Mi sento infatti medico e naturalista al tempo stesso; mi interessano in pari misura le malattie e le persone; e forse sono anche insieme, benché in modo insoddisfacente, un teorico e un drammaturgo, sono attratto dall’aspetto romanzesco non meno che da quello scientifico, e li vedo continuamente entrambi nella condizione umana, non ultima in quella che è la condizione umana per eccellenza, la malattia: gli animali si ammalano, ma solo l’uomo cade radicalmente in preda alla malattia.
(Oliver Sacks, L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello, Milano, Adelphi, 2008, p.11)
Ribaltando quanto scritto dal grande neurologo e scrittore britannico, scomparso la scorsa domenica, nella prefazione della sua opera più celebre, mi viene da pensare che pure il drammaturgo – e mi si passi l’accostamento di tale figura a quella del narratore letterario, ovvero dello scrittore – è e deve essere pure una sorta di medico dei personaggi di cui scrive, analizzandone la condizione umana con uno sguardo inevitabilmente clinico, se vuole veramente costruire e conseguire una narrazione completa e approfondita – in tutti i sensi. E se la malattia è la condizione umana per eccellenza – essendo “malattia” un termine derivante dal latino male habĭtus, “che sta male” – di frequente chi scrive storie letterarie narra di persone che stanno male, ovvero che non vivono nella loro migliore (o più ordinaria, tranquilla, agevole) condizione possibile – per colpa di amori lotte passioni sfortune coincidenze catastrofi sortilegi punizioni eccetera eccetera – capirete il perché, appunto, mi sia venuto da pensare tutto ciò leggendo quel passo sopra riportato.