi ha “lasciato” nulla se non la domanda “ma perchè”.
Ciao Raffaele!
Ah, bene, allora non sono l’unico ad aver avuto quell’impressione del libro!
E quindi, mi chiedo: gli anormali chi sono? Quelli come noi che lo hanno letto e ne sono rimasti sostanzialmente indifferenti, o quelli che leggendolo si esaltano al punto da voler riprodurre quella malvagità descritta?
Grazie del tuo commento! 🙂
Non l’ho letto e quindi mi astengo da giudizi del tipo ‘per sentito dire’. Comunque le opere più controverse, e ce ne sono, vanno spiegate non per condizionare il lettore ma per per fare sì che possa comprenderle. Ovviamente chi è sufficientemente maturo intellettualmente e in grado di leggere tra le righe – capacità innata – può fare a meno di questi tutor.
E’ evidente che se anche guido da molti anni ma i TIR non li conosco non cercherei di guidarli. Credo che provocherei solo sfracelli.
In ogni caso le tue parole sono condivisibili in pieno.
Buongiorno, Orso Bianco, e grazie della tua condivisione!
E’ vero, di opere controverse ce ne sono a iosa – in fondo anche la “sacra” Bibbia è assai controversa, no? Vanno spiegate cose ben più semplici, figuriamoci queste! Eppure, anche qui, la superficialità alienante della nostra epoca contemporanea finisce per fare potenziali danni, trattando argomenti così delicati come se si discutesse dell’ultima partita della nazionale… Ribadisco: noi italiano non siamo mai stati capaci di fare i conti con la nostra storia, né quella passata e tanto meno quella più recente. Cosa assai grave, purtroppo.
Grazie come sempre, mitico Orso! 🙂
Hai perfettamente ragione. Non siamo in grado di discutere della nostra storia se non come si fa al bar Sport sulla Nazionale e sulla squadra del cuore. Ovvero coi piedi.
Già… ed è una mancanza assolutamente grave, io penso, che peraltro dimostra quanto la società italiana sia in uno stato di infantilismo cronico. Con le conseguenze che ci tocca constatare.