Gli italiani e la cultura: seduti in un ristorante che offre piatti gustosissimi, si stanno lasciando morire di fame…

L’Italia sprofonda in un tunnel e sta rinunciando alla propria vocazione artistica e culturale sulla quale si e’ fondata l’identità e lo sviluppo della comunità nazionale. Nel 2012 la spesa per la cultura e la ricreazione delle famiglie italiane segna un – 4,4%: si tratta del primo calo dopo oltre un decennio di crescita costante, tanto che tra il 2002 e il 2011 l’incremento era stato del 25,4%. Anche i dati relativi alla fruizione culturale sono negativi in tutti i settori con una netta inversione di tendenza rispetto agli ultimi anni: -8,2% il teatro, -7,3% il cinema, -8,7% i concerti, – 5,7% musei e mostre. In generale diminuisce dell’11,8% la partecipazione culturale dei cittadini italiani. In un solo anno i musei statali perdono circa il 10% dei visitatori che passano da 40 a 36 milioni, poco più di quelli entrati nei soli musei londinesi. Allo stesso tempo diminuiscono gli investimenti nel settore: solo da parte dei comuni in un anno tagliato l’11% delle risorse mentre le sponsorizzazioni private destinate alla cultura scendono nel 2012 del 9,6%, ma dal 2008 il calo e’ del 42%. (fonte: Asca.it)

Mentre le nostre città perdono competitività turistica, il paese crolla al 15° posto nel Country Brand Index 2013. Insomma, con 3.609 musei, 5.000 siti culturali, 46.025 beni architettonici vincolati, 12.609 biblioteche, 34.000 luoghi di spettacolo e 47 siti Unesco, l’Italia è unica per la ricchezza del suo patrimonio, ma anche uno dei paesi europei più arretrati dal punto di vista dell’investimento e della fruizione culturale. E se allarma ma non stupisce che la spesa annua per abitante sia di 25,4 euro, colpisce invece che quella della Grecia sia doppia rispetto alla nostra. (Fonte: Europaquotidiano.it)

Sul Rapporto Annuale di Federculture che illustra lo stato del comparto culturale italiano si potrebbero formulare innumerevoli considerazioni, con la certezza che tutte quante rapporto_federculturerisulterebbero ineluttabilmente monotone. Esattamente come lo è il fulcro del messaggio contenuto nel volume che presenta il Rapporto: “Occorre ripartire dalla cultura, da una strategia per il Paese, un grande progetto culturale, sociale ed economico che restituisca ai cittadini e alle imprese la speranza per il futuro e una qualità della vita migliore”. Da quanto tempo sentite dire cose del genere? 20 anni? 30, forse 40? Beh, chi non è più così giovane forse le sente dire da ancora più tempo.
E, mi permetto di notare, fa abbastanza (amaramente) ridere constatare come tali rapporti così illuminanti su quanto in basso sia caduta l’Italia pure dove invece potrebbe eccellere su chiunque, al mondo, siano abitualmente presentati alla stampa e al pubblico con l’ausilio di un bel corollario di personaggi politici di varia caratura, rappresentanti quelle istituzioni che in primis hanno causato la tragica situazione suddetta…
D’altro canto, a ben vedere, non è forse un caso che la disastrata Grecia, che spende pro capite il doppio di quanto spende un italiano per la cultura, sia da tempo in piazza a protestare contro i suoi politicanti (nonostante le TV abbiano deciso da tempo che non è più conveniente parlarne), di scuola assai simile a quelli nostrani… Ovvero: se da decenni ci sentiamo dire che occorre fare questo, quello e quell’altro, che così non va bene, che bisogna cambiare le cose e via dicendo, ma la situazione non fa che peggiorare per il semplice motivo che chi dovrebbe fare qualcosa non fa nulla, anzi, pare faccia di tutto per agevolare e accelerare il peggioramento, beh, allora tocca a noi, comuni cittadini, agire. E agire in ogni senso, contro quella immonda classe politica che continua beatamente a farsi gli affari propri lasciando coprire di fango la bellezza e la ricchezza che l’Italia possiede, e a favore di noi stessi difendendo la nostra cultura, il nostro patrimonio artistico e culturale, rivendicandone la proprietà e la volontà di goderne e non solo perché è preziosissimo cibo per la mente ma pure per la pancia, per quanto sfruttando la cultura potremmo diventare facilmente e tranquillamente una delle nazioni più ricche del pianeta.
Certo che poi, quando che leggo che a fronte del calo delle spese dedicate alla cultura da parte delle famiglie italiane, quelle destinate al gioco d’azzardo sono in forte e costante aumento, da un lato mi risultano ancora più lampanti i danni derivanti dalla mancanza di cultura diffusa in Italia, ma dall’altro mi ritrovo a pensare che un tale paese probabilmente tutto quel ben di dio artistico e culturale che si ritrova, non se lo merita affatto, al contrario invece dei governanti che si ritrova.
Riflessione finale amara e pessimistica, ma tant’è.

6 pensieri riguardo “Gli italiani e la cultura: seduti in un ristorante che offre piatti gustosissimi, si stanno lasciando morire di fame…”

  1. Stavo discutendo proprio ieri con una collega a proposito del fatto che per garantire occupazione a (quasi) tutti in Italia basterebbe puntare sulla cultura. E invece, tutti gli umanisti, i letterati, gli storici dell’arte, si stanno riciclando come webmaster, esperti SEO e social media, gestori di comunità virtuali…tutte professioni che con la cultura hanno a che fare solo marginalmente, e che probabilmente non sono destinate a durare (o che cambieranno in fretta, almeno).
    Me lo chiedo anche io, come te: possibile che non si riesca a progettare una strategia di lungo respiro che ci garantisca guadagni e lavoro sul patrimonio immenso che abbiamo tra le mani e che il mondo ci invidia? Possibile. Del resto basta guardare allo stato dell’Università italiana per mettersi le mani tra i capelli e piangere come una fontana.
    Riflessione amara, la tua, ma tanto, tanto realistica. Come possiamo cambiare le cose, da cittadini?

    1. Ciao Leu! 😉
      Beh, guarda: come ho scritto nel post, è da anni, se non decenni, che continuiamo a sentire le stesse cose, che la cultura è la più grande risorsa italiana, che ci farebbe diventare ricchi, che è un patrimonio che rende l’Italia unica al mondo, che blablablablablabla… Ecco, tanti blablabla, perché nel frattempo la situazione è migliorata? No, anzi, va sempre peggio.
      Io temo che, al punto in cui siamo arrivati, siamo ormai una questione più che culturale ovvero antropologica, e a me fa parecchio paura che gli italiano taglino le spese destinate alla cultura piuttosto che altre: significa che, essendo italiani, appunto, sono in uno stato di anomia, di non identificazione: non si riconoscono più nella propria cultura e, più in generale, nei linguaggi tipici coi quali la cultura ci “parla” – che siano artistici, musicali, teatrali o che altro. Da cittadini, dobbiamo invece rivendicare la volontà di godere della cultura che abbiamo la fortuna di avere in Italia, anche contrastando quei potenti – siano politici o altro – che invece la cultura la snobbano per imporre altri modelli (solitamente atti al rincoglionimento di massa, per essere chiari). Dovremmo in qualche modo far capire a chi si disinteressa di cose culturali che è un emerito idiota. Dovremmo attuare azioni di “cittadinanza attiva” al fine di difendere quelle istituzioni culturali che la politica vorrebbe invece cancellare. Beh, dovremmo pure andare casa per casa e buttare via le TV… Insomma, noi tutti possiamo fare tante minime azioni, del tutto ordinarie, che tuttavia se sommate possono generare una vera e propria rivoluzione! Pensa solo se tutti quelli che dichiarano di leggere un solo libro all’anno invece ne leggessero un’altro, ovvero due: andrebbero in rovina finanziaria se lo facessero? Ovviamente no, ma se guardi le statistiche e consideri quanti sono, da soli risolleverebbero il comparto editoriale!
      Ecco: spesso la più grandi rivoluzioni cose non sono che la somma di tante microscopiche azioni…
      Però, per concludere, non posso non pensare che invece la situazione in cui siamo sia stata strategicamente ingenerata… Come ribadisco sempre, la cultura agevola la libertà di pensiero, ovvero quanto di più odiato dai poteri dominanti, siano essi politici, religiosi, finanziari, industriali…
      Grazie di cuore delle tue sempre interessanti e preziose riflessioni, Leu! 🙂

  2. Caro il mio Rota, sono perfettamente d’accordo con te su tutto. Il punto è che vedo inattuabile la rivoluzione di cui parli: chi legge un solo libro all’anno non ha alcun interesse a leggerne due o tre. O ad andare a teatro. O al cinema a vedere un film “impegnato”. In parte per apatia, stanchezza, bisogno di evasione dalla routine quotidiana con qualcosa di “leggero”; in parte per pura e semplice ignoranza. Ignoranza che spesso non nasce alla scrivania di un ufficio, ma sui banchi di scuola. L’esempio che ti facevo riguardo all’Università è proprio questo: finché i fondi per gli atenei pubblici continueranno ad arrivare alle strutture che sfornano il maggior numero di 110 e lode, cosa pensi che accadrà? Che ogni iscritto, per capra che sia, sarà portato avanti qualunque sia il risultato delle sue performance durante gli esami. Basterebbe che i docenti si ribellassero a questo stato di cose, eppure nessuno lo fa. Piuttosto, si abbassa lo standard qualitativo delle lezioni e degli esami, per non correre il rischio di incappare in una chiusura repentina dell’università in questione a tutto vantaggio di atenei privati che si fanno molti meno scrupoli (sto banalizzando, me ne rendo conto, ma lasciami recitare un po’ la parte dell’estremista proletaria, ti prego).
    Per quanto riguarda la cittadinanza attiva: sarebbe bello che i musei fossero pieni di visitatori, le biblioteche piene di lettori, i teatri pieni di spettatori: ma forse non basterebbe neppure quello. E comunque, a “rivoltarsi” dovrebbero essere proprio quelle persone che non vedono il motivo di farlo, perché vivono benissimo così. L’esercito di storici dell’arte e di umanisti bistrattati di cui – ahimé – facciamo parte, è destinato a rimanere minoranza a meno di un miracolo culturale che non vedo troppo prossimo. Ma forse è solo il mio inguaribile pessimismo e un po’ di sana vena snob (anche qui: fammi giocare almeno su wordpress!). Ciao Rota!

    1. Vabbé, cara Leu, lo ammetto… Sono stato fin troppo ottimista, nel mio commento lì sopra, dacché in verità io sono anche più pessimista di te, se possibile.
      Hai ragione in quanto sostieni, e ancor più quando dici che la parte “buona” della società civile – in ambito culturale ma non solo – è sempre più minoranza, e sopraffatta dalla parte marcescente la quale pare bearsi di quanto è marcia, altro che rendersi conto del contrario. Tuttavia, se una parte di me gradirebbe avere a disposizione qualche simpatica testata nucleare da spedire nei punti “giusti” (secondo me), un’altra parte resta pervicacemente (e/o ottusamente) convinta che chiunque, anche pochi, con le proprie azioni, possono costruire qualcosa che altri (coi loro blablablabla) non sapranno costruire mai, per volontà perversa o per mera inettitudine. Certo, lo so bene che è una vaghissima speranza, ma dato che l’alternativa è lo sfascio definitivo (e tanto vale che venga quanto prima, se si decide di non tentare di arginarlo in qualche modo), provo a insistere e a “evangelizzare”, nel mio piccolo piiiiccolo, tutti quelli che hanno spento il cervello per vivere in modo più spensierato… Ma è una questione antropologico-culturale, appunto, e in quanto tale legata a curve cronologiche più o meno ampie: superato un certo tot di (scusa il termine) rincoglioniti, forse la gente tornerà ad azionare il cervello…
      Ma è una speranz(ucci)a, lo ribadisco.
      E fai bene a essere snob. Anzi, accrescila pure quella tua sana vena! 😉
      Ciao Leu, e grazie ancora, eh! 🙂

  3. E’ sempre complicato, difficile, impossibile capire cosa venga prima – se una classe dirigente incapace di guidare la nazione che governa, o una nazione priva di idee incapace di fare le scelte giuste. Di sicuro, i governi italiani non hanno mai considerato seriamente la cultura se non quelli Craxiani degli anni ottanta (pensa cosa si arriva a rimpiangere) che usavano la cultura come celebrazione del proprio potere… E se ci penso, tutti i grandi mecenati hanno sempre cercato il loro tornaconto. Probabilmente la promozione della cultura non ha più alcun ritorno in termini elettorali – e torniamo quindi al dubbio iniziale: il problema sono i governanti, o chi li sceglie?

    1. Ciao Paolo!
      Innanzi tutto scusami per il ritardo con cui ti rispondo…
      Osservazioni ineccepibili, le tue. Se si sviluppi prima l’incapacità delle classi dirigenti o quella del popolo che le sceglie, beh, è un dilemma sul quale sto riflettendo da anni, cercando di raccogliere più fonti storiche possibili per capire se (e quando) si sia generata quella “crepa” nella linea di logica e normale evoluzione socio-politica che avrebbe dovuto seguire l’Italia, così come ogni altra società civile di simile natura. Non l’ho ancora capito bene, e concludere che il degrado di entrambe – società civile e classe dirigente – sia avvenuto in modo paritetico mi sembra fin troppo semplice e non soddisfacente.
      Tuttavia, se portiamo al questo al presente, ovvero agli ultimi decenni di storia italica, credo di non avere dubbi, e la risposta che formulo è strettamente legata al concetto stesso di democrazia: se effettivamente ci stiamo, in una democrazia, se vogliamo credere a ciò e sostenerlo, godendone i relativi vantaggi, la colpa è soltanto nostra, ovvero il problema siamo noi, società civile priva ormai di buona consapevolezza civica e di relativa buona capacità di scelta su chi ci debba guidare e governare. Ma, appunto, uno dei vantaggi della democrazia è anche di non scegliere più chi prima è stato scelto e non ha soddisfatto le speranze e le aspettative… Di contro, se invece vogliamo credere che la colpa non sia nostra ma soltanto della classe dirigente, per quanto ho sopra affermato, beh, significa che viviamo già in una dittatura. E, sai, forse aveva ragione Bukowski quando affermò che l’unica differenza tra dittatura e democrazia è che nella prima non ti fanno perdere tempo a votare.
      Ancora grazie di cuore del tuo commento!

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