Il bisogno di libertà del creativo, secondo Cesare Pavese

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Non occorre ricordare il carattere piuttosto ostico di Cesare Pavese, forgiato da una vita ricca di difficoltà e di tormenti, dunque si potrebbe pure ritenere che il tono della lettera sopra riprodotta dipenda anche da ciò. Ma al di là di questa eventuale peculiarità, peraltro già evidenziata un po’ ovunque sul web (sul quale la lettera sta girando già da un po’), mi sembra interessante come Pavese, fors’anche indirettamente, ponga in evidenza il bisogno di libertà e di affrancamento da qualsivoglia imposizione che ogni creativo – di qualsiasi natura esso sia – necessita per produrre lavori di pregio, nonché l’altrettanto forte esigenza di vivere la vita in base alla propria libera natura umana – che in fondo è sempre in qualche modo figlia della Natura naturale, per così dire – al fine di ricavarne i migliori spunti da tradurre poi in arte.
Insomma, come a rimarcare con forza che l’arte, sia essa letteraria o che altro, non può e non potrà mai diventare “di consumo”, prodotta per contratto, per ordine superiore quand’esso sia legato a fini non meramente artistici. La fantasia, la creatività e il “talento” artistico non sono elementi industriali, e non potranno mai essere correlati ad altri elementi ben più materiali – le vendite, il profitto, il successo – che magari verranno pure e saranno certamente graditi, ma in quanto conseguenze naturali (appunto!) e non per obblighi contrattuali. Per carità, poi potrebbe pure esserci l’autore che, dovendo scrivere per contratto 4 libri all’anno, sappia scrivere 4 capolavori, ma al momento questa mi pare ancora un’ipotesi alquanto utopica e, sotto molti aspetti, inumana.
Purtroppo oggi, invece, a me pare che la direzione intrapresa dal comparto di produzione culturale – e in particolare da quello letterario/editoriale – sia proprio questa. Con le conseguenze che ormai risultano lampanti.

P.S. del 08/04: come mi ha giustamente fatto notare qualcuno – ad esempio Dario Bonacina oppure Veronica Adriani, che ringrazio – la sopra riprodotta lettera di Cesare Pavese non aveva invece alcuna matrice astiosa, ma era parte di uno scambio scherzoso tra lo stesso Pavese e il suo editore, Giulio Einaudi. Ecco di seguito la lettera antecedente che “provocò” la risposta dello scrittore:
10152597_10203548945793268_399172054_nSpiega bene il tutto anche un articolo de Il Post.
Tuttavia ciò non cambia il senso e la validità di quanto ho ricavato dal tono della lettera (dalle cui “eventuali peculiarità” infatti andavo al di là), dacché la questione disquisita rimane, eccome! E buon per Pavese che dovette avere a che fare con un Giulio Einaudi (seppur, pure con lui, non senza qualche problemino…), e non con un editore contemporaneo con le sue strategie commerciali – quelle che, appunto, fanno tanto bene al comparto editoriale nazionale, no? Lo dicono i report ufficiali che la lettura dalle nostre parti va sempre meglio, vero?