Io leggo per un sacco di motivi. Generalmente tendo a frequentare lettori e ho paura che, se smettessi di leggere, loro non vorrebbero più frequentare me (sono gente interessante e sanno un sacco di cose interessanti, ne sentirei la mancanza). Sono anche uno scrittore e ho bisogno di leggere per ispirami e per istruirmi e perché voglio migliorare, e solo i libri possono insegnarmi come. A volte, certo, leggo per scoprire delle cose: a mano a mano che invecchio, sento sempre di più il peso della mia ignoranza. Voglio sapere com’è questa o quella persona, vivere in un posto o in un altro. Amo quei dettagli sui meccanismi del cuore e della mente umana che solo la narrativa ci può illustrare, i film non si avvicinano abbastanza.
Nick Hornby, Una vita da lettore, Guanda 2006 (orig.: The complete polysyllabic spree, 2006)
Sembra, detta così – e per come la dice Hornby, lì in mezzo al suo pensiero – un’affermazione insensata e pure un po’ antipatica, d’altro canto è vero: siamo destinati ad essere sempre e comunque creature virtualmente ignoranti, semplicemente perché non si finisce mai di imparare, come recita il noto motto popolare. Mai.
Basterebbe questo motivo, questo unico e in verità ovvio motivo, per leggere libri su libri su libri. Perché un buon libro ci può insegnare moltissime cose, e regalarci – diciamolo sinceramente! – quel fine e appagante piacere di sentirci meno ignoranti di quelli che i libri non li leggono affatto, spesso perché non ne sentono il bisogno ovvero ritengono di non avere tempo per la lettura, già da ciò palesando in modo inequivocabile tutta la loro cronica ignoranza.