Non ci riconosciamo più in un mondo dove trionfa la finanza invece del lavoro e la competizione sconfina sempre di più nella concorrenza sleale e nel conflitto di interesse, come sempre più spesso avviene in Italia. Non ci piace questo mercato sempre più distorto, diseguale, ingiusto e corrotto, in un Paese dove vivere e lavorare nella legalità sembra quasi un lusso per pochi utopisti, una fissazione romantico-sentimentale. La nostra serietà e la nostra etica ci hanno lentamente ma inesorabilmente buttato fuori dal mercato.
Così ha scritto lo scorso dicembre 2013 Giuseppe Liverani, fondatore della casa editrice milanese Charta, nell’annunciare la fine della sua storia, durata 21 anni e mezzo. Una sorta di testamento morale di imperituro valore e – a mio modo di vedere – potenza immensa, attiva e reattiva, per come denota la triste (o forse dovrei dire maledetta) realtà attuale del comparto editoriale nostrano con una fotografia tanto autentica quanto implacabile – oltre che autorevole – ma d’altro canto per come, in quelle parole, si può cogliere un’energia che bisogna augurarsi venga raccolta da altri soggetti in grado di rimettere in sesto – industrialmente e, forse soprattutto, eticamente – quel fondamentale comparto culturale. O che almeno ci vogliano provare, altrimenti la stessa fine toccata a Charta toccherà pure a tutti gli altri, e a noi che con quel mondo abbiamo a che fare.

Cliccate sull’immagine degli Archivi della Biennale in testa al post per leggere il testo completo della lettera scritta da Liverani (da artribune.com)
