Una domanda a tutti gli autori letterari che leggono questo post – ma non solo…

Vorrei sottoporre una domanda a tutti gli autori di letteratura (in qualsiasi forma) che leggono le mie cose qui nel blog o che si trovano a passare da esso occasionalmente / incidentalmente, e pure a chi è lettore frequente – ma è in fondo una domanda aperta a chiunque voglia rispondervi…:

ritenete che la personale miglior qualità letteraria (in senso generale) sia raggiungibile scrivendo il più possibile – per non porre freno alcuno alla creatività – oppure scrivendo il meno possibile – per raffinare e rifinire al massimo quanto scritto?

La domanda in sé è banale e profonda – se così si può dire – allo stesso tempo. Tratteggia quelli che, sostanzialmente, sono i limiti “pratici” entro i quali si muove l’autore letterario, e che a modo loro Snoopy_writerrappresentano, con ovvie varianti, due “scuole di pensiero” sulle quali mi sono trovato spesso a disquisire con amici autori (del campo letterario in primis ma anche altrove: nell’ambito artistico, ad esempio…), di valore e accezione equivalenti (dacché prettamente legati al modus operandi personale) ma su cui, nonostante tutto, mi sono sempre trovato a riflettere, chiedendomi se tutto sommato non ve ne sia una che possa essere più “redditizia” (termine improprio, ma che uso qui per mera comodità e chiarezza) dell’altra…
Che ne pensate? In base alle vostre esperienze personali (che tali sono e restano comunque, senza alcuna pretesa di assolutezza, ovvio), ritenete che si possa, se non rispondere, dissertare su quella domanda? A quale delle due “scuole di pensiero” voi appartenete?
Potete rispondere commentando questo post oppure, se preferite, a luca@lucarota.it
Per la cronaca, io in principio appartenevo senza dubbio alla scuola “alta produzione”, ma poi col tempo ho preso a traslare sempre di più verso la parte opposta…
Grazie di cuore fin d’ora per i contributi che vorrete manifestarmi!

24 pensieri riguardo “Una domanda a tutti gli autori letterari che leggono questo post – ma non solo…”

  1. Caro Luca, ti propongo volentieri il mio pensiero su questa questione che ha fatto discutere un po’ anche me.
    Sono convinta che la bassa produzione non dia l’opportunità di realizzare grandi testi, ma fino ad un certo punto. Ci sono sempre dei limiti di tempo e spazio. Quindi bisognerebbe prima produrre molto e sperimentare con dedizione, anche per trovare uno stile proprio, tanto che quando si legga un testo qualcuno possa trovare una firma sottintesa.
    Solo che produrre troppo potrebbe anche essere inconcludente, perché il troppo stroppia. Quindi bisognerebbe scrivere poco, ma bene cercando concentrazione e attenzione.
    Però (perché c’è sempre un però) non esiste mai una sola e unica via. Secondo me quando si inizia a scrivere sul serio bisognerebbe farlo spesso e anche tanto, ma nello stesso tempo è necessario leggere, vedere e conoscere. Il troppo produrrà degli errori, ma anche dei testi intensi e meritevoli, sia per l’autore che per il suo pubblico. Un buon testo arriva solo con l’esperienza, come in tutte le cose del resto. E da lì la bassa produzione potrà essere buona e quasi sempre piacevole.
    Buona giornata e a presto!

    marta

    1. Ciao Marta!
      Grazie infinite del tuo pensiero, che trovo assolutamente interessante anche perché riflette un po’ quello che io ho fatto al proposito, e non per scelta ma per evoluzione, se così posso dire. E’ forse per questo che, scrivendo ora meno di una volta, ed essendo diventato più meticoloso nel trattare il materiale che scrivo, mi chiedo se questa “trasformazione” sia effettivamente un’evoluzione positiva oppure se nasconda, al contrario, un’eccessiva ponderazione nello scremare le potenziali buone idee che mi si generano in testa.
      Hai perfettamente ragione, poi, su come e cosa leggere: è fondamentale la lettura, esercitata di continuo e su qualsiasi cosa, possibilmente prima formando la propria conoscenza letteraria sui classici o comunque senza mai tralasciarli, anche se si mira a scrivere cose del tutto contemporanee. La scrittura è sempre (e da sempre) una stratificazione di quanto è stato precedentemente scritto, quindi conoscerlo nel modo migliore possibile è senza dubbio fondamentale per poter oggi scrivere in modo interessante e per trovare – anche attraverso la quantità, come dici tu – la personale via stilistica (e non solo) da seguire.
      Ma è vero: non esiste una sola e unica via, e meno male. Dunque trovo assolutamente interessante e stimolante sapere cosa fanno gli altri, dai quali trovo che ci sia sempre da imparare (altra cosa fondamentale, a mio parere, per chi voglia scrivere!)
      Grazie ancora di cuore per le tue opinioni! 🙂

  2. “Scrivere è come andare in palestra. Se non lo fai tutti i giorni, perdi il ritmo”, questo è quanto ho appreso durante un corso di scrittura creativa. Se ho ben capito, però, la tua domanda verte, piuttosto, sull’eventuale esistenza di una corrispondenza tra il livello di produzione ed il livello qualitativo. Ed è un po’ difficile avere un’opinione netta, in merito. Personalmente, ritengo che la “buona” letteratura non nasce in quanto tale, bensì diventa tale, quando il bisogno dell’autore è a posteriori connotato necessario dal lettore. Perciò che si scriva tanto o poco, l’importante è raggiungere il cuore di chi legge e trasfigurare la propria necessità scrittoria in un’altrui volontà “lettoria” ;).
    Ciao e grazie per questo spunto di riflessione 🙂

    1. Ciao!
      Ottime osservazioni, le tue. Beh, innanzi tutto su quanto hai appreso in quel corso di scrittura creativa sono certamente d’accordo. Ed è certamente vero che la qualità letteraria è tale solo quando può essere riconosciuta dal lettore, dunque che, scrittori prolifici o meno, si debba essere tanto bravi da intercettarne la “volontà lettoria”; però, in tal caso, non è questo un motivo di più ponderata produzione, per così dire, ovvero di limitazione al proprio flusso creativo, il quale essendo comunque personale non sempre può essere “presentabile” all’attenzione del pubblico? Pensa che R.W.Emerson addirittura sosteneva che “chi scrive per sé stesso scrive per un pubblico immortale”…
      Ma hai comunque ragione: la qualità non è solo legata alla produttività… Se le buone idee mancano, si possono pure scrivere 20 libri all’anno ma alla fine non ne esce nulla di che…
      Grazie infinite delle tue osservazioni! 🙂

  3. Non c’è una regola in proposito, non si può transennare un fiume in
    piena ma c’è chi è portato a regolamentarne il flusso prevenendone i
    danni conseguenti. Celestino.

    1. Ciao Celestino, e grazie per aver espresso la tua idea!
      E’ vero, non c’è una regola, e proprio per questo il dibattito sul tema resta aperto, nella utopica speranza che qualcuno abbia capito quale sia la strada migliore da percorrere… Ma forse è proprio il dibattito suddetto, e il relativo dubbio irrisolto, la vera soluzione! 🙂
      Grazie ancora!

  4. Nono sono autrice di un bel niente, tranne che dei miei pensieri, però rispondo volentieri al tuo quesito che trovo interessante.
    L’allenamento costante e regolare è buona cosa: vale per i muscoli, vale anche per la scrittura, vale per il professionista come per il dilettante.
    Certo è che quantità non sempre va di pari passo con qualità.
    Questione di equilibri e ognuno trova il suo, a modo suo.
    “Raffinare e rifinire” non appartengono allo scrivere poco: sono solo una parte (importante) del tutto.

    1. Ciao, e grazie di cuore anche a te – anche per non essere un’autrice e comunque esprimere la tua opinione, come appunto ho chiesto: in fondo, se lo scrittore scrive tanto o poco, il lettore leggerà quel tanto o quel poco, dunque la questione non può certo essere priva di una di queste due parti fondamentali!
      E’ vero ciò che dici: è una questione di equilibri. Da lasciare che si generino in automatico, o da agevolare attraverso l’adattamento del proprio modus operandi. Dunque è anche importante capire quando si raggiunge un tale buon equilibrio e, di contro, quando esso si stia rompendo. In effetti anche i casi opposti, ovvero la consapevole volontà di scrivere il più possibile, anche quando non si hanno all’apparenza buone idee in testa, oppure il meno possibile per la ragione contraria, sono a modo loro disequilibri. Tuttavia se scrivi molto (e dunque se sei anche mentalmente predisposto a ciò) non pensi che, inevitabilmente, avrai meno tempo per rifinire quanto già scritto?
      Grazie ancora molto per le tue osservazioni! 🙂

  5. Non c’è una regola in proposito. Non si può transennare un fiume in
    piena, qualcuno, però, preferisce regolarne il flusso prevenendo
    conseguenze non desiderate. Celestino.

  6. Ciao Luca! Provo volentieri a darti la mia opinione (lunga, e me ne scuso: giuro che sto lavorando sulla capacità di sintesi…).
    Naturalmente un conto è scrivere pezzi “spinosi” (recensioni, articoli di cronaca o di opinione…), in cui bisogna ponderare ogni singola parola, anche a discapito dello stile e della bellezza del pezzo. Lì, ritornare su concetti, sinonimi o sfumature è praticamente essenziale. Altro è scrivere di letteratura tout court.
    Se si ha la gran fortuna di avere idee senza avere scadenze da rispettare, trovo che sia bene lasciar fluire tutto senza limiti. Ammetto: non mi sono mai cimentata su romanzi ma solo su brevi racconti, e quindi ho dalla mia la possibilità di “tenere” più facilmente uno stesso stile e sentimento per tutto il pezzo. Più volte ho comunque modificato in corsa trame, dialoghi, carattere dei personaggi dei miei racconti, senza una precisa strategia, solo perché mi suonava meglio. Personalmente, una volta buttata giù una prima versione dello scritto tendo a tornarci sopra il meno possibile (primo, per mera pigrizia, e secondo, perché tornando troppo tempo sulla stessa cosa dopo un po’ inizio ad annoiarmi e non riesco più a vederne chiaramente i limiti e le incongruenze). Se mi forzassi (anzi, quando mi forzo) a produrre un tot di scritti in un dato periodo, i risultati non sarebbero (anzi, non sono) ugualmente soddisfacenti. Allo stesso modo, se mi costringo a tornare su un pezzo per perfezionarlo in modo maniacale, il risultato è che il pezzo, anziché acquistare forza e bellezza, diventa freddo e perde in stile.
    Per ovviare alla cosa, in genere faccio la cosa più scontata: faccio leggere ciò che scrivo a una terza persona fidata, che possa manifestare apertamente tutte le critiche del caso. È un sistema per identificare meglio i punti da modificare e concentrare le energie solo su quelli.
    Non so dirti se sia meglio scrivere tanto o scrivere poco: se non si hanno scadenze direi che l’ideale è scrivere quel che viene, come viene. Rifinire è un’arte di pochi: se si ha, tanto meglio, aiuta sicuramente a rendere un pezzo migliore. Ma forzarsi a farlo in molti casi (e io ne sono un esempio) dà risultati decisamente non ottimali 🙂

    1. Ciao Veronica!
      Caspita, mi ritrovo in molte delle cose che hai scritto, sai?
      Anch’io col tempo mi sono formato un piccolo “comitato di lettura” personale, fatto di conoscenti che so per certo non avrebbero problemi a dirmi che quanto ho scritto fa schifo, come invece a rimarcarmi il contrario. Poi ovviamente ciò che scrivo deve in primis convincere me per primo, sempre e comunque, ma capire come quanto ho scritto può essere recepito dai potenziali suoi lettori è di certo molto utile.
      E’ vero che che mai ci devono essere forzature, nel lavoro di scrittura, ne da una parte e ne dall’altra. Capisco benissimo che qualsiasi forzatura finisca quasi sempre per edulcorare il valore originario di uno scritto – che, insomma, se nasce X non è logico che poi diventi Y perché ci si forza, appunto, a modificarlo profondamente per seguire chissà quali dettami stilistici. E anch’io, come te, non amo per nulla stare sopra per troppo tempo a uno scritto: figurati che quando metto il punto finale al testo, in solo istante dopo ho già la mente proiettata all’idea successiva, e a volte non ricordo nemmeno certi passaggi scritti e pubblicati che qualche lettore mi cita perché a lui particolarmente piaciuti, e io: ah sì? Bene, sono felice! Ma, ehm… su che libro è, quel passaggio così bello? 😀 🙂 (Certo, questo vale per libri editi da qualche tempo, altrimenti mi prendi per un perfetto idiota!)
      Grazie di cuore per il tuo commento, e soprattutto per avermi raccontato la tua esperienza personale! (e dai, prova a buttar giù un romanzo: è un banco di prova che prima o poi devi affrontare… Magari lo scrivi, lo porti a compimento, lo rileggi e poi butti tutto quanto nel cestino, oppure, al contrario, e contro pure la tua stessa opinione, scrivi un capolavoro! 😉 )

  7. Ciao Luca.
    Anch’io vorrei contribuire nel mio piccolo.
    Come ben sai scrivo poesie e racconti brevi.
    Ci sono periodi in cui sono frenetica, sento la necessità di buttare giù subito quel che mi passa per la testa, come se dovessi in qualche maniera scaricare le emozioni che “premono” dentro di me, per liberarmi, tutti i giorni.
    In altri momenti della vita invece, scrivo con parsimonia, prendendomi lunghe pause; ma di solito c’è una motivazione valida, ovvero convoglio la mia creatività in altre attività, come per esempio la fotografia.
    Di una cosa sono certa: mai smettere.
    Ho notato che un’attività costante nel tempo porta buoni frutti, come l’allenamento nello sport o gli esercizi di agilità delle dita per il pianista. Scrivere poco ma tutti i giorni, o quasi, mi aiuta a rendere fluidi i miei pensieri e più facile concretizzarli in versi. Personalmente, dietro ho anche un lungo lavoro di concentrazione e ascolto, quasi a livelli di meditazione Zen 🙂
    Poi da qui a ad arrivare a una qualità eccelsa… beh, ce ne vuole, tenendo conto anche del talento.
    Non amo molto la riscrittura, ma adesso che ho una certa padronanza tecnica e virtuosa, spesso mi capita e sento la necessità di raffinare e riscrivere poesie di ben oltre dieci anni fa.
    Un saluto e a presto!

    1. Ciao Paula!
      Beh, molto interessante quanto scrivi. Tu, in quanto poetessa, certo sei portata a variare parecchio la produzione, e sotto certi aspetti la questione “scrivere tanto/scrivere poco” la estremizzi pure, nel principio e nella sostanza, con la scrittura poetica. So bene di quei periodi nei quali sembra che i versi ti escano onde di un mare agitato, e poi invece di quelli nei quali è come se la mente preferisse il silenzio dei pensieri, piuttosto che il canto continuo…
      Hai ragione: in effetti la scrittura poetica è a suo modo una forma di meditazione assai profonda, che necessita di concentrazione e ascolto (ecco anche perché trovo che ci siano così pochi poeti validi in circolazione, oggi!), ma pure per tale motivo, riguardo a ciò che scrivi, mi viene da chiederti: la riscrittura (anche minima) di poesie vecchie di dieci e più anni, dunque frutto di quei momenti ormai andati, non finisce per intaccare il valore primigenio di quei componimenti? Voglio dire, non è come ritoccare un “vecchio” quadro il quale, piacendo allora per come era e dunque fissando l’emozione di quel tempo, finisce per non essere più la raffigurazione di quel particolare periodo?
      Sono curioso di conoscere la tua opinione, perché sull’argomento invece io la penso (o meglio l’ho pensato fino ad ora) in modo opposto, ovvero che la poesia (ben più che la prosa), per i motivi sopra esposti, deve restare ciò che era in origine…
      Grazie ancora di cuore per le tue illuminanti osservazioni! 🙂

  8. credo che dipenda dall’autore.

    conosco chi ha uno stile naturale e può scrivere per giornate intere di fila producendo sempre testi miracolosi.

    conosco chi ha bisogno di concentrazione e può produrre, apparentemente di getto, testi brevi ed incisivi rimuginati per giorni, magari anche solo inconsciamente.

    conosco chi potrebbe stare su un testo per anni interi a limarlo sempre di più senza cavarne mai niente di buono, perché è negato e non lo sa.

    dipende, mica esistono regole fisse nell’arte…

    1. Ciao Bortocal!
      Sai, credo di far parte, almeno come modus operandi, della seconda delle categorie da te citate…
      E’ vero, certo, non esistono regole fisse nell’arte e per fortuna che è così, altrimenti l’arte stessa svanirebbe molto velocemente. Forse, come ho già scritto altrove, una possibile buona risposta a quella mia domanda sta proprio nel dibattito su di essa, e nel dubbio costante e probabilmente irrisolvibile alla base – in fondo anche per questo l’ho posta, così come io me la pongo di continuo, considerando la personale attività letteraria. E il rifletterci sopra con altrettanta costanza e pari naturalezza può pure aiutare a trovare per ciascuno il più proficuo equilibrio possibile.
      Grazie molte per le tue opinioni! 🙂

    1. Ciao Roberto, e grazie del tuo commento!
      Beh, mooooolto pragmatico! E’ che, sai, la mia è una di quelle domande per le quali speri sempre che qualcuno abbia trovato una buona risposta… E sì, effettivamente, “capolavori” degni di tal genere in giro non ce ne sono molti, dunque…
      Uhm…
      Grazie ancora! 🙂

      1. Hai ragione, è una risposta troppo pragmatica per un argomento che in fondo non lo è. Allora, dico che è forse la strada giusta è scrivere molto, praticamente tutto quello che ti viene in mente. Non so se conosci Murakami. C’era un racconto pubblicato nella raccolta “L’elefante scomparso”, che poi è diventato l’incipit di quel capolavoro che è “L’uccello che girava le viti del mondo”: l’ha copiato paro paro e la usato per iniziare un libro molto più sostanzioso. Forse questa è una lezione.

      2. E infatti, assolutamente non a caso, io credo, ho citato a mia volta Murakami in un post di qualche tempo fa, sull’argomento, e proprio da quel libro:
        https://lucarota.wordpress.com/2012/10/04/scrivere-romanzi-e-come-impilare-gattini-esausti-haruki-murakami-docet/
        Sono d’accordo con te: quella di Murakami è certamente una buona risposta, hai fatto bene a ricordarmela e a “contestualizzarla” (come si usa dire oggi) in questa discussione.
        Grazie di cuore delle tue illuminanti osservazioni!

      3. Aggiornamento non richiesto. Ho appena finito di leggere “L’arte di correre”, dello stesso autore. Quello è il vademecum che vai cercando. E’ tipo la bibbia dello scrittore.

    1. Roberto, aggiornamento assolutamente richiedibile, se l’avessi saputo prima! 😀 Grazie di cuore del consiglio che seguirò di sicuro, visto che anche a me Murakami piace parecchio – anzi, lo considero tra i pochi grandi scrittori contemporanei, quelli dei quali, insomma, si parlerà ancora tra decenni – e quel suo libro non l’ho letto.
      Beh, grazie ancora di cuore!

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