Manuela Medici: dal “sonno eterno” lo sguardo e lo stimolo dell’arte per avviare innumerevoli nuovi “risvegli”…

La nostra società, da sempre troppo impegnata a rincorrere quel falso e multiforme edonismo dietro il quale vorrebbe nascondere le necessità ineluttabili che ci tocca affrontare, ha fatto di tutto per rendere tabù cose che invece fanno parte della vita, nel bene e nel male, anche perché, viceversa, di “vita” non si potrebbe parlare. La morte è certamente una di queste – ed è inutile rimarcare come, al solo udire quel termine, ci venga una pelle d’oca che nemmeno se fossimo al polo Sud in costume da bagno… Ma, appunto, ignorarne il senso, dimenticarlo, fare finta che non sia affar nostro, se da un lato può essere comprensibile per come tale senso ci appare opposto ed avverso alla vita, da un altro lato di obbliga, magari anche solo inconsciamente, a tenere ben presente il valore della vita stessa – “Ed è il pensiero | della morte che, in fine, aiuta a vivere.”, scriveva Umberto Saba – e in qualche modo questo valore è come se trovasse un suo apice emozionale quando alla morte – alla dipartita di un nostro caro, soprattutto – ci tocca purtroppo di entrare in contatto. Come se un tale evento, pur in tutta la sua tristezza, ci consentisse (o ci obbligasse) a fermarci un attimo e riflettere, a rimettere le cose nel loro giusto ordine, e a cercare in noi stessi la forza e lo spirito giusti per metabolizzare il dolore, il lutto, il cordoglio, e quindi andare avanti. Forse è per questo che, fin dalla notte dei tempi, quando l’uomo/homo non era ancora (almeno ufficialmente) sapiens, la tumulazione e la commemorazione dei defunti è stata usanza consueta, secondo alcuni addirittura istintiva e comunque praticata in qualsiasi cultura, e ancora oggi i cimiteri sono luoghi il cui senso va oltre la mera funzione sepolcrale (e religiosa) di “ultima residenza terrena”, in grado di mettere in moto nel visitatore che si trova a camminare tra le tombe e i monumenti funebri quelle emozioni apicali di cui dicevo poco fa.
Mi viene da citare al proposito un altro grande poeta italiano, Giacomo Leopardi, il quale scrisse: “Due cose belle ha il mondo: amore e morte.” Ecco, sembra fatta apposta, questa affermazione leopardiana, per introdurre il progetto Awakenings / Risvegli dell’artista milanese Manuela_Medici_foto_220Manuela Medici: una sorta di viaggio per immagini digitali attraverso i viali e le sepolture del Cimitero Monumentale di Milano – il più grande e importante della città – che documenta la percezione, il sentimento e l’esternazione della morte attraverso ciò che in quel luogo così simbolico resta di concreto dei defunti, ovvero i monumenti funebri. A volte discreti e minimali, altre volte grandiosi e scenografici (tanto da diventare non di rado kitsch), spesso di qualità artistica non indifferente, sono le tombe nel bene e nel male a segnare concretamente l’ultima presenza tra i mortali di una persona che non c’è più: per questo motivo non solo servono a vivificare il ricordo di essa, ma sotto molti aspetti rappresentano il compendio dell’affetto e dell’amore dei parenti ovvero il “lascito spirituale” che in essi è rimasto del defunto.
Sia chiaro da subito: nelle opere create da Manuela Medici non vi è alcuna esaltazione della morte, o del “fascino” che in certi casi la nostra società ha generato attorno ad essa e ai luoghi che vi rimandano, quasi sempre in modo del tutto superficiale, vacuo e lontano dal senso filosofico dell’evento in sé. “I cimiteri sono l’arrivo, l’ultimo attracco e per me, le infinite distese di tombe, sono navi arenate destinate a non partire mai più” spiega l’artista. “Mi è sempre piaciuto visitarli, li trovo luoghi unici per la quiete e il silenzio che possiedono e che generosamente regalano a chi li visita. Li ho scelti perché mi piace osservare in che modo le persone che sono rimaste hanno scelto di commemorare chi se ne è andato, perché è una decisione irrevocabile, una decisione che, una volta presa, non lascia spazio ad alcun ripensamento. Il cimitero Monumentale di Milano è un luogo d’amore, dove la grandezza e il dolore si fondono per ergersi in monumenti meravigliosi, eterni, granitici. Fotografo le statue che sovrastano le tombe e cerco di raccontarne la storia, di risvegliare le emozioni imprigionate e calcificate dal tempo. Si può dire addio una volta sola e il “come farlo” è una scelta che, per me, merita particolare attenzione.” Sarà certamente più chiara, ora, quella correlazione che ho indicato poco fa tra la citazione del Leopardi e il progetto di Manuela Medici, il quale non è solo un progetto legato allo spazio e a ciò che di umano esso contiene, ma in qualche modo anche al tempo: molto spesso quei monumenti funebri, passati gli anni del cordoglio e del ricordo più intenso, vengono dimenticati e consunti dal tempo, appunto. Afferma al proposito l’artista milanese: “Non mi piace che le cose vadano dimenticate. Lo trovo sempre terribilmente ingiusto. Allora catturo i volti così, per poi riportarli in vita e raccontare storie di queste statue ricoperte ormai da edera e ragnatele.
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Particolare è anche lo stile attraverso il quale Manuela Medici crea le sue opere: scatti fotografici digitali poi sovrapposti e uniti ad altri segni grafici di vario genere, a ricercare una espressività figurativa che pare richiamare la stratificazione dei sentimenti e delle emozioni nelle persone coinvolte in un evento così importante e significativo come quello luttuoso. “La mia scelta rispetto all’utilizzo dell’arte digitale come tecnica espressiva è dovuta al fatto che, per quanto la fotografia sia di per sé uno dei mezzi di comunicazione più potenti e nitidi che abbiamo, non è però sufficiente a coprire totalmente lo spettro di emozioni di chi fotografa.” spiega Manuela. “L’arte digitale permette di avvolgere le immagini con sensazioni, colori, sfumature interiori che la sola fotografia, in quanto meramente oggettiva e specchio fedele del reale, non possiede. La sovrapposizione di fotografie con altre immagini, colori, schizzi artistici mi permette di dare una visione completa di quella che è la mia interiorità, rivestendo il mondo oggettivo con le mie visioni. Le mie immagini non sono leggere o “solari”, rappresentano molto spesso quelli che io chiamo “tagli dell’anima”, quelle ferite che non si vedono, e per questo forse gli altri non riescono mai a percepire nella loro esattezza ma sempre invece per approssimazione. Perché quando si parla, in fondo, il nostro interlocutore immagina ciò che noi raccontiamo attraverso un processo interiore che non sarà mai uguale al nostro e ciò che vediamo quindi sarà sempre differente. Credo che le mie immagini vogliano essere un ponte, la fotografia di uno stato d’animo e non di un oggetto. Il dialogo potrebbe essere proprio questo: avvicinarsi attraverso delle immagini a quelle parole che, in alcuni momenti, sembrano essere impossibili da trovare.
Mi viene da tornare alla prima citazione che ho richiamato, quel verso poetico di Umberto Saba sul pensiero della morte che può aiutare a vivere… In effetti, il miglior ricordo di una persona scomparsa scaturisce spesso da quanto di buoni i vivi sanno fare sulla scia e per l’ispirazione di essa, e il punto di partenza per ciò è sicuramente quello stato d’animo che Manuela Medici cerca di fissare nelle sue immagini in modo che da essa scaturisca il più proficuo dialogo, con sé stessi in primis e subito dopo con chi continua a condividere quella gran fortuna che noi tutti abbiamo a disposizione: la vita. Forse le immagini di Manuela Medici non sono così solari e leggere, come ammette lei stessa, tuttavia io credo che la loro scarsa “solarità” non possa che essere ottimo impulso e stimolo per partire da esse e ricercare la migliore e più confortevole luminosità che la vita può regalarci – anche e soprattutto attraverso lo sguardo dell’arte, da sempre uno dei più intensi e profondi che abbiamo a disposizione per osservare qualsiasi cosa, reale o ideale, ci ritroviamo intorno.

QUI potete ammirare alcune opere del ciclo Awakenings / Risvegli, oppure potete visitare il blog di Manuela Medici per saperne di più sull’artista e sui suoi lavori – che sono anche di natura letteraria, peraltro, in una assai interessante “collaborazione” tra parole e immagini che è ambito sempre affascinante da esplorare e col quale esprimersi…

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