“(…) Sicuramente in Italia non si può più parlare di veri editori; di qualcuno in grado di mediare la necessità di fare andare le rotative e al contempo garantire una buona e continuativa qualità letteraria. I cataloghi delle industrie editoriali sono un povero minestrone, lontano da qualunque criterio di coerenza e distante anni luce per spessore culturale dalle idee fondatrici dei marchi dietro ai quali nascondono la loro pochezza. (…)
Oramai la produzione letteraria è totalmente concentrata nelle mani di grandi gruppi editoriali regolati all’interno da logiche manageriali; il che è un problema, perché in campo editoriale, quando si parla di produzione si chiamano in causa le infrastrutture culturali di un popolo.
Si sa che le industrie si muovono sul mercato alla ricerca del profitto, ma nessuno sembra riflettere sul fatto che, nel caso della letteratura, ciò significa delegare la produzione culturale al fatalismo e al contingente; esattamente come una mucca defeca per liberarsi e non per concimare. Senonché, la mucca è inconsapevolmente più onesta perché, lo voglia o meno, finisce inevitabilmente per concimare, mentre, al contrario, la tensione al guadagno attraverso la retorica del largo consenso, va a scapito della complessità del pensiero. (…)
Un tempo la scelta dei romanzi competeva ai redattori, i quali a loro volta erano spesso scrittori pubblicati nel catalogo dell’editore per il quale lavoravano. Di conseguenza, non avevano alcun interesse a mescolare i loro romanzi con opere di discutibile qualità. Che la si chiami orgoglio di appartenenza, snobismo, o, più semplicemente, supponenza, (se non la si vuole definire amore per la letteratura) una simile dinamica garantiva una forza alla narrativa di valore qualitativo. Oggi potremmo dire, con un pizzico di nostalgia, che le garantiva l’esistenza.
È inevitabile che il commercio, nelle mani dei manager, finisca, nella telefonia come nell’arte, per assestarsi nel dominio del superfluo. E in libreria, i consumatori non vengono cercati tra i lettori veri, bensì tra chi acquista un prodotto soltanto perché se ne parla o perché visto in vetrina.
I manager editoriali sostengono essere questa la massima concretezza democratica possibile, dal momento che a scegliere la linea di produzione sarebbe la gente stessa. E, con questo pensiero infantile, dimenticano (o fingono di dimenticare o, peggio, non sanno) che il ricatto implicito in una simile dinamica, finisce per distruggere la creatività. Nel momento in cui l’autore viene mosso dal gusto del lettore, il suo pensiero cade verso il basso e abiura i valori culturali a vantaggio, ancora tutto da dimostrare, di quelli del consumo.“
Sono vari passaggi tratti dalla presentazione della rivista PaginaUno, bimestrale di analisi politica, cultura e letteratura, ovvero parole strasantissime, peraltro scritte dal direttore della rivista Walter G. Pozzi e da Giovanna Cracco ben sei anni fai (!), nel Febbraio 2007.
Veramente questa volta non mi viene da aggiungere nulla, se non constatare che, in questi sei anni, mi pare che la situazione così ben descritta sia andata ancor più deteriorandosi. La cultura diffusa in una società è come il sangue nelle vene di un corpo vivo, e la letteratura è le piastrine di quel sangue. Senza di esso il corpo diventa quello di uno zombie. La nostra società, ovvero il nostro corpo sociale; e basta darsi un occhio intorno per capire quanto ciò sia parecchio corrispondente alla realtà effettiva.
En passant, è da poco uscito il numero 30 di PaginaUno, una rivista che merita veramente di essere conosciuta e letta – e non lo dico certo per ottemperare a una qualche marchetta, ma ciò che mi premeva era soprattutto di segnalare quelle bellissime parole sopra riportate, sacrosante appunto, e da tenere molto ben presenti ogni qualvolta diamo e daremo uno sguardo nel bizzarro (eufemismo!) mondo editoriale italiano.
Il discorso sarebbe troppo lungo e non dovremmo lasciarci coinvolgere dalle lamentazioni…almeno più di tanto. Non credo che i grandi gruppi editoriali, di per sè siano portatori di superficialità. E piccolo non è bello…..
Spero di rivederti su flacons.
Sì, naturalmente la questione non si risolve in poche parole e/o con luoghi comuni. Che però i grandi gruppi editoriali, oggi, non portino superficialità è una cosa che potrei ben confutare, osservando da dentro il panorama editoriale nazionale – come ho la fortuna/sfortuna di fare… Ed è vero che piccolo non è bello, ma spesso “piccolo” è uno stato ovvero una condizione imposta dal mercato e dalle regole imposte da altri…
Arrivo, arrivo su Flacons, non potrei non passare a leggere i tuoi ottimi articoli, appena ne ho il tempo! 🙂
Come tu dici c’è poco da aggiungere. la situazione è alquanto deprmente. Ma forse non è solo colpa degli editori, ma anche e soprattutto di chi legge e che, alla fine, decide cosa debba esserci sul mercato.
Se qualche anno fa il libro “scritto” dal cane della Paris Hilton fu un successo globale, non è colpa dell’editore…
Sì, Manuel, certamente non è solo colpa degli editori… Diciamo che un è circolo vizioso e, appunto, deprimente, nel quale nessuno di chi ci sta dentro pare voglia far qualcosa o per uscirne, o per frenarne/fermarne il moto vorticoso. Però, almeno qualche volta mi piacerebbe vedere lo stesso impegno promozionale che gli editori oggi mettono per libri-ciofeca, per autori veramente meritevoli e letterariamente di valore: impegno che invece da anni manca. Per cui sarà pure il pubblico che compra il libro del cane della Hilton, ma indubbiamente troppo spesso gli editori non è che lo spingano in lidi letterari migliori…
Grazie del tuo commento! 🙂