Sempre a proposito di eventi spacciati per “valorizzazione delle montagne” ma che con le montagne non c’entrano nulla – innanzi tutto con la loro identità culturale, l’elemento che più di ogni altro dà valore e genera attrattività alla frequentazione turistica delle loro località – eccone un altro veramente “notevole” e assai spassoso:
Spassoso, sì. Perché, con tutto il rispetto per chi vorrà liberamente parteciparvi, è divertente il costo proposto e pensare che si possa essere disposti a pagarlo, è buffo il lessico con cui l’evento viene presentato, è grottesca la scritta «CUCINA & NATURA» in alto a sinistra, è burlesca la proposta di vini francesi in Valtellina, terra di rinomata produzione vitivinicola dove si imbottigliano anche spumanti (la “valorizzazione delle montagne”, vero?). E fa ridere anche la traduzione letterale di «Snoweat», mangianeve: che ci sia qualche doppio senso altrettanto derisorio in questo nome?
Infine, trovo “spassosi” questi eventi per un’ultima ma non meno importante cosa: stanno diventando così decontestuali alla montagna, così incongrui e ineleganti, così culturalmente rozzi e talmente lontani dall’ambito montano, persino da quello prettamente turistico, che messi tutti insieme stanno gonfiando una gigantesca bolla consumistica che prima o poi scoppierà addosso a chi li propone. Ne sono più che convinto.
Le montagne, e con esse la parte preponderante di frequentatori consapevoli delle terre alte che vedono con sguardo sempre più critico tali iniziative, le espelleranno e se ne libereranno rapidamente. Alla fine una patacca senza valore messa in mezzo a dei gioielli preziosi resta comunque una patacca, e prima o poi anche quelli che la pensano preziosa come ciò che ha intorno (e l’abbiano acquistata come tale, per giunta) si renderanno conto del terribile abbaglio. Ecco.
Ribadisco: il problema non è fare cose in montagna ma come si fanno. A mio parere si può fare di tutto e con il buon senso ogni cosa verrà bene e funzionerà – buon senso che per me significa fare cose realmente consone al luogo e alle sue specificità. Senza buon senso probabilmente scaturiranno solo problemi e danni. Ma, al solito, a chi da queste cose ci ricava un tornaconto, pur legittimo che sia, delle conseguenze generate non interesserà granché.

caro Luca
ho letto Palu’ e mi si sono ritornati alla mente lontani ricordi quando con papà frequentato spessissimo la sempre bella Valmalenco.
erano i tempi della funivia al Bernina di colore giallo che partiva da dove ora si trovano dei condomini ed arrivava sul lato sx del comprensorio
si prendeva poi un’ovovia 2 posti (!) che portava sulla cima del Cristo.
qualche altro semplice skylift e nessuna seggiovia
eppure si respirava l’aria della vera montagna di uno sport fatto per veri amanti della montagna
tanta era la gente ma poca la confusione
si sciava punto e stop (cos’altro mi viene da dire si dovrebbe fare normalmente del resto ?)
leggere di queste “iniziative” mi da dispiacere nel pensare a dove siamo arrivati.
mi auguro di cuore che Lei abbia ragione e che questa sia solo una bolla consumistica e che si ritorni alla normalità
so che tanti appassionati veri dei ns monti ragionano come noi ma vedere queste derive consumistiche spesso fa temere per il peggio
un caro saluto
Giulio
Buongiorno Giulio,
grazie per questi ricordi! Sono abbastanza diversamente giovane da aver sciato pure io nella “vecchia” Chiesa, con l’ardita funivia e il suo megapilone che in discesa ti toglieva il fiato, la scricchiolante ovovia del Sasso Alto che si agganciava alla fune con la spinta dell’addetto in stazione, lo skilift del Campolungo e il suo ponte… in effetti sembrano ricordi di 100 anni fa. Un’epoca non più bella di quella attuale (le stazioni sciistiche odierne sono molto più efficienti), non è tanto questo il punto della questione, sicuramente però diversa nell’idea di montagna che c’era alla base dello sci, pur praticato per mero divertimento. Oggi l’idea di fondo sembra esclusivamente consumistica, non si è più sciatori appassionati di montagna ma clienti di aziende che offrono servizi, per i quali il contesto conta solo come contenitore del “bene” da vendere.
Tuttavia ciò che mi fa restare fiducioso è che queste pratiche, nonostante quello che si potrebbe credere nel constatarle, restano totalmente avulse e decontestuali dall’ambito montano. Sono “bolle speculative culturali”, di natura consumistica appunto, che prima o poi scoppieranno. Forse per lasciare spazio a qualcosa di ancora peggio o forse no, se saremo bravi a ripristinare un’adeguata sensibilità verso le montagne e un’autentica passione verso la loro frequentazione consapevole, peraltro ben più divertente e appagante di quella offerta da certe iniziative.
Grazie di nuovo, Giulio, e buona giornata!
Come si commenta un’iniziativa così? Farebbe ridere se non ci fosse da piangere
Vero, Paola, ma tutto sommato è molto più utile riderci sopra invece che piangere. Un po’ come dice quel vecchio motteggio: “Una risata li seppellirà!”